Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12204 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12204 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11568/2024 R.G. proposto da: MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO ;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv . NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 191/2024 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 25/3/2024 R.G.N. 387/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
IMPIEGO PUBBLICO – DOCENTE – ESERCIZIO PROFESSIONE FORENSE – CONFLITTO DI INTERESSI – RILEVANZA.
RILEVATO CHE
1.
la Corte d’Appello di Bologna, confermando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha ritenuto l’illegittimità della sanzione disciplinare (sospensione per dieci giorni) irrogata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito nei confronti di NOME COGNOME, docente della scuola pubblica, per avere egli patrocinato cause come avvocato nei confronti del Ministero datore di lavoro;
la Corte territoriale riteneva che, essendo stata data autorizzazione per lo svolgimento dell’attività forense, senza limitazioni, non si potesse ritenere illegittimo il fatto che il docente avesse patrocinato anche cause nei confronti del Ministero datore di lavoro;
essa aggiungeva altresì che non poteva ritenersi decisivo il fatto che il Dirigente scolastico avesse chiesto chiarimenti al docente sul patrocinio di cause in conflitto di interessi, in quanto ciò non era scaturito in alcuna revoca o modifica del provvedimento autorizzatorio, potendo anzi il docente pensare che le sue spiegazioni fossero state satisfattive;
il Ministero ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti da controricorso di NOME COGNOME;
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo adduce la violazione eo falsa applicazione dell’art. 53 comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 in combinato disposto con l’art. 508 del d. lgs. n. 297/1994 da esso richiamato e dell’art. 58 -bis della legge n. 662/1996, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.;
con esso il Ministero sostiene che le norme delineino un principio generale per cui l’attività in conflitto di interesse è da ritenersi sempre vietata;
il secondo motivo adduce, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per omessa e/o erronea valutazione, ex artt. 115 e 116 c.p.c, delle risultanze istruttorie;
esso, ancora sul presupposto che l’assenza di conflitto di interessi sia da ritenere presupposto comunque condizionante rispetto alla legittimità del patrocinio difensivo, è sviluppato sostenendo che la menzione nell’autorizzazione del solo limite di evitare pregiudizio agli obblighi della funzione docente ed agli impegni scolastici non poteva essere inteso come tale da escludere la necessità che l’esercizio dell’attività forense non si svolgesse in vertenze promosse o da promuoversi contro la P.A. di appartenenza;
infine, il terzo motivo sostiene la nullità della sentenza per totale carenza di motivazione ovvero motivazione apparente in relazione agli art. 360 n. 4 c.p.c., 132, co. 2, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost.;
con la censura si assume che erroneamente la Corte d’Appello avrebbe concluso che, non avendo il Dirigente Scolastico, in esito alla richiesta di chiarimenti, revocato o modificato l’autorizzazione già concessa, quanto riferito dal docente avrebbe ‘tranquillizzato’ il superiore circa la correttezza del comportamento tenuto dal COGNOME e che egli fosse stato così legittimato a proseguire nell’attività esterna come fino a quel momento svolta anche in cause riguardanti la P.A. di appartenenza;
secondo il Ministero, in tal modo, non essendo indicato su quali basi i chiarimenti avrebbero avuto un effetto ‘tranquillizzante’, il ragionamento giudiziale consisterebbe in una mera supposizione e traviserebbe la portata della richiesta formale avanzata nei riguardi del docente, non equivoca nel senso di manifestare la contrarietà
allo svolgimento del patrocinio difensivo nei riguardi dell’Amministrazione scolastica;
2.
i motivi vanno esaminati congiuntamente data la loro connessione logico -giuridica;
3.
il collegio ritiene che sia corretto quanto sostenuto dal Ministero nel primo e, in parte, nel secondo motivo ovverosia che l’assenza di un conflitto di interessi con la Pubblica Amministrazione di appartenenza sia condizione indefettibile dell’autorizzazione del docente allo svolgimento di attività forense;
3.1
il contesto normativo muove da un principio generale (art. 60 d.p.r. n. 3 del 1957, quale richiamato dall’art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001) di incompatibilità tra attività professionale e pubblico impiego;
il principio -oltre ad una deroga generale rispetto ai pubblici dipendenti part time con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno (art. 1, co. 58, legge n. 662, del 1996), peraltro a propria volta limitabile (art. 1, cit. co. 58 -bis) per attività che si realizzino in concreto in conflitto di interessi o mediante provvedimenti ministeriali generali rispetto ad attività che, in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, sono comunque non consentite ai dipendenti – consente deroghe, come si ricava dal comma 7 dell’art. 53 cit. ove si fa riferimento a « dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero -professionali »;
ciò è quanto in effetti accade rispetto ai docenti scolastici, per i quali l’art. 508, co. 15, del d. lgs. n. 297 del 1994 prevede sia « consentito, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside, l’esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio
all’assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio »; non vi è quindi dubbio che l’autorizzazione del Dirigente Scolastico consenta ai docenti l’esercizio della professione forense;
3.2 non vi è tuttavia altrettanto dubbio – ed in tal senso vanno condivise in diritto le difese del Ministero e di conseguenza corretta la motivazione in diritto della Corte d’Appello – che dall’intero impianto normativo si colga un generale divieto di svolgere attività rispetto che siano in conflitto di interessi anche potenziale all’impiego pubblico e – per quanto qui rileva – alla docenza;
ne sono indicazione indubbia il richiamo al conflitto di interessi come limite generale nell’art. 1, co. 58 -bis, cit., i plurimi richiami al conflitto di interessi come limite contenuti nell’art. 53, cit., nonché lo stesso principio di fondo dell’incompatibilità tra le libere professioni e l’impiego presso la P.A., di cui all’art. 60 cit., che indubbiamente affonda le radici in una complessiva necessità di coerenza tra servizio pubblico e doveri primari di fedeltà (art. 98 Cost.);
3.3 ciò per concludere – in chiarimento di quanto già ritenuto da Cass. 17 ottobre 2018, n. 26016 – che l’autorizzazione eventualmente rilasciata ad un docente per l’esercizio dell’attività forense ha comunque in sé il limite implicito del divieto di esercizio in conflitto potenziale o concreto di interessi, nel senso che è in ogni caso non consentita la cura il patrocinio, anche sul piano consulenziale, di vertenze promosse o da promuoversi contro l’Amministrazione di appartenenza, sicché la violazione di tale divieto costituisce inadempimento e possibile illecito disciplinare; 4.
