Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16920 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 16920 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso 3724-2021 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché
NOME;
-controricorrente al ricorso incidentale –
Oggetto
Pubblico impiego. Attività extra lavorative. Conflitto di interessi
R.G.N. 3724/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 02/04/2025
PU
avverso la sentenza n. 721/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/10/2020 R.G.N. 69/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbimento del ricorso incidentale; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 721 del 2020, ha accolto l’appello proposto dall’INAIL nei confronti di NOME COGNOME avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Milano, e in riforma di quest’ultima ha rigettato le domande formulate dal lavoratore nel ricorso di primo grado.
Per la cassazione della sentenza adi appello ricorre il lavoratore prospettando cinque motivi di ricorso (indicati come: I; II; III; III.1; III.2).
Resiste l’INAIL con controricorso e ricorso incidentale condizionato, articolato in un motivo.
Il lavoratore replica con controricorso al ricorso incidentale.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato. E nella pubblica udienza ha confermato tali richieste.
Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente, dipendente full time di INAIL, ha agito in giudizio per ottenere l’autorizzazione a svolgere attività extra lavorative di cui alle richieste indirizzate all’Ente il 16 ottobre 2017 e il 22 febbraio 2018.
Il Tribunale ha accolto il ricorso, ritenendo che non fosse ravvisabile alcun conflitto di interessi.
La Corte d’Appello dopo aver richiamato la disciplina dettata dall’ art. 60 del dPR n. 3 del 1957 e dall’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, in materia di incarichi extra lavorativi, ha accertato che il rapporto di lavoro del RAGIONE_SOCIALE con l’INAIL era a tempo pieno. Ha quindi escluso che in capo al lavoratore sussistesse un diritto allo svolgimento dell’attività in questione (consistente nella effettuazione di verifiche e/o collaudi di impianti per conto di imprese private). Ha poi affermato che, anche a voler ritenere che non vi fosse prova che l’attività oggetto delle richieste del lavoratore fossero riservate agli iscritti all’albo di perito industriale e che quindi, in quanto di natura libero professionale, fosse del tutto vietata dall’art. 60 del dPR n. 3 del 1957, il diniego di autorizzazione dell’INAIL si sottraeva a censure in ragione della ravvisata sussistenza di un quantomeno ipotetico conflitto di interessi, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001. Lo stesso era immune da profili di irragionevolezza, arbitrarietà o illegittimità, e volto a tutelare l’esigenza di garantire l’imparzialità, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione ex artt. 97 e 98 Cost.
La Corte d’Appello ha affermato che, a prescindere dalle convenzioni con ASL, ARPA, RAGIONE_SOCIALE (di cui tardivamente l’INAIL aveva dedotto l’esistenza in appello), l’attività di
verifica periodica che il lavoratore era chiamato ad eseguire per conto terzi aveva pacificamente come oggetto impianti per i quali l’originaria verifica di idoneità alla messa in esercizio era stata eseguita dall’INAIL.
Detta circostanza, ha rilevato la Corte d’Appello, era sufficiente a configurare un potenziale conflitto di interessi con l’attività istituzionale dell’Ente pubblico di cui il lavoratore era dipendente, posto che non poteva escludersi che le verifiche affidate a quest’ultimo potessero avere esiti interferenti con quello dell’originaria certificazione di idoneità alla messa in servizio rilasciata dall’INAIL.
2.Tanto premesso, vanno esaminati i motivi del ricorso principale.
Primo motivo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 71, commi, 11,12,13 del d.lgs. n. 81 del 2008 e dell’art. 2.1. del D.M. 11 aprile 2011. Violazione degli artt. 97 e 98 Cost. (360, n.3, cpc).
Assume il ricorrente che il Tribunale aveva compiuto un pieno accertamento sulla assenza di incompatibilità e di conflitto di interessi.
Osserva che non è attribuito al datore di lavoro un potere di diniego immotivato, ma deve esercitare il proprio potere in materia motivatamente, in ragione di criteri oggettivi e predeterminati mentre nella specie il provvedimento di diniego non è immune da irragionevolezza arbitrarietà e illegittimità.
