Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31964 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31964 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22413-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE ABDESSATTAR, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 568/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/07/2022 R.G.N. 280/2022;
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 22413/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Corte d’appello di Bologna ha respinto il reclamo di NOME COGNOME confermando la sentenza di primo grado che, al pari dell’ordinanza pronunciata all’esito della fase sommaria, aveva rigettato l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato al predetto dalla RAGIONE_SOCIALE con lettera del 5.9.2019.
La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha escluso la inefficacia del licenziamento per difetto di forma scritta avendo accertato che, con email del 16 dicembre 2016, l’avv. NOME COGNOME, legale del signor COGNOME, aveva richiesto alla società di ‘inviare cortesemente presso questo studio legale… tutta la corrispondenza al medesimo diretta’ e dovendosi presumere che ciò fosse stato fatto con l’autorizzazione del COGNOME che, infatti, non ne aveva mai contestato l’esistenza. Secondo i giudici d’appello, la locuzione contenuta nell’e-mail citata doveva essere interpretata alla stregua di una ‘elezione di domicilio presso il difensore’, con conseguente ritualità, dal punto di vista della forma scritta, dell’intimato licenziamento. La Corte di mer ito ha ritenuto sussistente l’addebito contestato (per avere il dipendente utilizzato il telefono cellulare in un ambiente in cui vengono lavorati i prodotti petroliferi infiammabili e dove l’utilizzo dei telefoni cellulari, come di qualsiasi altro dispositivo o apparecchiatura elettrica o elettronica, è vietato potendo essi costituire fonte d’innesco) e lo stesso idoneo a integrare una giusta di recesso.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La RAGIONE_SOCIALE spa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2, legge 604 del 1966, degli artt. 47, 1334 e 1335 c.c., degli artt. 1362 e 1363 c.c., dell’art. 8, sez. IV titolo VII del c.c.n.l . Industria Metalmeccanica.
Si argomenta che la e-mail del 16 dicembre 2016 aveva lo scopo di comunicare alla datrice di lavoro l’indirizzo corretto del lavoratore al quale inviare tutte le comunicazioni inerenti il rapporto di lavoro; che con la stessa e-mail il legale del COGNOME, in considerazione del nutrito contenzioso in essere tra le parti, aveva anche chiesto alla società la cortesia di inviargli la corrispondenza diretta al lavoratore; che tale e-mail, non sottoscritta dal lavoratore, non poteva essere considerata, neppure implicitamente, una dichiarazione di elezione di domicilio presso l’avvocato; che la stessa non integrava nessuno dei requisiti previsti dall’articolo 47 c.c. ai fini dell’elezione di domicilio poiché non era sottoscritta dall’interessato e non era afferente a specifici atti o affari; che l’atto di elezione di domicilio deve avere caratteri di incontroversa univocità; che nella specie era irrilevante la richiesta (verbale) del lavoratore alla società di inviare la lettera di contestazione di addebito presso il proprio legale; che tale richiesta non poteva essere intesa come tale da imporre alla società di inviare solo presso il legale la successiva lettera di licenziamento; che la società ha inviato la lettera di contestazione all’effettivo indirizzo del lavoratore e solo per conoscenza al difensore; che anche tutta la corrispondenza successiva alla e-mail del 16 dicembre 2016
è stata indirizzata al lavoratore presso la propria abitazione, oltre che in alcuni casi al difensore per conoscenza; che la lettera di licenziamento non è stata inviata all’indirizzo anagrafico del lavoratore, presso cui era stata inviata la lettera di contestazione, con conseguente qualificazione del licenziamento come privo di forma scritta e, quindi, orale.
