Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14155 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14155 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23508/2023 r.g., proposto da
COGNOME NOME COGNOME elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE italiana in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 535/2023 pubblicata in data 18/05/2023, n.r.g. 197/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 27/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME in data 01/10/2008 era stato assunto da RAGIONE_SOCIALE come dirigente, con applicazione del CCNL per i dirigenti dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali. Il contratto di lavoro era stato poi ceduto a RAGIONE_SOCIALE, filiale italiana.
OGGETTO:
dirigente -licenziamento per giusta causa – conflitto di interessi – carattere anche solo potenziale -sufficienza
Con missiva datata 08/01/2021 il COGNOME era stato cautelarmente sospeso dal servizio; in data 25/01/2021 aveva ricevuto lettera di contestazione disciplinare, con cui gli era stato addebitato di avere operato in conflitto di interessi mentre trattava per ragioni aziendali un’operazione di finanziamento per dieci milioni di euro, nella sua veste di consigliere di amministrazione e poi di presidente di RAGIONE_SOCIALE, nel periodo tra la fine del 2016 ed il 2020, con il sig. NOME COGNOME e con la Sunset RAGIONE_SOCIALE società al medesimo COGNOME riferibile, in particolare trattenendo con costui un coevo rapporto commerciale per la vendita di un quadro di Heith Haring di rilevante valore.
In data 09/02/2021 era stato infine licenziato per giusta causa.
Il COGNOME adìva il Tribunale di Milano, eccependo vari profili di illegittimità del licenziamento, sia formali/procedurali che sostanziali, e chiedeva la declaratoria di illegittimità del recesso datoriale, la condanna della società datrice di lavoro al pagamento sia dell’indennità sostitutiva del preavviso pari a n. 10,5 mesi ai sensi dell’art. 26 CCNL, pari alla somma di euro 196.652,40 (18.728,80 x 10,5), sia della conseguente differenza sul t.f.r. per euro 14.566,84, sia dell’indennità supplementar e nella misura massima di 28 mensilità, ovvero di quelle somme anche minori ritenute di giustizia.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava le domande, ritenendo la contestazione disciplinare tempestiva, specifica e fondata.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la contestazione disciplinare è specifica, essendo stato addebitato al dirigente non solo di aver taciuto un conflitto di interesse, anche solo potenziale, ma altresì di avere agito, anche nella veste di amministratore di RAGIONE_SOCIALE, in una condizione di conflitto di interessi;
durante il procedimento disciplinare non è stato violato il diritto di difesa, poiché l’appellante è stato sentito oralmente come da lui richiesto, con l’assistenza del suo legale (avv. COGNOME e le dichiarazioni
raccolte in sede di istruttoria interna, di cui l’appellante lamenta l’omessa comunicazione a lui prima di essere sentito, in realtà sono confluite nella stessa contestazione disciplinare e quindi erano a lui già note;
sul piano della giusta causa di recesso le valutazioni del Tribunale sono da condividere;
in primo luogo la giusta causa è stata ravvisata nel potenziale conflitto di interessi venutosi a creare in capo all’appellante circa l’affare COGNOME, vista la sua veste di consigliere del CdA di RAGIONE_SOCIALE, controllante di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, che in quel periodo era impegnata a reperire potenziali finanziatori al fine di completare un’importante operazione di acquisizione da parte di RAGIONE_SOCIALE, fra i quali vi era il COGNOME e la società a lui riferibile (RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE Plc), a prescindere da qualsiasi sospetto di connivenza fra il Garbuglia ed il Torzi;
il Tribunale ha correttamente ricostruito la vicenda, il ruolo svolto dall’appellante e l’incidentale di detta condotta sul vincolo fiduciario;
la materialità dei fatti è in gran parte pacifica;
