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Condotta antisindacale: responsabilità del datore

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’azienda è responsabile per condotta antisindacale se impedisce a un sindacato di assistere i propri iscritti durante le procedure di conciliazione. Tale responsabilità sussiste anche se l’esclusione del sindacato è stata decisa dall’associazione di categoria a cui l’azienda aderisce. Secondo la Corte, ciò che rileva è l’oggettiva lesione della libertà e dell’attività sindacale, a prescindere dall’intenzione del datore di lavoro.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Condotta Antisindacale: la Responsabilità Oggettiva del Datore di Lavoro

Nel complesso mondo delle relazioni industriali, la tutela della libertà sindacale è un pilastro fondamentale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini della responsabilità del datore di lavoro in caso di condotta antisindacale, anche quando questa deriva da direttive della propria associazione di categoria. La decisione sottolinea che l’elemento cruciale è il danno oggettivo arrecato ai diritti del sindacato, indipendentemente dalla volontà o dalla colpa dell’azienda.

I Fatti del Caso

Una organizzazione sindacale regionale ha citato in giudizio una grande azienda di telecomunicazioni, accusandola di condotta antisindacale. Il motivo del contendere era il rifiuto, da parte dell’azienda, di permettere al sindacato di assistere i propri iscritti durante la sottoscrizione di accordi conciliativi per l’accesso all’isopensione. Ai lavoratori interessati era stato chiesto di farsi assistere da un’altra organizzazione sindacale o di accettare quella proposta dall’azienda.

L’azienda si era difesa sostenendo che l’esclusione del sindacato non dipendeva da una sua decisione, ma da un veto posto dall’associazione datoriale (nella specie, la sede locale di Unione Industriali), a causa di un conflitto politico-sindacale preesistente tra le due organizzazioni.

La Decisione della Corte d’Appello

In un primo momento, la Corte d’Appello aveva dato ragione all’azienda, rigettando le domande del sindacato. Secondo i giudici di secondo grado, il rifiuto di riconoscere il sindacato come controparte proveniva dall’associazione datoriale e non direttamente dall’azienda. Pertanto, non si poteva configurare una condotta datoriale diretta a ostacolare l’attività sindacale. La Corte territoriale aveva concluso che non si può imporre a un datore di lavoro di fare pressione sulla propria associazione di categoria per risolvere un conflitto tra sindacati.

La Condotta Antisindacale e la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la decisione d’appello, accogliendo il ricorso del sindacato. Gli Ermellini hanno riaffermato un principio cardine dell’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori: per configurare una condotta antisindacale è sufficiente l’elemento oggettivo, ovvero l’idoneità del comportamento del datore di lavoro a ledere, anche solo potenzialmente, gli interessi collettivi tutelati.

Le Motivazioni della Corte Suprema

La Suprema Corte ha chiarito che non è necessario dimostrare il dolo o la colpa del datore di lavoro. La tutela della libertà sindacale scatta anche quando il comportamento lesivo è frutto di un’errata valutazione o dell’adesione a direttive provenienti dalla propria associazione di categoria. Il fatto che l’esclusione del sindacato fosse la conseguenza di un conflitto tra associazioni non esonera l’azienda dalla propria responsabilità. L’azienda, attuando quella decisione, ha concorso oggettivamente a un comportamento lesivo dei diritti del sindacato. I lavoratori iscritti a quel sindacato sono stati di fatto costretti a cambiare rappresentanza per poter concludere la conciliazione, subendo un chiaro pregiudizio alla loro libertà di scelta. La Corte ha inoltre specificato che i sindacati, in quella sede, svolgevano un ruolo di mera assistenza e non di parte contrattuale, rendendo ancora più illegittima l’esclusione basata su veti esterni al rapporto di lavoro.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un importante principio: il datore di lavoro non può nascondersi dietro le decisioni della propria associazione di categoria per giustificare una condotta che, nei fatti, lede i diritti e le libertà sindacali. La responsabilità per condotta antisindacale ha una natura oggettiva: se il comportamento aziendale produce un effetto lesivo per il sindacato, l’azienda è responsabile. Questa decisione rafforza la tutela dell’attività sindacale, garantendo che i lavoratori possano essere assistiti liberamente dall’organizzazione di loro scelta, senza interferenze o veti esterni.

Un datore di lavoro è responsabile per condotta antisindacale se agisce su indicazione della propria associazione di categoria?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il datore di lavoro è responsabile perché ciò che conta è l’effetto oggettivamente lesivo della sua condotta sui diritti sindacali, a prescindere dal fatto che abbia agito in attuazione di una volontà proveniente dalla propria associazione di categoria.

Per qualificare una condotta come antisindacale, è necessario provare l’intenzione (dolo o colpa) del datore di lavoro?
No, non è necessario. La giurisprudenza unanime della Corte stabilisce che ai fini della qualificazione della condotta come antisindacale è sufficiente il solo elemento oggettivo, ovvero l’attitudine, anche solo potenziale, del comportamento a ledere gli interessi sindacali tutelati.

Il rifiuto di permettere a un sindacato di assistere i propri iscritti in una procedura di conciliazione costituisce condotta antisindacale?
Sì. Il fatto che i lavoratori non abbiano potuto avvalersi dell’assistenza del proprio sindacato e siano stati invitati a rivolgersi a un altro, costituisce un comportamento oggettivamente lesivo della libertà e dell’attività sindacale e, pertanto, integra una condotta antisindacale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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