7. La difesa del ricorrente ha ribadito l’irrilevanza e la non operatività della fictio iuris di cui all’articolo 1334 c.c., anche in relazione all’articolo 1335 c.c. Ha sostenuto che, ove anche si aderisse alla tesi della società, secondo cui l’avvenuta impugnazione del licenziamento ad opera del lavoratore (in via stragiudiziale con pec del difensore dell’11 ottobre 2019 e poi in via giudiziale) attesterebbe che la comunicazione è entrata nella sfera di conoscenza del medesimo ed ha prodotto i propri effetti ai sensi dell’articolo 1334 c.c., il licenziamento sarebbe comunque nullo perché intimato oltre il termine di decadenza previsto dall’art. 8, comma 4, sez. IV titolo VII del c.c.n.l. di categoria, ai sensi del quale ‘se il provvedimento non verrà comunicato entro i sei giorni successivi alla scadenza del termine per le giustificazioni queste si riterranno accolte’; nel caso in esame la contestazione di addebito è avvenuta il 28 agosto 2019, la lettera di giustificazioni reca la data del 2 settembre 2019, la pec di impugnazione del licenziamento, a cui dovrebbe riferirsi la conoscenza di esso da parte del lavoratore, è dell’11 ottobre 2019, risultando il licenziamento intimato dopo 39 giorni (anziché 6) dalla scadenza del termine per le giustificazioni (2.9.2019); che la previsione nel contratto collettivo di un termine entro cui il datore di lavoro deve assumere il provvedimento disciplinare determina la decadenza dal potere di irrogare le sanzioni; che il licenziamento deve ritenersi in tal caso nullo o inefficace, con applicazione della
tutela di cui all’art. 18, commi 1 e 2 della legge 300 del 1970 o, in subordine, illegittimo, con la tutela di cui all’articolo 18, comma 4.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. Si censura la decisione di appello nella parte in cui ha giudicato non provato il fatto che il lavoratore avesse scattato delle fotografie sebbene si trattasse dell’unico uso prospettato sia nella contestazione di addebito che nella lettera di licenziamento. Si critica il ragionamento presuntivo svolto dai giudici di merito, che hanno ritenuto raggiunta la prova dell’effettivo utilizzo del telefono acceso da parte del lavoratore poiché questi è stato visto reggere il dispositivo con le mani puntandolo in avanti, in quanto non sorretto da regole di comune esperienza né fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti.
Il primo motivo non è fondato, dovendosi tuttavia, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c., correggere la motivazione della sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la e -mail del 16.12.2016 contenesse una elezione di domicilio del lavoratore presso il difensore.
La e-mail inviata dal difensore alla società aveva il seguente contenuto: ‘La presente per comunicare, ad ogni effetto di legge e di contratto, che il sig. NOME COGNOME ha trasferito la propria residenza in 60033 Chiaravalle (AN), INDIRIZZO Con l’occasione, rinnovo la richiesta di inviare cortesemente presso questo Studio legale in 47521 Cesena (FC), INDIRIZZO, tutta la corrispondenza al medesimo diretta. Distinti saluti. Avv. NOME COGNOME.
L’elezione di domicilio, quale criterio sostitutivo dei normali luoghi di localizzazione della persona, costituisce un atto
unilaterale di diritto sostanziale e deve essere fatta espressamente per iscritto e per “determinati atti e affari”, come stabilito dall’art. 47 c.c. Occorre, in altri termini, che l’elezione risulti in modo espresso ed inequivoco, sia con riferimento alla volontà della dichiarazione, quanto all’ambito della stessa. La dichiarazione di elezione non solo non può desumersi da fatti concludenti (v. Cass. n. 25647/2008), ma deve essere, altresì, interpretata restrittivamente, e cioè con esclusivo riferimento agli atti ed affari in essa richiamati, dal momento che solo per gli stessi può presumersi una certa ed univoca volontà abdicativa del rapporto che normalmente si instaura fra la ricezione degli atti e i luoghi di abituale residenza e frequentazione (v. Cass. n. 17101 del 2011).
12. Nel caso in esame, è sufficiente considerare come la e-mail del 16.12.2016 non fosse sottoscritta dal lavoratore, il che ne preclude di per sé la qualificazione come elezione di domicilio. La stessa neppure faceva riferimento a ‘determinati atti o affari’ bensì genericamente a ‘tutta la corrispondenza’ al medesimo diretta e non potesse neanche logicamente intendersi riferita ad un procedimento disciplinare, poi sfociato nel licenziamento, all’epoca neppure iniziato.
