Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2479 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 2479 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10257/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE PUGLIA, in persona del segretario generale regionale e del segretario provinciale, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME presso il quale è domiciliata come da pec registri di giustizia
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE PROVINCIA DI BARI, in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
e contro
REGIONE PUGLIA
– intimata – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1467/2020, depositata il 20.10.2020, NRG 123/2019;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
uditi gli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. CISL Medici Puglia (di seguito CISL) ha agito ai sensi dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970 nei confronti della Azienda Sanitaria Locale di Bari (di seguito, ASL) e della Regione Puglia, lamentando il fatto che la ASL, dal 2012 in avanti, avesse proceduto alla modificazione delle dotazioni organiche dei dirigenti medici ed alla riorganizzazione delle strutture semplici e complesse, con modalità inosservanti dell’ iter formativo del necessario atto aziendale di cui all’art. 3 del d. lgs. n. 502 del 1992 ed in violazione delle prerogative delle OO.SS., oltre ad avere dato corso, in tale contesto, alla revoca ed al conferimento di incarichi dirigenziali riferiti alla innovata articolazione, ancora senza osservanza delle regole di partecipazione sindacale, nella specie consistente in una fase di previa contrattazione integrativa.
La Corte d’Appello di Bari, confermando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato le domande ritenendo:
-che fossero stati osservati gli obblighi di previa informazione e consultazione di cui all’art. 6 del CCNL di settore;
-che il Regolamento Regionale n. 27 del 2012 disciplinava, prevedendo una contrattazione integrativa, le ipotesi di ristrutturazione -e non di sola riorganizzazione – che creavano esuberi, nel caso di specie neanche sussistenti perché il personale dirigente medico era in realtà cronicamente deficitario;
-che comunque non vi era stata adozione dell’atto aziendale, sicché era da escludere alla radice l’eventuale violazione delle regole di partecipazione per esso previste.
CISL ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, resistiti da controricorso della ASL, mentre la Regione Puglia è rimasta intimata.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria con la quale ha insistito per la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, come poi confermato in udienza pubblica.
Sono in atti memorie della ricorrente e della controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 97 Cost., degli artt. 3, 15 -bis e 15-ter d. lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 19 Legge Regione Puglia n. 4 del 2010, degli artt. 3 e 6 del CCNL area IV del 3.11.2005, dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970 e dell’art. 112 c.p.c., « concretizzando » – si dice nella rubrica – « il vizio di cui all’art. 360, c. 1, n. 4 c.p.c. ».
Il motivo muove dal rilievo per cui, in base alle norme statali e regionali, solo con l’atto aziendale è possibile individuare le unità organizzative in cui si articolano aziende ed enti del Sistema Sanitario Nazionale (di seguito, SSN), mentre, in assenza di esso, non è legalmente possibile effettuare alcuna modifica organizzativa.
In questa logica -assume CISL -era stata da essa chiesta la revoca di tutte le determinazioni organizzative e gestionali assunte prima ed al di fuori dell’atto aziendale a partire dal 2012 e la Corte territoriale aveva sostanzialmente omesso di pronunciarsi sul punto, ignorando quanto accaduto e denunciato con il ricorso giudiziale.
Il secondo motivo di ricorso è rubricato, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento alla violazione eo erronea applicazione degli artt. 3, 15-bis e 15ter del d. lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 19 della Legge Regione Puglia n. 4 del 2010, degli artt. 3 e 6 del CCNL area IV del 3.11.2005, dell’art. 6, co. 1, del d. lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970, dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 115, co.1 e 414 n. 4 c.p.c.
La ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto assolti da parte della ASL gli obblighi informativi contrattualmente previsti, dovendo essi riguardare un testo integrale e stabile, riguardante l’intera organizzazione, dell’atto aziendale, secondo una logica di comunicazione preventiva, trasparente, costruttiva e compiuta.
Logica che nel caso di specie era stata violata perché la ASL non aveva volutamente predisposto un atto aziendale unitario, ma aveva inteso procedere per stralci, sui quali la Regione non si era mai espressa, per poi assumere – sempre la ASL – in modo arbitrario e non trasparente decisioni di conferimenti e revoca degli incarichi consequenziali alle modifiche organizzative via via apportate.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione logico-giuridica, e vanno disattesi.
Preliminarmente, va detto che non può trovare accoglimento l’eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente, in quanto non è vero che i motivi propugnino irritualmente profili di censura ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., perché di un’impostazione in tal senso non vi è traccia nelle rubriche e nella formulazione del ricorso.
