Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8336 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8336 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22733/2020 r.g., proposto da
Luminoso NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, presso avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 1872/2020 pubblicata in data 30/06/2020, n.r.g. 2061/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/02/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME aveva lavorato alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE fino al 27/07/2017, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base della contestazione disciplinare del 03/07/2017, con cui gli erano stati
OGGETTO:
licenziamento disciplinare contestazione disciplinare pervenimento nella sfera di conoscibilità del lavoratore – apprezzamento di fatto sindacato di legittimità -esclusione
addebitati assenza ingiustificata, mancata informazione della datrice di lavoro circa il suo stato di detenzione perché colpito da misura cautelare personale, condotte di usura e di estorsione e, infine, svolgimento di attività di ‘recupero crediti ‘ durante l’orario di servizio.
Impugnava il licenziamento per ragioni procedurali e sostanziali.
Quindi adìva il Tribunale di Torre Annunziata per ottenere l’annullamento del licenziamento e l’ordine alla società di reintegrarlo nel posto di lavoro e la società della società al pagamento dell’indennità risarcitoria.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava le domande.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal Luminoso.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
la contestazione disciplinare è stata inviata con raccomandata all’indirizzo di residenza del lavoratore ed è ritornata al mittente per compiuta giacenza;
opera pertanto la c.d. presunzione di conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., sicché spetta al destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di avere conoscenza dell’atto (Cass. n. 17204/2016);
nel caso di specie il Luminoso non ha offerto la prova di tale impossibilità;
infatti non risulta dimostrato lo stato di detenzione in carcere del lavoratore al momento dell’arrivo della raccomandata, considerato che dalla sentenza di patteggiamento e dal provvedimento del GIP presso il Tribunale di Torre Annunziata del 27/04/2018 di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, risulta che egli in quel momento era agli arresti domiciliari e quindi nella propria residenza;
inoltre il 29/06/2017 -ossia il giorno dopo l’arresto del Luminoso avvenuto il 28/06/2017 -era stata recapitata allo stesso indirizzo altra precedente contestazione disciplinare, ricevuta dal figlio del lavoratore, di cui vi è cenno nel ricorso introduttivo del giudizio, e ciò dimostra che
egli era in condizione di conoscere gli atti recapitati a quell’indirizzo in cui risiedeva con la sua famiglia;
non sussiste alcuna violazione dei precetti di correttezza e di buona fede da parte della società, posto che il Luminoso non l’aveva informata né del suo arresto, né delle imputazioni a suo carico, né dei provvedimenti emessi dall’Autorità giudiziaria nei suoi confronti;
dunque è addebitabile allo stesso appellante la mancata conoscenza della contestazione disciplinare, sicché non sussiste alcuna violazione dell’art. 7 L. n. 300/1970;
neppure era necessario attendere il ritorno dell’avviso di ricevimento della raccomandata di comunicazione della contestazione disciplinare, posto che era sufficiente il decorso del termine di cinque giorni ai fini difensivi dalla data in cui la contestazione doveva essere ricevuta (04/07/2017), termine ampiamente rispettato anche se si considera il giorno in cui inizia la giacenza della raccomandata (05/07/2017);
nel merito il più grave dei fatti contestati -ossia i delitti di usura e di estorsione -considerato sufficiente dal Tribunale a giustificare il licenziamento, non risulta contestato nella sua verità storica dal Luminoso e comunque risulta dalla sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. (il Luminoso, in concorso con il coniuge ed altri, aveva prestato somme di denaro a terzi facendosi promettere interessi usurari e poi, con violenza e minaccia di cui alle condotte oggetto dei capi di imputazione penale, aveva preteso il pagamento di tali interessi);
il Luminoso si è limitato ad eccepire la natura extralavorativa di tali comportamenti e quindi la loro irrilevanza nel rapporto di lavoro;
l’assunto è infondato, dal momento che i gravi fatti commessi sono tali da far venire irrimediabilmente meno il vincolo fiduciario per il riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro (Cass. n. 24023/2016);
tale riflesso è inevitabile laddove si consideri che la società datrice di lavoro svolge dal febbraio 2017 il servizio pubblico di igiene ambientale concesso in appalto dal Comune di Castellammare di Stabia con ma modalità della raccolta ‘porta a porta’;
si tratta di un servizio pubblico essenziale, che coinvolge quindi interessi pubblicistici, sicché i fatti oggetto di contestazione disciplinare sono senza dubbio rilevanti, poiché i dipendenti devono assicurare affidabilità sia nei confronti del datore di lavoro che dell’utenza e dunque rileva anche la condotta extralavorativa (Cass. n. 776/2015);
in particolare i predetti fatti, oltre all’assenza di senso morale, denotano una finalità spiccatamente speculativa e una personalità violenta, quindi incompatibile con un’attività a stretto contatto con l’utenza di un servizio pubblico.