13. Ferma l’inesistenza di una elezione di domicilio del Trabelsi presso il difensore, deve tuttavia escludersi che il licenziamento al medesimo intimato con lettera inviata solo all’indirizzo del difensore (non domiciliatario) sia avvenuto in violazione d ell’obbligo di forma scritta e che, quindi, debba considerarsi inefficace perché intimato oralmente.
Questa Corte ha puntualizzato che l’art. 2, legge n. 604 del 1966, nel prescrivere, a pena di inefficacia, l’obbligo della comunicazione per iscritto del licenziamento, non richiede l’uso di formule o modalità specifiche, purché la volontà datoriale di
porre fine al rapporto sia chiara ed univoca, ai fini della tutela dell’affidamento del destinatario su cui grava l’onere di una tempestiva impugnazione. Si è aggiunto che, ai fini della validità formale del licenziamento, non occorre che la comunicazione scritta, intesa alla risoluzione del rapporto di lavoro, sia diretta al lavoratore, ma è necessario che sia portata a sua conoscenza (Cass. n. 14090 del 2006; n. 17652 del 2007; n. 6447 del 2009; n. 12499 del 2012; n. 24391 del 2022). Sotto quest’ultimo profilo, si è considerato valido atto scritto la comunicazione del licenziamento inoltrata alla Sezione circoscrizionale del lavoro, se trasmessa anche al lavoratore (Cass. n. 12529 del 2002; n. 14090 del 2006 cit.) e parimenti la comunicazione dell’atto di recesso a mezzo di ufficiale di polizia giudiziaria, ancorché quest’ultimo fosse sprovvisto dei requisiti soggettivi per procedere a una vera propria notifica (Cass. n. 12499 del 2012). 15. Nel caso in esame, la lettera di licenziamento trasmessa dalla società al difensore è comunque giunta a conoscenza del lavoratore, producendo i suoi effetti ai sensi dell’art. 1334 c.c.; quest’ultimo ha, infatti, tempestivamente proposto l’impugnativa. La modalità indiretta (per il tramite del difensore) attraverso cui l’atto scritto di recesso è giunto al lavoratore è idonea a soddisfare l’obbligo di forma scritta, di cui all’art. 2 cit., e preclude la configurabilità del vizio di inefficacia dell’atto risolutivo del rapporto.
Deve ora esaminarsi la seconda censura oggetto del primo motivo di ricorso concernente la tardività del licenziamento. Essa è infondata.
L’art. 8, comma 4, sezione IV, titolo VII del c.c.n.l. Industria Metalmeccanica prescrive che ‘se il provvedimento (di licenziamento) non verrà comminato entro i 6 giorni successivi
alla scadenza del termine per le giustificazioni, queste si riterranno accolte’.
Nel caso in esame, in base all’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado (v. trascrizione a p. 7, penultimo cpv., della sentenza d’appello) e fatto proprio dai giudici di appello (p. 14, penultimo cpv.), il licenziamento è stato intimato con lettera del 5.9.2019, a fronte delle giustificazioni rese dal lavoratore il 2.9.2019.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8830 del 2010), pronunciandosi sull’impugnativa del licenziamento, ai sensi dell’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, richiamati i principi generali in tema di decadenza enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale, hanno sancito che l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza. I principi enunciati dalle Sezioni Unite sono stati ribaditi in riferimento alla comunicazione per iscritto dei motivi di licenziamento nel termine previsto dall’art. 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 (Cass. n. 6757 del 2011) ed anche per la comunicazione del licenziamento nel termine previsto dal contratto collettivo. A tale proposito, e riguardo proprio alle previsioni del contratto collettivo Metalmeccanica, questa Corte ha già affermato che il termine – stabilito dallo stesso articolo – di sei giorni dal ricevimento delle giustificazioni del lavoratore, entro cui comminare i provvedimenti disciplinari diversi dal richiamo verbale, è rispettato con la spedizione della
lettera contenente l’irrogazione della sanzione (così Cass. n. 22295 del 2017; v. in senso analogo Cass. n. 18823 del 2018 a proposito del c.c.n.l. per i dipendenti di Poste Italiane spa; v. anche Cass. n. 10802 del 2023 in motivazione, che ha escluso l’ef fetto impeditivo della decadenza nel caso di invio, nel termine previsto dal contratto collettivo, della comunicazione di licenziamento non andata a buon fine, per causa imputabile al datore di lavoro).