ciò doverosamente posto, nel caso concreto vi sono però elementi che non consentono di addivenire all’accoglimento del ricorso per cassazione;
4.1
la sentenza impugnata ha ritenuto infatti che il Dirigente scolastico « fosse a conoscenza della circostanza che il prof. COGNOME patrocinasse anche in cause in cui era parte l’Amministrazione di appartenenza » e che pur dopo la richiesta formale di chiarimenti, il medesimo Dirigente non modificò il provvedimento autorizzativo che non conteneva indicazioni in ordine al divieto di esercizio dell’attività forense in vertenze riguardanti l’amministrazione scolastica, risultando anzi egli da tale confronto « tranquillizzato … circa la correttezza del provvedimento autorizzativo » vale a dire nel senso che quest’ultimo non necessitava di integrazioni limitative; ciò posto, se è vero, come si è detto, che il limite del conflitto di interessi non necessita di esplicitazioni in sede autorizzativa ed opera nei riguardi del docente a prescindere dal fatto che il provvedimento ne faccia menzione, nel caso di specie, in concreto, il senso dell’argomentare della Corte d’Appello è quello per cui il docente, in esito alla mancanza di modifica all’autorizzazione rilasciatagli pur dopo l’incontro con il Dirigente e la valutazione del tema del patrocinio di vertenza riguardanti la scuola pubblica, non colse nel comportamento del proprio superiore una esortazione o un ordine di non proseguire nell’attività forense come fatto fino a quel momento;
anche perché quell’inerzia del Dirigente seguiva ad un trascorso episodio in cui, anni prima, era stata invece irrogata al Versace la sanzione della censura per un fatto analogo;
la Corte territoriale ha in sostanza ritenuto che, per come sviluppatasi in concreto la vicenda oggetto di causa, il docente avesse potuto maturare un affidamento rispetto alla possibilità di proseguire l’attività forense anche in vertenze riguardanti la scuola
pubblica che non giustificava l’applicazione poi di una sanzione, per difetto a quel punto di colpevolezza;
ciò non significa di certo che il Versace sia da aversi per autorizzato a proseguire nella conduzione della professione di avvocato in conflitto di interessi, ma solo che non è illegittima la decisione dei giudici del merito di annullamento, per quanto in concreto accaduto in quel frangente, della sanzione disciplinare irrogata;
in altre parole, il principio resta, anche per il Versace, quello sancito al punto 3.3, ma l’annullamento della sanzione irrogata nei suoi confronti nel caso di specie resiste all’impugnazione del Ministero, per l’affidamento su cui ha evidentemente fatto leva la Corte d’Appello;
4.2
d’altra parte, non si può dire che il convincimento della Corte territoriale sia immotivato e privo di riscontro istruttorio;
esso si regge infatti su un ragionamento presuntivo che associa la mancata modifica in senso modificativo all’essere ciò avvenuto in esito ad un incontro tenutosi dopo la comunicazione di una nota in cui il Dirigente aveva invece manifestato l’esistenza di profili di incompatibilità dell’attività svolta con il ruolo di docente, nel senso che un tale concatenarsi di comportamenti aveva fatto confidare il Versace nella possibilità di proseguire nel patrocinio di quelle vertenze;
si tratta dunque di un convincimento di merito rispetto al quale le censure riguardanti la valutazione dell’istruttoria si traducono in manifestazioni di difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi così il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento giudiziale tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. (Cass.,
S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; ora anche Cass. 22 novembre 2023, n. 32505);
5.
tutto ciò comporta che, pur precisati nei termini sopra visti i principi di diritto che regolano la fattispecie dell’esercizio della professione forense da parte di docenti della scuola pubblica, il ricorso per cassazione va comunque rigettato;
6.
le spese del grado seguono la soccombenza;
è principio consolidato (Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass. 14 marzo 2014, n. 5955) quello per cui, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo;
nonostante il rigetto del ricorso nulla deve dunque disporsi in proposito;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 6 febbraio 2025.
La Presidente NOME COGNOME