Nel merito, non vi è dubbio che, di regola, il sistema delineato dall’art. 3, co. 1 -bis, del d. lgs. n. 502 del 1992 e poi attuato dalla normativa regionale e dalla contrattazione delinei l’adozione dell’atto aziendale come presupposto organizzativo unitario e
prodromico rispetto alle attività da svolgere ed alle assegnazioni dei posti ad esso consequenziali.
3.1 Qui però la situazione è diversa.
L’accaduto risale ad una situazione di emergenza nel rientro della spesa, successivamente determinatasi e ben delineata dalla normativa citata anche dalla Corte territoriale.
È infatti intervenuta dapprima la L.R. Puglia n. 2 del 2011, di approvazione del ‘Piano di rientro e di riqualificazione del Sistema sanitario regionale 20102012’.
L’art. 1 della successiva L.R. Puglia n. 22 del 2011 ha quindi stabilito che, per dare attuazione a tale Piano ed in connessione con i processi di riorganizzazione, ivi compresi quelli relativi alla razionalizzazione della rete ospedaliera, gli enti del SSN avrebbero dovuto procedere alla ridefinizione delle dotazioni organiche, prevedendo il rientro della spesa complessiva del personale e stabilendo una serie di criteri da osservare.
Quindi, l’art. 1 della L.R. Puglia n. 11 del 2012 ha disposto che gli interventi di cui sopra sulle dotazioni organiche dovessero avvenire entro e non oltre trenta giorni « dalla data di entrata in vigore delle disposizioni relative alla seconda fase del piano di riordino ospedaliero, prevista dalla l.r. 2/2011 » e che « in caso di mancato rispetto del termine, la Giunta regionale procede, entro e non oltre i dieci giorni successivi, alla nomina di un commissario ad acta ».
Si tratta di dinamica riorganizzativa chiaramente eccezionale.
Ciò è reso evidente proprio dall’art. 1 appena citato.
La norma, nel prevedere tout court l’approvazione, da parte degli enti, delle misure riorganizzative e ciò in termini assai contenuti e con l’intervento sostitutivo, in mancanza, di commissario ad acta , ha portata derogatoria rispetto all’art. 19, co. 10, della L.R. Puglia n. 4 del 2010, secondo cui anche le modifiche all’atto aziendale sono efficaci solo con l’approvazione regionale.
D’altra parte, le delibere qui in esame seguivano ad un ampio coinvolgimento regionale nella formazione dell’accordo con le autorità statali sul piano di rientro e le norme regionali destinate a regolare la vicenda prevedevano come si è visto specifici criteri da osservare.
Nulla di anomalo, quindi, se le modifiche organizzative destinate ad attuare tali prescrizioni regionali e nazionali potessero seguire, anche per ragioni di celerità ed immediatezza, un percorso procedurale diverso.
Del resto, la normativa nazionale -cui certamente quella regionale doveva adeguarsi -prevede solo il rispetto dei « criteri e principi » fissati dalle disposizioni regionali (art. 3, co. 1-bis e art. 2 sexies lett. b d. lgs. n. 502 del 1992), ma non subordina necessariamente l’efficacia delle disposizioni organizzative degli enti alla previa approvazione regionale.
L’insistenza di CISL sull’unitarietà dell’atto aziendale è dunque sterile, perché la situazione è qui ben diversa ed ha comportato la revisione da parte della ASL, in adempimento ai menzionati obblighi normativi specifici, delle dotazioni, sulla base di successivi e progressivi interventi, destinati ciascuno a modificare mano a mano l’assetto organizzativo preesistente.
3.2 Ciò già esclude che possano ritenersi fondati i rilievi che censurano le informative sindacali effettuate dalla ASL per il fatto che esse riguardavano singoli interventi riorganizzativi e non l’intero atto aziendale.
Le ristrutturazioni sono avvenute progressivamente e dunque è normale che anche le informative procedessero di pari passo, in una situazione chiaramente emergenziale, per quanto poi protrattasi nel tempo, nel contesto della quale si è proceduto al riordino aziendale imposto dalle necessità di riequilibrio finanziario.
3.3 Il passaggio motivazionale con cui la Corte territoriale adduce che non vi sarebbe stata comunque necessità di coinvolgimento
sindacale perché l’atto aziendale non sarebbe stato mai assunto è senza dubbio errato.