20. Alla luce di tali indiscussi principi e avuto riguardo alla data di invio della lettera di licenziamento (5.9.2019), deve confermarsi il rispetto del termine contrattuale di sei giorni (dalla scadenza del termine per le giustificazioni rese dal lavoratore il 2.9.2019), con conseguente infondatezza della censura di tardività dell’atto risolutivo. Non vi è spazio per avallare la tesi difensiva del ricorrente, di situare il decorso del termine di sei giorni per l’intimazione del licenziamento nel momento della impugnativa stragiudiziale in quanto dimostrativa della conoscenza dell’atto risolutivo da parte del dipendente, poiché essa prescinde dal principio della scissione tra il momento in cui la volontà di recedere è manifestata e quello in cui si producono gli effetti ricollegabili a tale volontà. Tale principio deve trovare applicazione ogniqualvolta nell’ambito del procedimento disciplinare il momento della esternazione della volontà non coincida con quello della conoscenza da parte del destinatario, perché diversamente risulterebbe intaccato il parametro di ragionevolezza ed uguaglianza formale e sostanziale tra i soggetti coinvolti (così Cass. n. 22171 del 2017, in motivazione).
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’appello, in conformità al tribunale e in base ad una interpretazione della lettera di contestazione non censurata
in questa sede, ha individuato l’addebito mosso al dipendente nell’utilizzo del telefono cellulare in un ambiente in cui erano trattati prodotti petroliferi infiammabili e in cui l’uso di qualsiasi dispositivo elettronico era vietato, potendo costituire fonte di innesco. Ha accertato, facendo proprie le valutazioni del primo giudice, che il lavoratore aveva il telefono acceso e lo aveva usato, contravvenendo al divieto. Ha ricavato tale prova dalle deposizioni testimoniali raccolte, che avevano descritto il dipendente nell’atto di reggere il telefono in mano come per scattare delle fotografie.
23. Questa Corte ha in modo costante affermato che spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010). Con la conseguenza di escludere che chi ricorre in cassazione possa limitarsi a dedurre che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva avrebbe dovuto condurre ad un esito interpretativo diverso da quello raggiunto nei gradi inferiori (v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017), spettando al giudice del merito l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’ íd quod plerumque accidit (v. Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 6838 del 2023). Si è precisato che rientra nella sfera del controllo di legittimità soltanto la verifica sul rispetto dei principi che regolano la prova per presunzioni (cfr. Cass. n. 5332 del 2007;
Cass. n. 1216 del 2006; Cass. n. 3974 del 2002) e quindi sulla correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute (senza che ciò possa tradursi in un nuovo accertamento o nella ripetizione dell’esperienza conoscitiva propria dei gradi precedenti); che appartiene al giudizio di legittimità, inoltre, il sindacato sulle massime di esperienza utilizzate nella valutazione delle risultanze probatorie. Tale controllo non può peraltro spingersi fino a sindacarne la scelta, dovendo questa S.C. limitarsi a verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ovvero su ipotesi non rispondenti all’ id quod plerum accidit o su regole generali prive di una sia pur minima plausibilità invece che su vere e proprie massime di esperienza (in tal senso Cass. n. 6387 del 2018).
24. Il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, che hanno ravvisato nel contegno del lavoratore, descritto da plurimi testimoni, di tenere in mano il cellulare acceso come per scattare fotografie (contegno a tal punto realistico da aver spinto i colleghi a riferire quanto accadeva al capo cantiere), un utilizzo vietato di detto dispositivo, risponde certamente a criteri di logicità, a massime di comune esperienza e all’ id quod plerum accidit , non potendo quindi dubitarsi del rispetto delle regole della prova presuntiva. Nel contesto descritto, la censura di parte ricorrente, sulla mancata prova di effettiva esecuzione delle fotografie, fa leva su un elemento inidoneo a scalfire la correttezza logico giuridica del ragionamento seguito, fondato sulla verosimile realizzazione di detta condotta, tanto da aver indotto i colleghi a informare i superiori gerarchici.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
27. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 10 ottobre2024