Se anche l’attività di verifica per conto terzi riguarderebbe sette impianti la cui originaria verifica tecnica di idoneità della messa in servizio è stata eseguita dall’INAIL,
occorre considerare che l’INAIL è titolare della prima delle verifiche periodiche mentre le ASL sono titolari delle verifiche successive alla prima.
Secondo motivo. Omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n.5, cpc). Violazione dell’art. 132, comma 2, n.4, cpc, e dell’art. 11, comma 6, Cost. (360, n.4 cpc).
Il ricorrente osserva che il materiale probatorio supportava che l’attività in questione non aveva valenza certificativa, ma aveva valenza meramente interna, interveniva quando i compiti dell’INAIL erano esauriti e non si era mai tradotta in risultati contrastanti con la certificazione INAIL, in passato nessun conflitto era stato ritenuto sussistente, il lavoratore non aveva svolto presso l’INAIL incarichi di tipo tecnico. La normativa in materia di autorizzazione era stata interpretata erroneamente.
Terzo motivo (indicato come III). Violazione e falsa applicazione dell’art. 60 del dPR n. 3 del 1957, dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 98 Cost. (art. 360, n.3, cpc).
Quarto motivo (indicato come III.1). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, n.5, cpc),
Quinto motivo (indicato come III.2). Violazione dell’art. 132, comma 2, n.4, cpc e dell’art. 111, sesto comma, Cost. (art. 360, n.4, cpc).
I motivi terzo quarto e quinto sono trattati unitariamente nel ricorso.
Si deduce che la decisione della Corte d’Appello interpreta erroneamente la disciplina sul principio di esclusività. Le attività in questione rientrano tra quelle soggette ad autorizzazione, in quanto il rapporto di lavoro non
è a tempo parziale; l’iscrizione all’albo avvenuta solo nel 2018 non costituisce prova dell’esercizio abituale della professione; le attività in esame non richiedono però l’iscrizione a specifici albi. Si tratta di attività di verifica impianti caratterizzate da occasionalità, non continuative. A tali circostanze la Corte d’Appello non aveva dato adeguato rilievo con una motivazione insoddisfacente, omettendo il riferimento a circostanze di fatto, che davano luogo al vizio di omesso esame.
Con il motivo del ricorso incidentale condizionato è prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 60 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dell’art. 1, co. 56-63 della Legge 23 dicembre 1996, n. 662, per aver la Corte di merito sostanzialmente escluso che l’attività, per il cui svolgimento il signor COGNOME aveva chiesto l’autorizzazione, potesse rientrare, in difetto di prova della natura riservata della stessa agli iscritti all’albo di perito industriale, in quelle assolutamente vietate dal citato art. 60.
I motivi del ricorso principale devono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono in parte non fondati e in parte inammissibili.
10.1. Come emerge dalla principale ratio decidendi della sentenza impugnata, la Corte d’Appello ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando le domande del lavoratore, in quanto ha ritenuto legittimo e non irragionevole il diniego di autorizzazione dell’INPS in presenza di un potenziale conflitto di interessi, facendo corretta applicazione della disciplina che regola la fattispecie.
L’art. 53, comma 7, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, statuisce che i dipendenti pubblici non possono svolgere
incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’Amministrazione di appartenenza e, in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza (Cass., S.U., n. 32199 del 2021).
10.2. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass., n. 9801 del 2024, Cass., S.U., n. 25639 del 2020) si tratta di una normativa volta a garantire l’obbligo di esclusività che ha primario rilievo nel rapporto di impiego pubblico in quanto trova il proprio fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, si è inteso rafforzare il principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sottraendo tutti coloro che svolgono un’attività lavorativa ‘alle dipendenze’ delle Pubbliche Amministrazioni dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività (cfr ., Cass. n. 8846 del 2023; n. 12626 del 2020; n. 11949 del 2019; n. 3467 del 2019; n. 427 del 2019; n. 20880 del 2018; n. 28975 del 2017; n. 28797 del 2017; n. 8722 del 2017).