L’art. 6 del CCNL cui si riferisce il motivo prevede in effetti che vi sia necessità di ‘informazione’ (lett A), tra l’altro, nei casi di adozione di « atti organizzativi di valenza generale » e che essa si traduca poi anche in ‘consultazione obbligatoria’ (lett. C, punto a) quando sia coinvolta l’« organizzazione e disciplina di strutture, servizi ed uffici, ivi compresa quella dipartimentale e distrettuale, nonché la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche ».
Quindi, anche singoli atti parzialmente riorganizzativi imponevano il coinvolgimento sindacale.
Ciò precisato, la Corte d’Appello ha comunque positivamente accertato che la ASL aveva osservato la contrattazione (art. 6 del CCNL di area) « sia con riferimento alle disposizioni in tema di informazione che in tema di consultazione preventiva ed aziendale, dapprima convocando le OO.SS. al Collegio di Direzione della ASL e rappresentando loro il nuovo modello organizzativo, e successivamente comunicando l’adozione della nuova organizzazione delle strutture », il tutto con riferimento agli atti di maggiore importanza assunti nel 2013, per quanto analoghi dati siano riportati poi anche rispetto alle delibere del 2014.
Quanto al tema della portata preventiva delle informazioni, nonché della loro tempestività, trasparenza, costruttività e compiutezza, la censura è del tutto generica e fa riferimento -a fronte di un contrario accertamento di idoneità manifestato dalla Corte territoriale – a valutazioni sicuramente estranee al giudizio di legittimità, in parte qua dovendosi aderire alle conclusioni in punto di inammissibilità formulate dal Pubblico Ministero.
3.4 In definitiva non può dirsi che la Corte d’Appello non abbia pronunciato sulla questione riguardante la necessità di un atto aziendale, avendo essa evidenziato le ragioni per cui si procedette attraverso modifiche organizzative progressive, che costituiscono,
anche sulla base di quanto sopra detto e della normativa di vario rango richiamata anche nella sentenza impugnata, risposta proprio a quella impostazione difensiva.
Né può dirsi che quanto sostenuto dai giudici di appello costituisca violazione di norme di legge o della contrattazione, perché appunto, secondo quanto sopra precisato anche in parziale specificazione ed integrazione della motivazione giuridica, la ASL ha semplicemente modificato la propria organizzazione sulla base di progressivi mutamenti del preesistente assetto ed in forza di specifica normativa di quella fase eccezionale finalizzata al rientro finanziario, il che non appare per nulla illegittimo.
Già si è poi detto in dettaglio sui profili di infondatezza ed inammissibilità dei motivi nelle parti in cui si censura la concreta osservanza delle regole di partecipazione imposte dalla contrattazione collettiva.
4. Il terzo motivo adduce la violazione eo erronea applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 1, 3, 5 e 9 del Regolamento Regionale n. 27 del 2012, degli artt. 3, 4, 5, 6 e 9 del CCNL di area IV del 3.11.2005, dell’art. 2697 c.c., nonché degli artt. 115, co. 1, e 414 n. 4 c.p.c. e dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970.
Con il motivo CISL sostiene che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che gli interventi riorganizzativi non fossero soggetti alla disciplina del Regolamento Regionale n. 27/2012, sulla base di una distinzione di essi rispetto a quelli che quest’ultimo definiva ‘processi di ristrutturazione’, che sarebbero da intendere solo quelli tali da comportare eccedenze per esubero di personale, mai verificatesi presso la ASL che invece era costantemente carente di dirigenti medici.
Il motivo evidenzia come la stessa ASL nelle delibere avesse esplicitamente affermato di procedere applicando il menzionato Regolamento e come la disposta riduzione delle strutture fosse in
sé tale da comportare situazioni di soprannumero dei dirigenti medici interessati.
Proprio a tal fine era stato emanato quel Regolamento, la cui osservanza avrebbe imposto di far precedere le ricollocazioni dei dirigenti ad una fase di contrattazione integrativa aziendale, invece mancata in spregio alle prerogative sindacali, con violazione sia della corrispondente previsione del Regolamento (art. 5, co. 5) sia dell’art. 4, co. 2, lett. F del CCNL cit.
Era poi da considerare errato il rilievo della Corte d’Appello secondo cui la mancata adozione dell’atto aziendale avesse reso inoperanti le regole di partecipazione sindacale, proprio perché la contrattazione integrativa era da ritenere imposta dal citato Regolamento.
Il quarto motivo, denunciando ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970, dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115, co.1 e 414 n. 4 c.p.c., si incentra sul passaggio con cui la Corte d’Appello ha ritenuto che, essendo trascorsi ormai vari anni dall’adozione di quelle determinazioni ed « essendo nella logica delle cose che quelle determine abbiano già anni addietro esplicato i propri effetti » doveva « escludersi ogni tipo di attualità della condotta antisindacale ».
