Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26831 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26831 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15948-2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/09/2024
CC
avverso la sentenza n. 231/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/04/2022 R.G.N. 334/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
con sentenza 13 aprile 2022, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il reclamo di NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado, di accertamento, in esito a rito Fornero, di illegittimità del licenziamento intimatogli il 17 ottobre 2019 da RAGIONE_SOCIALE;
essa ha ribadito, indipendentemente dalla qualificazione del rapporto come autonomo (di agenzia) ovvero di lavoro subordinato, la gravità della condotta (di un rilevante ammanco di campioni farmaceutici, ammesso dal reclamante come a sé imputabile, quanto meno sotto il profilo di una loro custodia gravemente negligente, integrante violazione dell’art. 52 del CCNL dell’industria chimico farmaceutica) contestatagli, tale da giustificare la rottura del vincolo fiduciario tra le parti. Né ha ritenuto ammissibile la sua doglianza di omessa pronuncia in ordine alla tardività della contestazione, in difetto di confutazione della pronuncia invece resa dal Tribunale (nel senso di ritenere la contestazione medesima tempestiva, per la congruità del lasso temporale intercorso tra l’accesso ispettivo, di scoperta dell’ammanco e la sua contestazione) ;
quanto al profilo processuale di tardiva erogazione della sanzione, in base all’invocato art. 50 del CCNL del rapporto di lavoro subordinato (qualificazione di premessa per la sua applicazione), la Corte territoriale ne ha escluso la sussistenza, in esito a critico e argomentato scrutinio delle risultanze
documentali (essenzialmente alcune mails e slides , inidonee a provare un’eterodirezione dell’attività del lavoratore, siccome rientranti nell’ambito di un coordinamento dell’attività). E ciò in riferimento al solo rapporto lavorativo formalizzato nel gennaio 2018, per le intervenute periodiche conciliazioni sindacali relative ai pregressi rapporti (tutti formalizzati come di agenzia, nonostante la prestazione assolutamente prevalente non fosse di promozione della vendita, bensì di informazione medico -scientifica), in base a verbali (con più specifico riguardo all’ultimo del 2017) aventi ad oggetto la risoluzione consensuale del rapporto e la ricognizione della natura del rapporto come autonomo, con inserimento su tale presupposto di una clausola abdicativa di diritti eventualmente da esso derivanti ( ‘anche per crediti nascenti da una diversa strutturazione giuridica del rapporto’ ): così ravvisata, in esito ad argomentato ragionamento in ordine all’effettività della volontà di recesso dal rapporto, la preclusione di dedurre, a causa della risoluzione espressamente intervenuta, la nullità della conciliazione per rivendicare la continuità del rapporto lavorativo;
con atto notificato il 13 giugno 2022, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui la società ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che una conciliazione, anche in sede protetta, precluda l’indagine sulla
natura (autonoma o subordinata) del pregresso rapporto e che la stipulazione di successivi contratti possa incidere sulla già avvenuta conversione, ai sensi dell’art. 69, primo comma d.lgs. 276/2003, anche senza la prova di una novazione; nullità della sentenza per omessa pronuncia e comunque violazione e falsa applicazione dell’art. 1230 c.c. sui requisiti della novazione oggettiva in materia di lavoro e sulla sua validità; violazione del principio di infrazionabilità del rapporto di lavoro e sulla presunzione di unitarietà ed unicità dello stesso, per avere la Corte territoriale ritenuto rilevante ai fini di causa esclusivamente l’ultimo contratto di agenzia (primo motivo);
2. esso è infondato;
3. secondo principio consolidato da epoca risalente nella giurisprudenza di questa Corte, il regime di annullabilità degli atti contenenti rinunce del lavoratore a diritti garantiti da norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, previsto dall’art. 2113 c.c., riguarda soltanto le ipotesi di rinuncia a diritti già acquisiti, non invece ancora non acquisiti nel patrimonio del rinunciante (Cass. 8 luglio 1988, n. 4529, secondo cui la transazione con la quale il lavoratore riconosca il carattere autonomo, anziché subordinato, del rapporto di lavoro intercorso con la controparte fino ad una certa data, da cui essa si obbliga ad assumerlo, resta soggetta alla disciplina dell’art. 2113 c.c. solo per la parte di rinuncia del lavoratore a diritti già acquisiti e non anche per la parte di rinuncia a diritti non ancora maturati; Cass. 20 maggio 2013, n. 1227 e Cass. 11 ottobre 2018, n. 25315, in motivaz. sub p.to 5, in riferimento a verbali di conciliazione preclusivi della possibilità per i lavoratori di rivendicare differenze retributive per scatti di anzianità maturati in base alla anzianità pregressa nel periodo antecedente la formale assunzione, ma non il diritto di avvalersi di tale