dalle dichiarazioni raccolte nel corso dell’indagine interna, con le modalità previste dall’art. 391 bis c.p.p. su cui l’appellante non ha mosso alcun rilievo, anzi egli ha prodotto nel giudizio a sua discolpa una deposizione assunta con le medesime modalità, ritenuta irrilevante dal Tribunale senza censura sul punto -si riceva che il COGNOME non si è limitato ad avere una posizione formale e passiva, mero intestatario del conto corrente svizzero su cui il COGNOME versò la somma di euro 100.000,00, ma ha partecipato attivamente, presentando al COGNOME, interessato ad investire nel mondo dell’arte, la propria moglie, dott.ssa NOME COGNOME che operava nel settore; la dott.ssa COGNOME ha dichiarato che nel corso della riunione tenutasi diverso tempo dopo il COGNOME illustrò le diverse fasi dell’operazione di compravendita del quadro, consegnando pure alcuni documenti relativi a detto affare;
il coinvolgimento del COGNOME si desume altresì anche solo dal fatto che la somma di denaro relativa a quella compravendita sia stata
bonificata su un conto svizzero di titolarità esclusiva dello stesso COGNOME e non cointestato con la moglie;
dunque risulta provato che l’appellante, per tutto il periodo destinato alla ricerca di potenziali finanziatori per una delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, fra cui il COGNOME, ha intrattenuto con quest’ultimo relazioni di natura commerciale senza nulla riferire agli organi societari, se non in modo parziale e soltanto a novembre 2020;
egli, in quanto dirigente apicale oltre che titolare di incarichi organici e funzioni di assoluta rilevanza, avrebbe invece dovuto comunicare tempestivamente -in razione degli obblighi di buona fede e correttezza ex art. 2104, 2105 e 1375 c.c. -la sua implicazione nella vicenda, pur nel caso in cui avesse ritenuto solo potenziale il conflitto di interessi, come dallo stesso riconosciuto nel corso della riunione del 13/11/2020 di cui ha riferito il dott. COGNOME nell’istruttoria interna.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME Giacomo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ dell’art. 7 L. n. 300/1970 e dei principi in tema di diritto di difesa, per avere la Corte territoriale omesso di attribuire rilevanza al fatto che il procedimento disciplinare fu preceduto da atti rivelatori della decisione, già assunta in prevenzione, di comminare il licenziamento, nonché omesso l’ esame di quei medesimi fatti, in quanto decisivi.
Il motivo è inammissibile in relazione al vizio prospettato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. in quanto precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, pen.co., c.p.c.).
Il motivo è infondato in relazione al vizio di violazione di norma di diritto. Contrariamente all’assunto del ricorrente, la Corte territoriale non ha omesso di considerare l’istruttoria interna condotta dalla società datrice di lavoro prima di procedere con la contestazione disciplinare, bensì vi ha
attribuito il rilievo suo proprio, ossia di natura prettamente istruttoria a fini probatori, in quanto tenuta ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., ossia secondo un modulo procedimentale di cui anche il COGNOME si era avvalso (tanto che la Corte territoriale ha evidenziato che su tale modus procedendi , già ritenuto legittimo dal Tribunale, il dirigente non aveva sollevato censura alcuna in appello).
In senso contrario non rileva l’avvenuta revoca prima del licenziamento -del ricorrente dal comitato investimenti e dalla sua presidenza, nonché dai poteri di gestione del fondo ‘RAGIONE_SOCIALE‘, poiché come accertato dalla Corte territoriale -si trattava solo di misure precauzionali adottate dalla società in relazione a quei delicati ruoli societari -non di dirigente -fino a quel momento ricoperti dal COGNOME, misure volte ad evitare possibili danni di dimensioni non prevedibili e quindi non calcolabili. La riferibilità della revoca di quegli incarichi a rapporti giuridici diversi da quello di lavoro subordinato dirigenziale esclude che quella revoca possa in qualche modo incidere sulla legittimità del procedimento disciplinare, che attiene al rapporto di lavoro subordinato ed ha avuto il suo naturale e regolare corso.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ dell’art. 7 L. n. 300/1970 e dei principi in tema di diritto di difesa sotto due profili:
per avere la Corte territoriale ritenuto legittima la decisione della società di non consentirgli di prendere visione, prima di essere sentito personalmente, delle dichiarazioni raccolte e poste a fondamento della contestazione disciplinare;
per avere la Corte territoriale ritenuto specifica la contestazione disciplinare, nonostante che quest’ultima non contenesse alcun cenno al fatto di aver egli creato il contatto fra sua moglie ed il COGNOME per l’affare relativo alla compravendita di quadro di Haring.
Il motivo è infondato in relazione ad entrambe le censure.