Secondo CISL in esito alla violazione dei previsti livelli di relazione sindacale si sarebbe realizzata la « sussistenza e permanenza degli effetti lesivi » dell’illegittimo comportamento denunciato, senza contare che esso era stato poi reiterato in corso di giudizio.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione logica, sono fondati, nei termini in cui si va a dire.
5.1 Va intanto ribadito che non è fondata l’eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente, per le ragioni già dette al punto 2 che precede.
Né può ritenersi fondata l’eccezione di inammissibilità proposta dal Pubblico Ministero.
Se è indubbio che il ricorso per cassazione muove doglianze rispetto all’operato della ASL, è altrettanto vero che esse sono inserite nel contesto di corrispondenti violazioni della disciplina da osservare nella fase di ricollocazione dei dirigenti che si assume non essere state correttamente apprezzate dalla Corte territoriale e di cui si dirà.
È altresì vero che il quarto motivo è piuttosto sintetico.
Tuttavia, la denuncia sul perdurare nel tempo del comportamento antisindacale e dei suoi effetti valorizza -così integrando una valida critica di legittimità -un profilo diverso rispetto all’argomentazione assunta dalla Corte di merito sul tema dell’assenza di attualità della condotta antisindacale ed incentrata sul risalire ad anni addietro degli atti datoriali.
Di tale diverso profilo va sondata la consistenza giuridica, perché la fondatezza di esso -che, come si dirà, almeno in parte sussiste -comporta l’illegittimità sostanziale della valutazione svolta sul tema nella sentenza impugnata.
6. Ciò posto, non può intanto essere condivisa la ricostruzione della Corte territoriale secondo cui il Regolamento troverebbe applicazione solo rispetto a ‘processi di ristrutturazione’ che si ipotizza sarebbero diversi dai processi di ‘riorganizzazione’ per il fatto che solo i primi determinerebbero esuberi; esuberi che non vi sarebbero, secondo la sentenza impugnata, stante la cronica situazione deficitaria dell’organico dei dirigenti medici della ASL.
L’impostazione di una differenza tra riorganizzazione e ristrutturazione è inconsistente e la riduzione delle strutture cui si è ispirato l’intero piano di rientro e le conseguenti rimodulazioni degli organici sono in sé tali da comportare eccedenza in certe posizioni apicali, che è quanto rileva, mentre non è di interesse alcuno
l’assetto numerico assoluto della componente dei dirigenti medici nell’organico.
6.1 D’altra parte, muovendo su un piano più concretamente normativo, l’art. 5 del Regolamento disciplina espressamente la ricollocazione interna dei « Direttori e i Dirigenti Medici e Veterinari risultati in esubero a seguito dei processi di ristrutturazione stabiliti dalla Regione Puglia », sicché è chiaro che è già una tale condizione che rileva e non l’eccedentarietà rispetto all’organico assoluto dei dirigenti medici, la quale semmai potrebbe venire in evidenza ad altri fini, come quelli dell’opzione datoriale per la mobilità esterna o per il collocamento in disponibilità, ma non è ciò che qui interessa.
Il preambolo al Regolamento richiama poi espressamente le leggi regionali sopra citate al punto 3.1 e che hanno disposto l’attuazione del piano di rientro con riduzione delle strutture e l’art. 9 del Regolamento stabilisce il mantenimento di un tavolo di trattativa permanente -su cui si tornerà -fino all’ultimazione delle procedure di « ricollocazione interna e di mobilità esterna previste nel presente Regolamento ».
Ancor prima, l’art. 3 del Regolamento, nell’occuparsi degli adempimenti degli enti sanitari, stabilisce che « al fine di pervenire alla ricollocazione e alla mobilità dei Dirigenti Medici e Veterinari, all’interno e all’esterno delle Aziende ed Enti del SSR, in condizioni di trasparenza e di imparzialità, ciascuna Azienda Sanitaria, a seguito dei provvedimenti regionali conseguenti ai processi di ristrutturazione e previa intesa con le Organizzazioni Sindacali in sede di contrattazione collettiva integrativa aziendale, ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. F), del CCNL 3.11.2005» , adotti «apposita deliberazione di ricognizione» , ove devono essere indicate le modifiche alle strutture, i posti confermati, quelli soppressi, quelli modificati etc. e ciò « sulla base del provvedimento di definizione delle dotazioni organiche di cui alla l.r. n.11/2012 ».