In ragione di ciò, questa Corte ha affermato (Cass., n. 6637 del 2019) che l’autorizzazione occorre anche se il lavoratore è in aspettativa, poiché l’aspettativa non fa cessare il rapporto di lavoro e la suddetta norma non contiene una distinzione a seconda dello stato del rapporto stesso, mentre l’appartenere comunque ancora del dipendente ad una pubblica amministrazione non fa cessare i
rischi di conflitto di interessi o di possibile utilizzazione di entrature cui la norma, insieme ad altri interessi, è preposta a prevenire.
Il carattere retribuito dell’attività extraistituzionale, se rileva ai fini del recupero delle somme erogate, non condiziona di per sé la necessità di richiedere l’autorizzazione al datore di lavoro, che non può essere conferita per ‘ facta concludentia ‘ o prassi, avuto riguardo alla sequenza procedimentale prevista dal legislatore (v., Cass., n. 29348 del 2022).
10.3. Dunque, in presenza di incarico retribuito ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, è necessaria da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro una previa verifica puntuale, di volta in volta, in ordine alla insussistenza di situazioni di conflitto d’interessi, anche potenziale, nell’attività espletata all’esterno.
Ed infatti, dall’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001 è riconosciuto rilievo alla mera situazione di conflitto di interessi potenziale, indipendentemente dalla sua attualità, che anzi la norma mira a prevenire (Cass., n. 34015 del 2021).
10.4. Nella specie, la Corte d’Appello, con accertamento insindacabile in sede di legittimità, in quanto rimesso al giudice di merito alla luce delle risultanze di causa, ha escluso l’illegittimità o irragionevolezza della sussistenza del potenziale conflitto di interessi ravvisata dall’INAIL, atteso che il potere certificativo della messa in opera e della prima verifica degli impianti in oggetto, come conviene lo stesso ricorrente, sussiste in capo all’INAIL, presso cui lavora il ricorrente, senza che sia dirimente la specifica attività svolta
presso INAIL, la iscrizione ad albi professionali, l’esito in concreto delle verifiche, assumendo rilievo che l’attività extra lavorativa del ricorrente riguarda proprio l’attività di verifica di persistente idoneità di opere, idoneità che è oggetto di certificazione INAIL.
Si può ricordare come questa Corte (sentenza n. 33261 del 2023, che richiama Cass. 30682 del 2023) con riguardo a fattispecie di attività extra lavorativa di dipendente INPS di redazione di perizie di stima nell’ambito dell’istruttoria per l’erogazione, da parte dell’ex INPDAP (Istituto poi confluito nell’INPS), di mutui per la prima casa in favore di dipendenti pubblici suoi assicurati, ha osservato che ‘una relazione contrattuale diretta fra il tecnico ed il privato mutuatario finirebbe per collidere con il principio secondo cui in nessun caso possono essere autorizzati incarichi dai quali può sorgere una situazione, anche potenziale, di conflitto di interessi (art. 53, comma 7, secondo periodo); ed è evidente, al riguardo, che l’interesse del privato ad un dato esito della procedura valutativa del bene non è (e non potrebbe mai essere) coincidente con quello del soggetto erogatore del mutuo, che sulla base della valutazione determina il quantum erogabile’.
10.5. Va infine rilevata l’inammissibilità delle restanti censure con cui si prospetta vizio di motivazione della sentenza o vizio di omesso esame.
Le deduzioni del ricorrente che contesta l’accertamento di fatto svolto dalla Corte d’Appello, si sostanziano nella censura della valutazione del materiale probatorio effettuato dalla Corte d’Appello, in particolare quanto alla
documentazione prodotta in atti, che è rimessa al giudice del merito.
È applicabile alla fattispecie l’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.
Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, vizio che nella specie non sussiste, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Va anche rilevato che l”omesso esame’ va riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022), come nella specie laddove, tenendo conto della ratio decidendi della sentenza di appello, l’omesso esame nella sostanza contesta la motivazione della decisione di appello.
Appare, quindi, evidente che non ricorrono, nella specie, i presupposti per la configurabilità del vizio di motivazione della sentenza o del vizio di omesso esame, denunciati dal ricorrente.
Il ricorso principale deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso principale segue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia (rigetto del ricorso), va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”. Spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la
debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (v., Cass., S.U., 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15%, e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della