4.- Avverso tale sentenza COGNOME Salvatore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- Fissata una prima adunanza camerale, la controricorrente ha depositato memoria.
7.I due difensori del ricorrente sono risultati cancellati dall’albo dei cassazionisti, per cui questa Corte ha disposto la fissazione di altra adunanza camerale, con avviso notificato personalmente al ricorrente (Cass. ord. n. 11300/2023).
8.- Fissata la successiva adunanza camerale, la controricorrente ha depositato ulteriore memoria.
9.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 7 L. n. 300/1970, 1334 e 1335 c.c., 1175 e 1375 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuta idonea ed efficace la comunicazione della contestazione disciplinare.
Il motivo è inammissibile.
La valutazione delle plurime circostanze, sulle quali la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento circa l’ascrivibilità allo stesso Luminoso dell’eventuale impossibilità di avere concreta conoscenza della contestazione disciplinare, è interdetta in sede di legittimità, in quanto riservata al giudice di merito. Analoga conclusione va affermata in relazione all’apprezzamento del comportamento datoriale, ritenuto immune dalla violazione dei principi di correttezza e di buona fede.
Peraltro, il ricorrente non si perita di precisare se, dove, come e in quale atto processuale abbia specificamente eccepito e documentato di aver messo -tramite terzi -la società a conoscenza del suo stato di detenzione già nella giornata del 04/07/2017 (v. ricorso per cassazione, pp. 12-13) e quindi sotto questo profilo il motivo difetta di autosufficienza.
Infine, inammissibile è la censura sollevata contro quel punto della motivazione, in cui la Corte territoriale ha ritenuto che l’avvenuta conoscenza della precedente contestazione disciplinare del 29/06/2017 -ossia il giorno dopo l’arresto del Luminoso avvenuto il 28/06/2017 recapitata allo stesso indirizzo e ricevuta dal figlio del lavoratore, di cui vi è cenno nel ricorso introduttivo del giudizio, dimostrava che egli era in condizione di conoscere gli atti recapitati a quell’indirizzo in cui risiedeva con la sua famiglia. La censura si appunta, infatti, sulla non convivenza del figlio, ma di tale circostanza il ricorrente non precisa se, dove, come e quando ne abbia fatta oggetto di specifica deduzione in giudizio per sostenere poi l’assunto dell’asser ita impossibilità (per il figlio) di ritirare la raccomandata perché privo di delega.
Si tratta dunque di un’autonoma ratio decidendi che resta confermata, come tale idonea a sorreggere ampiamente la decisione impugnata. Va infatti ribadito che quando la sentenza impugnata con ricorso per cassazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata (Cass. n. 13880/2020), o comunque per carenza di interesse. Infatti, anche laddove fosse accolto il motivo di ricorso, comunque la sentenza impugnata non potrebbe essere cassata, in quanto autonomamente e sufficientemente sostenuta dall’altra ratio decidendi non censurata.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte territoriale valutato in modo irrazionale il corredo probatorio acquisito al processo.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2119 e 2106 c.c.,
18 L. n. 300/1970, 3 L. n. 604/1966 per avere la Corte territoriale ritenuta sussistente la prova della giusta causa di licenziamento.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ripartito in modo errato l’onere della prova.
I tre motivi -sviluppati congiuntamente dal ricorrente e da esaminare congiuntamente per la loro connessione -sono in inammissibili, in parte infondati.
Essi involgono, infatti, un nuovo apprezzamento delle circostanze valutate dai giudici d’appello come ampiamente dimostrativi della rilevanza disciplinare delle condotte extralavorative nell’ambito del rapporto di lavoro, a causa dell’evidente riflesso che quelle condotte hanno avuto sull’affidamento del datore di lavoro circa l’esattezza dei futuri adempimenti, anche in considerazione della rilevanza pubblicistica del servizio (raccolta di rifiuti solidi urbani), oggetto di appalto pubblico da un Comune vesuviano, cui era adibito il Luminoso. Trattasi di apprezzamenti di fatto, come tali insindacabili in sede di legittimità se -come nella specie -adeguatamente motivati.
Peraltro, del tutto infondato è il principale assunto difensivo del ricorrente, secondo cui il licenziamento del 27/07/2017 non poteva essere giustificato sulla base del reato solo successivamente accertato dal giudice penale nel gennaio 2018. In senso contrario va evidenziato che sul piano del rapporto di lavoro quell’accertamento penale attiene soltanto alla prova incombente sul datore di lavoro -dell’ascrivibilità delle condotte disciplinarmente rilevanti al dipendente. E tale prova è stata ritenuta dalla Corte territoriale esattamente raggiunta non solo sulla base di quella pronunzia del giudice penale, ma altresì in virtù del principio di non contestazione da parte del dipendente, la cui difesa si era tutta incentrata sull’irrilevanza disciplinare di condotte extralavorative.
3.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione al difensore della controricorrente.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data