anzianità al fine del computo degli scatti di anzianità maturati dopo l’assunzione), né diritti ancora controversi in quanto oggetto di una pretesa giudiziale e pertanto non già acquisiti nel patrimonio del rinunciante (Cass. 27 aprile 2021, n. 11108; Cass. 21 gennaio 2022, n. 1887). In particolare, la categoria dei diritti indisponibili -cui si applica, qualora abbiano formato oggetto di rinunzie o transazioni, l’art. 2113 c.c. -comprende non soltanto i diritti di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona, ma, alla luce della ratio sottesa alla disposizione codicistica a tutela del lavoratore quale parte più debole del rapporto di lavoro, ogni altra posizione regolata in via ordinaria attraverso norme inderogabili, salvo che vi sia espressa previsione contraria (Cass. 7 settembre 2021, n. 24078, che nella specie ha ritenuto annullabile, a norma dell’art. 2113 c.c., se impugnata ed in presenza dei relativi presupposti, la transazione relativa alla cessazione dei rapporti di collaborazione formalmente autonoma succedutisi tra le parti, di cui era stata successivamente accertata in via giudiziale la natura subordinata);
3.1. la Corte territoriale ha esattamente applicato i suenunciati principi di diritto alle conciliazioni tra le parti degli anni 2015 e 2017 -aventi ad oggetto la risoluzione consensuale del rapporto e la ricognizione della sua natura come autonomo, con inserimento su tale presupposto di una clausola abdicativa di diritti eventualmente da esso derivanti ( ‘anche per crediti nascenti da una diversa strutturazione giuridica del rapporto’ ) -che (palesemente riguardanti diritti derivanti dai rapporti pregressi e non diritti futuri), non impugnate nei sei mesi prescritti a pena di decadenza dall’art. 2113, secondo comma c.c., ha ritenuto preclusive della possibilità di dedurre la loro
nullità per rivendicare la continuità del(l’unico) rapporto lavorativo prospettato dal ricorrente: così correttamente individuando quale ‘unica questione … residua … quella relativa allo svolgimento del rapporto lavorativo formalizzato nel gennaio 2018’ (così al terz’ultimo capoverso di pg. 22 della sentenza). E ciò ha fatto con articolato ragionamento interpretativo congruamente argomentato (per le ragioni esposte al p.to 5.6 da pg. 17 a pg. 22 della sentenza), spettante al giudice di merito e neppure adeguatamente censurato, pertanto insindacabile, in difetto degli errori di diritto infondatamente denunciati, in sede di legittimità.
4. il ricorrente ha poi dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2 d.lgs. 81/2015 e 2094 c.c., per l’erroneo accertamento, limitato soltanto all’ultimo periodo successivo all’ultima conciliazione (2 gennaio 2018 17 ottobre 2019), della natura del rapporto tra le parti, autonomo anziché subordinato, sulla base di diverse anomalie motivazionali (secondo motivo); nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 24 Cost., 2697 c.c. e vizio di motivazione, in relazione alla mancata ammissione della prova testimoniale, per genericità della deduzione (terzo motivo);
5. essi sono inammissibili;
6. con chiare e corrette argomentazioni, certamente esenti dalle denunciate anomalie motivazionali, la Corte territoriale ha infatti esaminato il solo, per le ragioni dette, rapporto lavorativo formalizzato nel gennaio 2018, negandone il riferimento sia al l’etero direzione, ma anche alla etero -organizzazione (ossia agli indici sintomatici della subordinazione), sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie (essenzialmente alcune mails e slides , la dotazione di Ipad ) e negando la rilevanza della prova orale dedotta (in particolare, sub C21) e l’irrilevanza del
generico richiamo a tutte le istanze istruttorie (dall’ultimo capoverso di pg. 22 al terz’ultimo di pg. 27 della sentenza). Sicché, le censure si risolvono in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e della ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione
7. il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (in conformità alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2024
Il Presidente
(AVV_NOTAIO NOME COGNOME)