Quel Regolamento era dunque proprio chiamato a disciplinare la fase di ricollocazione conseguente alla ridefinizione delle strutture.
È pertanto di assoluta evidenza che esso certamente si applica nel caso di specie e sul punto la sentenza è errata.
6.2 È poi parimenti errato, per quanto già precisato ai punti 3.1 ss., sostenere che abbia rilievo l’affermazione della Corte territoriale in ordine alla asserita mancata adozione dell’atto aziendale, in quanto, come si è detto, qui gli interventi organizzativi sono avvenuti progressivamente e per ciascuno di essi dovevano osservarsi gli incombenti previsti dalla normativa, anche sul piano sindacale.
Su tali premesse, è dunque evidente che, dopo l’adozione degli atti di ristrutturazione e riorganizzazione imposti dalla normativa sul rientro finanziario, la riattribuzione dei posti o la ricollocazione del personale doveva essere preceduta da una contrattazione aziendale, prevista dall’art. 3 del Regolamento e dall’art. 4, co. 2, lett. F del CCNL cit. e per la quale, in tale frangente specifico, era previsto il mantenimento di un tavolo ‘permanente’ (art. 9, co. 3, del Regolamento).
La mancata osservanza di tale incombente nelle vicende del 2012 -2014 poste a fondamento della domanda giudiziale, come si dirà anche in seguito, è pacifico e dunque da questo punto di vista il ricorso per cassazione è fondato.
Vi è tuttavia da affrontare l’ulteriore tema della possibilità di attribuire tutela nelle forme di cui all’art. 28 della l. n. 300 del 1970.
La Corte d’Appello lo ha negato, evidenziando come le delibere abbiano ormai consolidato effetti che escluderebbero la tutelabilità rispetto alla condotta antisindacale, ma il ragionamento può essere solo parzialmente condiviso, per le ragioni che si vanno a dire.
Senza dubbio l’azione per antisindacalità e quelle dei singoli lavoratori che possano lamentare lesioni ai loro diritti individuali
sono autonome e tutelano diritti diversi (Cass. 21 settembre 2015, n. 18539 ; Cass. 8 luglio 2013, n. 16930).
E’ peraltro dato acquisito anche quello per cui « in tema di comportamento antisindacale possono configurarsi sia comportamenti lesivi delle sole situazioni soggettive delle organizzazioni sindacali, sia comportamenti “plurioffensivi”, cioè lesivi delle situazioni giuridiche tanto del sindacato che dei lavoratori, come nel caso in cui il comportamento lesivo delle prerogative del sindacato sia consistito nell’attuazione di assetti negoziali dei rapporti di lavoro », sicché « la pronuncia emanata ai sensi dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori può interferire anche sulla regolazione dei contratti di lavoro » (Cass. 6 dicembre 2003, n. 18690).
Tale composito assetto deve trovare un temperamento sul piano del requisito dell’attualità che governa il mezzo di tutela.
Non può negarsi che la pretesa di rimuovere dopo anni gli effetti su una molteplicità di rapporti di lavoro che i lavoratori non abbiano mai messo in discussione sarebbe tendenzialmente irrazionale ed alla fine eccedente rispetto al mezzo che l’ordinamento assicura a tutela delle prerogative sindacali.
Una tutela che scompagini assetti consolidati dei rapporti di lavoro risulterebbe infatti difficilmente giustificabile, visto che l’operato delle organizzazioni sindacali non può che svolgersi su un piano di tendenziale coerenza con l’interesse dei lavoratori e non contro di esso, senza contare la necessità di coordinamento, in ambito di pubblico impiego, anche con i principi di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Il trascorrere del tempo, unito al consolidarsi delle modifiche dei rapporti di lavoro realizzate nonostante la violazione delle regole sulla partecipazione del sindacato, non può quindi essere dato irrilevante.
Da questo punto di vista, l’accento posto dalla Corte territoriale sul fatto che, al momento della pronuncia di secondo grado, erano trascorsi ormai vari anni dall’adozione di quelle determinazioni (per la precisione circa sei anni dalle deliberazioni del 2014, senza contare quelle precedenti) evidenzia un consolidarsi degli effetti lungo un lasso temporale non breve che rende condivisibile il conseguente apprezzamento in ordine al difetto di attualità ivi svolto.