Con riguardo a quella sub a), questa Corte ha già affermato che in tema di esercizio del potere disciplinare, la contestazione dell’addebito ha la funzione di indicare il fatto contestato al fine di consentire la difesa del lavoratore, mentre non ha per oggetto le relative prove, soprattutto per i fatti che, svolgendosi fuori dall’azienda, sfuggono alla diretta cognizione del datore di
lavoro; conseguentemente, è sufficiente che quest’ultimo indichi la fonte della sua conoscenza (Cass. ord. n. 3820/2022; Cass. n. 22236/207), senza che il lavoratore possa vantare un diritto ad una previa visione delle fonti documentali sulle quali è fondata la contestazione disciplinare.
Inoltre, ed in ogni caso, il ricorrente non ha specificato -né in primo grado, né in appello -di quali documenti avrebbe avuto necessità di prendere visione prima dell’audizione orale, né in quali termini il suo diritto di difesa sarebbe stato conculcato dalla mancata previa visione di quei documenti. Anzi, è rimasto senza censura il rilievo in fatto della Corte territoriale, secondo cui i risultati di quell’istruttoria interna erano stati esplicitamente richiamati nella contestazione disciplinare, sicché il COGNOME ne era stato messo tempestivamente a conoscenza, quindi prima della sua audizione orale.
Con riguardo alla censura sub b), quella circostanza non ha alcun disvalore disciplinare e, quindi, non poteva né doveva rientrare nell’oggetto della contestazione disciplinare. Essa è stata solo utilizzata dalla Corte territoriale per desumere sul piano probatorio il pieno coinvolgimento -personale e diretto -del dirigente nell’affare con il COGNOME , per il quale era effettivamente configurabile il conflitto d’interessi oggetto di addebito disciplinare.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2119, 2104, 2105 e 1375 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo il licenziamento sebbene in presenza di una situazione di conflitto di interessi meramente astratto e comprovatamente non influente, nonché per avere omesso l’esame dei fatti relativi allo ‘affare Augusto’ e allo ‘affare Haring’ in parallelo fra loro, decisivi perché dimostrav ano l’assoluta inesistenza di danni.
Il motivo è inammissibile in relazione al vizio prospettato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. in quanto precluso dalla c.d. doppia conforme (art. 360, pen.co., c.p.c.).
Il motivo è altresì inammissibile in relazione al vizio di violazione di norma di diritto, atteso che esso tende surrettiziamente a sollecitare a questa Corte un diverso apprezzamento ed una diversa valutazione di quella situazione di conflitto di interessi, riservato al giudice di merito e quindi interdetto in sede di legittimità.
Il motivo è infine infondato, poiché la valutazione di sufficienza di un
conflitto d’interessi anche solo potenziale a giustificare il licenziamento di un dirigente è conforme a diritto, in considerazione dell’elevatissimo grado di fiducia -e quindi di affidamento nell’esattezza e correttezza dei futuri adempimenti della prestazione lavorativa -richiesto per la permanenza di un rapporto di lavoro di livello dirigenziale.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ dell’art. 2106 c.c. sulla necessaria proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione.
Il motivo è inammissibile, perché la valutazione di proporzionalità sulla base della clausola generale contenuta nella norma invocata è riservata al giudice di merito. Al riguardo questa Corte ha più volte affermato che in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità tra licenziamento e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo, nel senso che l’elemento trascurato avrebbe condotto con certezza ad un diverso esito della controversia, sempre che tale ultimo vizio non sia precluso dalla c.d. doppia conf orme ai sensi dell’art. 360, pen.co., c.p.c. ( ex multis Cass. n. 107/2024).
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 26 e 28 CCNL per avere la Corte territoriale ritenuto il licenziamento sorretto da giusta causa e non invece soltanto giustificato e quindi escluso anche il diritto al preavviso.
Il motivo è infondato.
Oltre a richiamare il principio di diritto sopra ricordato con riguardo al quarto motivo, va ribadito che l ‘apprezzamento della gravità delle condotte contestate in via disciplinare è riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo qualora sia manifestamente contrario a specifiche previsioni tipizzate dalla contrattazione collettiva nazionale, caso
insussistente nella specie.
6.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data