Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11865 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 11865 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso 12809-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. 12809/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/04/2024
PU
avverso la sentenza n. 115/2020 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/01/2020 R.G.N. 1154/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/04/2024 dal Consigliere AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME in proprio e per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
FATTO
Con sentenza 27 gennaio 2020, la Corte d’appello di Milano ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato da RAGIONE_SOCIALE il 9 (10) novembre 2018 a NOME COGNOME per superamento del periodo di comporto, condannato la società alla sua reintegrazione nelle mansioni precedentemente occupate o equivalenti e a risarcirgli il danno in misura pari all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge e al versamento della relativa contribuzione previdenziale e assistenziale: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande del lavoratore.
Diversamente dal Tribunale, la Corte territoriale ha optato per un’interpretazione secondo il criterio oggettivo della voluntas legis , piuttosto che soggettivo della voluntas legislatoris , ritenendo l’art. 7, secondo comma d.lgs. 81/2015 -in continuità con l’esegesi storico -sistematica del previgente art. 4, secondo comma d.lgs. 61/2000 -escludere la riduzione del periodo di comporto per malattia, per i
lavoratori a tempo parziale, in assenza di una mediazione delle parti sociali. Ed ha così riconosciuto al lavoratore, in regime orario (per sei mesi dall’1 aprile al 30 settembre 2017 e ancora dal 4 giugno al 2 dicembre 2018) di tempo parziale verticale al 67%, avendo egli fruito di un periodo di aspettativa per motivi di salute di 150 giorni (dal 24 novembre 2017 al 22 aprile 2018), la spettanza di un periodo di comporto di dodici mesi, pari a 365 giorni (e non già a 328, come invece ritenuto dal Tribunale, nella prospettiva di un riproporzionamento anche del periodo di comporto), nell’arco di trentasei mesi consecutivi, ai sensi dell’art. 31 CCNL di settore applicabile, non derogante alla norma di legge. E ha pertanto ritenuto detto periodo non superato dai 332 giorni di assenza per malattia del lavoratore reclamato.
Con atto notificato il 27 marzo 2020, la società ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui il lavoratore ha resistito con controricorso.
La causa, già fissata per una prima adunanza camerale, è stata rinviata ad una successiva, in ragione di esigenze organizzative interne, comportanti la modificazione di composizione del collegio.
La ricorrente ha reiterato la comunicazione della memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c. già depositata per la precedente adunanza e il lavoratore comunicato la propria.
In considerazione della rilevanza nomofilattica della questione, la trattazione della causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la fissazione all’odierna pubblica udienza.
Il P.G. ha comunicato requisitoria nel senso del rigetto del ricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 7, secondo comma d.lgs. 81/2015, per non avere la Corte territoriale esattamente interpretato la norma denunciata, recante la previsione di riproporzionamento, a differenza del previgente art. 4, secondo comma d.lgs. 61/2000 -che distingueva i trattamenti normativi ‘non riducibili’ (tra i qu ali la durata del periodo di comporto), alla lett. a ), da quelli retributivi riproporzionati, alla lett. b ) -del ‘trattamento economico e normativo … in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa’ , rimettendo ai contratti collettivi la possibilità di ‘modulare la durata’ , in particolare, ‘ … del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro’ , con disposizione non superflua, ben potendo il potere della contrattazione collettiva non essere necessariamente limitato ad una rimodulazione in melius ; traendosi poi ulteriore argomento di conferma, sia pure in via sussidiaria, dalla lettura dei lavoratori parlamentari, esplicitamente rifiutata dalla Corte.
Con il secondo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 20, terzo comma CCNL 2016 Mobilità/Attività Ferroviarie, per la definizione de ‘i trattamenti economici e normativi spettanti al lavoratore a tempo parziale … sulla base del criterio di proporzionalità’ , con espressione di una precisa ed autonoma volontà della norma collettiva di attuare il principio del riproporzionamento, non limitandosi così soltanto a richiamare il testo di legge, cui anzi rinvia soltanto al ventitreesimo comma (secondo cui: ‘per quanto non disciplinato al presente articolo si fa rinvio al D.lgs. 15 giugno 2015 n. 81’ ), suffragata dal comportamento delle
organizzazioni sindacali, che mai ne hanno contestato le modalità applicative, esplicitate nella nota Prot. NUMERO_DOCUMENTO del 22 ottobre 2014, di computo del comporto in proporzione alla riduzione dell’orario predeterminato nel corso della settimana, mese o anno in caso di part time verticale, senza tuttavia riproporzionare il limite esterno di 36 mesi.
Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
Nonostante l’espressa abrogazione del d.lgs. 61/2000 (art. 55, lett. a ), il d.lgs. 81/2015 ha recepito il principio di non discriminazione con la previsione dell’art. 7, primo comma, secondo cui: ‘Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento’ .
La nuova normativa si è posta in tale alveo normativo, letto alla luce della direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale come interpretata dalla giurisprudenza della CGUE (in particolare: sentenza 12 ottobre 2004, causa C-313/2002, Wippel , n. 56, in relazione alla precisazione del divieto di discriminazione nella materia, quale espressione specifica del principio generale di uguaglianza; sentenza 3 marzo 2021, causa C-841/19, Fogasa , nn. da 42 a 44, di specificazione delle ragioni oggettive indicate alla clausola 4, secondo comma della Direttiva, in riferimento al criterio giustificante la riduzione proporzionata delle ‘condizioni di impiego’ in ogni ipotesi strettamente correlata alla quantità della prestazione resa), per l’es plicita enunciazione, come detto, del principio di non discriminazione, che il d.lgs. 61/2000 aveva, con l’art. 4, secondo comma, declinato nei suoi specifici effetti sui diritti e i trattamenti spettanti al lavoratore a tempo parziale.
4.1. Esso distingueva, infatti, le ipotesi in cui, in base al principio di non discriminazione, era esclusa la compressione o riduzione di una serie di diritti facenti capo al lavoratore, per effetto della riduzione della prestazione lavorativa (‘l’importo della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità; la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia ; …’ : art. 4, secondo comma, lett. a ) e quelle in cui era invece consentita una proporzionale riduzione, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa ( ‘in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, l’importo della retribuzione feriale, l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità’ ; ferma restando ‘la facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi … di prev edere che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura più che proporzionale’ : art. 4, secondo comma, lett. b ): così operando una chiara distinzione fra quegli istituti a connotazione non strettamente patrimoniale, al riparo da qualsiasi riduzione connessa alla minore entità della durata della prestazione lavorativa e quegli istituti aventi, invece, una connotazione patrimoniale in stretta corrispettività con la durata prestazione, rispetto ai quali era stato ammesso il riproporzionamento del trattamento del lavoratore, addirittura, sia pure con la mediazione delle parti collettive, in misura più che proporzionale alla minore entità della prestazione riconducibili ad un ambito di diritti (Cass. 22 settembre 2017, n. 22925, in motivazione sub p.ti 6.6 e 6.7).
Quanto al periodo di comporto, qui d’interesse, essa ne prevedeva la possibilità di modulazione, con ‘i contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 3’ (in particolare: ‘nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o i contratti aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni … ‘ ), del ‘la durata … qualora l’assunzione avvenga con contratto di lavoro a tempo parzial e di tipo verticale’ (art. 4, secondo comma, lett. a , ult. parte).
Nell’interpretazione giurisprudenziale ( Cass. 30 dicembre 2009, n. 17792; Cass. 22 settembre 2017, n. 22925, richiamata anche da Cass. 20 febbraio 2018, n. 4096, in materia di permessi ai sensi dell’art. 33 legge n. 104/1992), essa era letta secondo ‘il criterio che può ragionevolmente desumersi … di una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all’adozione del rapporto di lavoro part time e, nello specifico, del rapporto part time verticale’ . Sicché, in particolare, ‘in coerenza con tale criterio, valutate le opposte esigenze’ appariva ‘ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi in oggetto. ‘ (Cass. 22 settembre 2017, n. 22925, in motivazione sub p.to 6.12).
5. Il d.lgs. 81/2015 ha riconosciuto al ‘lavoratore a tempo parziale i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile’ (art. 7, secondo comma, prima parte) ed
assunto la regola del riproporzionamento del ‘trattamento economico e normativo … in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa’ , nel rispetto del principio di non discriminazione (art. 7, secondo comma, primo periodo). Ma esso ha pure espressamente stabilito -ancorché meno esplicitamente rispetto all’art. 4, secondo comma, lett. a ), ult. parte d.lgs. 61/2000 appena illustrato -la possibilità per la contrattazione collettiva di una modulazione del ‘la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e di infortunio’ (quest’ultima ipotesi si segnala quale importante estensione innovativa rispetto alla precedente disciplina) ‘in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro’ (art. 7, secondo comma, secondo periodo).
In tal modo, la nuova normativa ha mantenuto la distinzione tra contratto di lavoro parziale di tipo orizzontale e di tipo verticale e valorizzato la specificità di questo secondo ancora per il tramite della contrattazione collettiva (come risulta anche dai lavori preparatori della riforma del d.lgs. 81/2015, per la pa rte trascritta dall’ultimo capoverso di pg. 13 all’ultimo di pg. 14 del ricorso RAGIONE_SOCIALE).
5.1. Occorre allora scrutinare la disciplina al riguardo del CCNL Mobilità/Area Attività Ferroviarie 16 dicembre 2016, applicato ratione temporis nel caso di specie.
Ebbene, l’ art. 31 (regolante ‘Malattia e infortunio non sul lavoro’) stabilisce, in merito al comporto e per quanto qui interessa, il diritto del lavoratore assente per malattia alla conservazione del posto, con il riconoscimento dell’anzianità a tutti gli effetti, anche ai fini del passaggio alla posizione retributiva superiore nell’ambito RAGIONE_SOCIALE stesso livello professionale, per un periodo di comporto di 12 mesi, regolando poi le modalità di corresponsione dalle aziende del trattamento economico integrativo (sesto comma) e ne fissa la durata in un arco temporale di 36 mesi consecutivi (settimo
comma), eventualmente prorogabili, come avvenuto nell’odierna vicenda, con periodi (oltre che di ferie maturate e non fruite) di aspettativa, da richiedere dal lavoratore per iscritto (nono comma). Esso, tuttavia, non contiene alcun riferimento al lavoro part time .
D’altro canto, neppure l’art. 20 (regolante il ‘Lavoro a tempo parziale’) contiene alcuna previsione in merito, limitandosi alla definizione dei trattamenti economici e normativi spettanti ‘sulla base del criterio di proporzionalità’ (art. 20, terzo comma) e rinviando, con disposizione di chiusura, ‘per quanto non disciplinato nel presente articolo … al D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81’ (art. 20, ventitreesimo comma).
6. All’esito della superiore ricostruzione del vigente quadro normativo, letto anche in comparazione con il precedente, si ricava allora, come ben si comprende, la sola regola legislativa di riproporzionamento del trattamento economico e normativo in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, con previsione della possibilità per la contrattazione collettiva di una modulazione della durata del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e di infortunio, in relazione all’a rticolazione dell’orario di lavoro (in riferimento, per quanto detto, al lavoro parziale di tipo verticale).
In assenza di alcuna indicazione concreta per il riproporzionamento del termine interno ma anche esterno del periodo di comporto, né certa né tanto meno applicabile nella generalità dei casi (per la variegata e multiforme articolazione del lavoro a tempo parziale verticale, ossia con ‘attività lavorativa … svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno’ : secondo la definizione dell’art. 1, secondo comma, lett. d ) d.lgs. 61/2000), appare evidente che la regola legale non sia autoapplicativa, ma
esiga la mediazione negoziale delle parti sociali. Ed è ciò che appunto prevede, per ‘la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia e di infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro’ , l’art. 7, secondo comma, secondo periodo d.lgs. 81/2015, in deroga alla regola generale dell’art. 7, secondo comma, primo periodo, di riproporzionamento del ‘trattamento economico e normativo … in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa’ .
Con il terzo motivo, la ricorrente ha infine dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale l’espressa pattuizione (con debita indicazione della sua deduzione nelle due fasi del giudizio di primo grado e quindi di reclamo) del riproporzionamento di ‘qualsiasi altro elemento di natura normativa e contrattuale … in relazione alla ridotta durata della prestazione’ nell’accordo individuale tra le parti di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in tempo parziale, non contrastante con alcuna norma contrattuale collettiva, né di legge.
Anch’esso è infondato.
La circostanza dedotta non integra, infatti, un ‘fatto storico’ (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053), consistendo piuttosto nella sollecitazione di una valutazione giuridica, di natura interpretativa di una pattuizione negoziale, al di fuori del circoscritto ambito di devoluzione del vizio denunciato.
Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto del ricorso, con regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del richiedente AVV_NOTAIO antistatario, nonché con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535), sulla
base del seguente principio di diritto, enunciato ai sensi dell’art. 384, primo comma c.p.c.:
‘In tema di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, la durata del periodo di comporto non può essere riproporzionata, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, in assenza di previsione dei contratti collettivi, ai sensi dell’art. 7, secondo comma, secondo periodo d.lgs. 81/2015, in quanto derogante alla regola generale di riproporzionamento del trattamento economico e normativo del lavoratore a tempo parziale, ai sensi del primo periodo della stessa disposizione’.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distraz ione in favore dell’AVV_NOTAIO antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’11 aprile 2024
Il Presidente (AVV_NOTAIO COGNOME)
Il Consigliere est.
(AVV_NOTAIO NOME COGNOME)