11. Il tema è tuttavia più complesso.
Va intanto richiamato il costante principio espresso da questa S.C., secondo cui « il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale » (Cass. 22 maggio 2019, n. 13860; Cass. 22 maggio 2019, n. 13860; Cass. 12 novembre 2010, n. 23038; Cass. 5 febbraio 2003, n. 1684).
Tale principio non consente di valorizzare in modo totalizzante, per affermare in via dirimente un difetto di ‘attualità’, il fatto che le situazioni dei lavoratori si siano consolidate nel tempo.
In tal modo si attribuirebbe infatti prevalenza alla ‘ragion fattasi’, in spregio allo scopo del processo ed al fatto che la durata di esso non può di regola tradursi in pregiudizio per la parte la cui pretesa era fondata.
Va allora piuttosto ripreso un risalente ma mai contraddetto principio espresso da questa S.C. nel senso che è configurabile « l’interesse del sindacato ad una pronuncia di mero accertamento della condott a», che abbia violato le prerogative sindacali (Cass. 8
ottobre 1998, n. 9991), in quanto in materia « anche pronunce dichiarative possono essere funzionali alla tutela delle libertà e prerogative sindacali » (Cass. 6 giugno 2005, n. 11741).
Coniugando tale principio con quello sopra richiamato in ordine al fatto che il solo esaurimento di una certa azione lesiva non esclude il persistente interesse all’azione ai sensi dell’art. 28 della l. n. 300 del 1970, ne deriva che, quando non sia più attribuibile una tutela in forma specifica con rimozione degli effetti, per il difetto di attualità conseguente al consolidarsi delle situazioni dei lavoratori che ne sarebbero coinvolte, può tuttavia permanere l’interesse parimenti attuale ad una pronuncia di accertamento del verificarsi della lesione.
Interesse che si radica nell’esigenza, richiamata anch’essa dai citati precedenti, di evitare che il trascorrere del tempo sia di avallo definitivo a comportamenti prevaricatori, in spregio ad un corretto andamento delle relazioni intersindacali.
Da quanto punto di vista la sentenza, nell’argomentare sul difetto di attualità, è carente e ciò comporta l’accoglimento, nei termini appena detti, del terzo e del quarto motivo di ricorso.
Non risultano necessarie ulteriori verifiche, in quanto già si è detto come dalla sentenza impugnata si desuma essere pacifico che la contrattazione integrativa imposta dalle norme, per le vicende poste a fondamento dell’originaria domanda giudiziale, non vi sia stata e nelle difese non si fa esplicito e positivo riferimento al fatto che essa fosse stata in quei frangenti invece svolta.
Posta poi l’indifferenza, ai fini dell’identificazione della condotta antisindacale, dell’accertamento di uno specifico intento lesivo dell’attività sindacale (v. Cass., S.U., 12 giugno 1997 n. 5295), la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento in parte qua della originaria domanda, sul mero piano dell’accertamento dell’illegittimità realizzatasi (v. per una pronuncia analoga, Cass. 4 settembre 2024, n. 23714).
È infatti evidente il permanere di un interesse sindacale in tal senso, reso palese non soltanto dall’insistenza nell’azione giudiziale, ma anche dal fatto che il consolidarsi pluriennale di quegli effetti verso i lavoratori, impedendo ora la loro rimozione, finirebbe altrimenti per rendere definitiva l’elusione delle regole di partecipazione sindacale e le conseguenti tutele, come se nulla di illegittimo fosse accaduto.
E dunque certa l’utilità di un accertamento definitivo dell’illegittimità in parte qua dei comportamenti denunciati, onde attestare che non possono ritenersi superabili senza conseguenza alcuna le regole poste a tutela delle prerogative sindacali che siano state nel caso di specie violate.
13.1 Per completezza, si rileva come non possa far venir meno tale interesse il fatto che, nelle delibere del 2020 prodotte da CISL, si dia atto che le ricognizioni sull’organico fossero state « trasmesse e sottoposte » alle OO.SS. in sede di contrattazione decentrata integrativa.
Non bastando l’informativa, ciò infatti non significa che quella contrattazione sia stata svolta e, comunque, l’eventuale rispetto da ultimo delle regole di partecipazione sindacale non escluderebbe l’interesse a far dichiarare l’illegittimità della pregressa mancata osservanza di esse.
L’accoglimento solo parziale della domanda giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigettati i primi due, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l’ antisindacalità del comportamento della ASL di ricollocazione dei dirigenti medici, nell’attuazione dei provvedimenti di riorganizzazione intervenuti a
partire dal 2012, per assenza della prescritta contrattazione integrativa aziendale.
Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro