Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10316 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10316 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
1. La Corte di Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto dalla Azienda Unità Sanitaria Locale Roma 2 avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accolto le domande risarcitorie proposte da NOME COGNOME (operatore sanitario con qualifica di infermiere professionale), NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (operatori sanitari con qualifica di infermiere), volte ad ottenere la rideterminazione biennale del compenso orario ed il risarcimento del danno derivato dalla mancata rideterminazione.
Gli originari ricorrenti, che avevano prestato servizio in favore dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia presso la Casa circondariale di Rebibbia di Roma ai sensi dell’art. 53 della legge n. 740/1970, avevano dedotto che in forza del DPCM del 1.4.2008, a decorrere dal 1.10.2008 i loro rapporti di lavoro erano stati trasferiti ex lege presso l’Azienda USL Roma B (ora Azienda USL Roma 2) ed avevano lamentato la mancata rideterminazione del compenso orario.
2. Respinta l’eccezione di inammissibilità del gravame, la Corte territoriale ha rilevato che l’unico motivo di appello in diritto riguardava l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui in forza del principio iura novit curia aveva omesso di considerare l’esistenza della normativa di cui all’art. 9 lege n. 122/2010, come prorogato dall’art. 16, commi 1 e 2, della legge n. 111/2011 e dall’art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 122/2013 pur in assenza di un’eccezione di parte.
Ha osservato che erano passate in giudicato le argomentazioni in fatto ed in diritto non toccate da tale eccezione, proposta in grado di appello sotto forma di motivo di impugnazione.
Il giudice di appello ha evidenziato che il cd. blocco degli emolumenti dei dipendenti pubblici invocato dagli appellanti aveva trovato applicazione anche nei confronti del personale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, ma solo con riferimento ‘alle procedure contrattuali e negoziali’ sino agli anni 2013/2014; ha tuttavia ritenuto che la determinazione del compenso non avrebbe dovuto formare oggetto di una procedura contrattuale o negoziale, essendo diversamente disciplinata dal solo art. 53 della legge n. 740/1970.
Ha in particolare rilevato che la determinazione del compenso orario era stata prevista da tale disposizione, mai abrogata, come atto unilaterale datoriale della parte pubblica, pur acquisite le indicazioni delle organizzazioni sindacali ed in assenza di una procedura che stabilisse lo svolgimento di vere e proprie trattative realizzate attraverso incontri delle parti interessate al fine del raggiungimento di un accordo, ha escluso che tale procedimento avesse il carattere negoziale tipico della contrattazione collettiva.
Considerato che ai sensi dell’art. 53 della legge n. 740/1970 il compenso orario viene determinato ‘tenute presenti le indicazioni delle organizzazioni sindacali’, ha ritenuto irrilevanti i riferimenti alle indicazioni della Federazione Nazionale Collegi Infermieri Professionali Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia (IPASVI) contenuto nei decreti interministeriali 11.12.2002 e 11.2.2006.
In ragione della peculiarità della disciplina relativa al trattamento economico dei suddetti lavoratori, e della sottrazione di tale disciplina alla contrattazione collettiva, ha escluso che fosse venuta in questione la violazione del principio di uguaglianza.
Ha condiviso la statuizione del primo giudice, secondo cui a seguito del DPCM del 14.2.2008 la rideterminazione del compenso deve avvenire ad opera delle ASL tramite atto unilaterale datoriale; ha in proposito evidenziato che la parte appellante non aveva contestato la sentenza oggetto di gravame nella
parte in cui ha ritenuto tuttora vigente ed applicabile l’art. 53 della legge n. 740/1970.
Avverso tale sentenza la ASL Roma 2 ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
I lavoratori hanno resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione di legge, falsa applicazione della legge n. 740/1970 e del d.lgs. n. 230/1999.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che la determinazione del compenso dei ricorrenti sarebbe tuttora disciplinata esclusivamente dall’art. 53 della legge n. 740/1970, dovendo escludersi che tale disposizione avesse continuato a produrre effetti dopo che il personale penitenziario era stato di fatto trasferito presso gli enti del Servizio Sanitario Nazionale in forza delle disposizioni contenute nel DPCM 1.4.2008.
Evidenzia che i rapporti di lavoro in questione sono di natura libero professionale e risultano disciplinati dai singoli contratti di lavoro predisposti secondo le indicazioni di cui all’art. 53 della legge n. 740/1970, e che tale disposizione, non modificabile da un DPCM, non attribuisce al lavoratore il diritto all’incremento della paga oraria con cadenza biennale.
Richiama altro precedente della stessa Corte territoriale, secondo cui titolare del rapporto dal lato datoriale è la ASL, che ai fini dell’eventuale determinazione della retribuzione dei lavoratori non può prescindere dalla previa contrattazione con le O.S . nell’ambito dell’approvazione dell’ACN di categoria.
2. Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione dell’ACN di categoria Torna a sostenere che dal 1.4.2008 il rapporto di lavoro del personale di cui alla legge n. 740/1970 è transitato in capo alle ASL ed è assoggettato al sistema della contrattazione collettiva che regola in via esclusiva sia i rapporti di lavoro dipendente che quelli convenzionati intrattenuti da ciascuna ASL.
Aggiunge che l’assoggettamento alla disciplina negoziale dei rapporti di lavoro in questione risulta sia dall’ACN del 2009 che dall’ACN del 2010, che avevano stabilito la proroga dei rapporti ex artt. 50 e 51 legge n. 740/1970 in
essere fino alle successive decisioni della stessa contrattazione collettiva; evidenzia che la ASL in forza di tali pattuizioni aveva prorogato i rapporti in essere, tenendo conto delle norme imperative ed eccezionali sul blocco degli stipendi.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione della legge regionale Lazio n. 14/2008, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il Direttore Generale della ASL avesse il potere di determinare con cadenza biennale i compensi dei sanitari penitenziari.
Evidenzia che dal 2008 al 2020 la sanità regionale laziale era stata commissariata dal Governo italiano e che il Direttore Generale era stato esautorato dei suoi poteri in forza dell’art. 1, commi 73 e 76, della legge regionale Lazio n. 14/2008, emanata in osservanza dell’art. 1, comma 198 della legge n. 266/2005 e d ell’art. 1, comma 565 della legge n. 296/2006, ed era pertanto impossibilitato a rideterminare unilateralmente i compensi in assenza di una specifica autorizzazione regionale.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 53 della legge n. 740/1970 e dei D.M. attuativi del 11.10.2000, del 11.12.2002 e del 11.2.2006, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso che anche prima del passaggio di competenza all’Amministrazione penitenziaria del Serv izio Sanitario Nazionale la rideterminazione dei compensi fosse il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro.
Addebita alla Corte territoriale l’omesso esame dei decreti ministeriali relativi alla rideterminazione dei compensi di cui agli artt. 50, 51 e 53 della legge n. 740/1970, da cui risulta che vi era stata una procedura negoziale
Con il quinto motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 3 Cost.; grave disparità di trattamento; erronea lettura dei principi di cui alla sentenza n. 76/2015 della Corte costituzionale.
Critica la sentenza impugnata per avere determinato un’irragionevole disparità di trattamento tra i lavoratori dipendenti e quelli a convenzione ‘ordinari’ da una parte, e gli infermieri transitati dal Ministero della giustizia dall’altra, avendo i primi s ubito il blocco degli stipendi per tutto il periodo di
commissariamento (2010-2014), mentre i secondi si sono visti riconoscere l’incremento della retribuzione.
L’eccezione di inammissibilità sollevata nel controricorso, secondo cui tutte le censure proposte dalla ASL riguardano questioni coperte dal giudicato, è infondata.
Infatti la sentenza impugnata ha espressamente statuito che la determinazione del compenso orario è prevista dall’art. 53 della legge n. 740/1970, mai abrogata, come atto unilaterale della parte datoriale pubblica ed ha ritenuto che la determinazione debba avvenire ad opera delle ASL tramite atto unilaterale datoriale.
Né può diversamente argomentarsi sulla base delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata secondo cui ‘la sentenza n. 812/2018 risulta ormai passata in giudicato riguardo alle ulteriori argomentazioni in fatto e in diritto non toccate dalla proposta eccezione ‘ e secondo cui ‘D’altr o canto, l’appellante non ha in alcun modo contestato la sentenza oggetto di gravame nella parte in cui ha ritenuto tuttora vigente e applicabile l’art. 53 legge n. 740 del 1970, limitandosi ad invocarne un preteso ‘superamento’ in ragione della normativa sopravvenuta che ha imposto il cd. blocco degli stipendi dei pubblici dipendenti’ .
La Corte territoriale ha infatti dato atto del percorso argomentativo del Tribunale, secondo cui la legge n. 740/1970 ha continuato a disciplinare il rapporto lavorativo dei sanitari transitati in forza del DPCM 14.2.2008 dal Ministero della giustizia alle ASL del SSN e secondo cui l’obbligo di rideterminazione del compenso avrebbe dovuto essere assolto dalle ASL; il giudice di primo grado ha altresì ritenuto che la mancata rideterminazione è contraria a correttezza e buona fede, che nessuna prescrizione era maturata e che l’aumento salariale determinato con l’ultimo decreto interministeriale del 19.11.2007 costituisse adeguato parametro per la determinazione del danno subito.
Come risulta dalla sentenza impugnata, con l’unico motivo di appello la ASL ha dedotto che a fronte del carattere parasubordinato dei rapporti di lavoro, la rideterminazione degli emolumenti non poteva essere effettuata in ragione della normativa sopravvenuta ed ha altresì invocato l’applicazione della normativa di
cui all’art. 9 legge n. 122/2010, come prorogato dall’art. 16, commi 1 e 2, della legge n. 111/2011 e dall’art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 122/2013 lamentandone il mancato rilievo da parte del giudice di primo grado in forza del principio iura novit curia , pur in assenza di un’eccezione di parte.
Tra le argomentazioni ‘non toccate’ dal motivo di appello non può dunque essere ricompresa quella dell’inapplicabilità dell’art. 53 della legge n. 740/1970 .
Questa Corte ha infatti chiarito (Cass. n. 24358/2018) che il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. n. 17935 del 2007; Cass. n. 23747 del 2008); si è inoltre precisato che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 23747 del 2008; Cass. n. 22863 del 2007; Cass. n. 27196 del 2006).
Questa Corte ha inoltre chiarito che la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione» (Cass. n. 16853/2018 e negli stessi termini Cass. n. 24783/2018 e Cass. n. 12202/2017).
Alla luce di tali principi, avendo la ASL denunciato con l’unico motivo di appello il mancato rilievo d’ufficio da parte del giudice di primo grado della normativa sopravvenuta costituita all’art. 9 legge n. 122/2010, come prorogato dall’art. 16, commi 1 e 2, della legge n. 111/2011 e dall’art. 1, comma 1, del D.P.R. n. 122/2013 da parte del giudice di primo grado e la gravissima disparità di trattamento tra il personale dipendente parasubordinato, convenzionato e
assimilabile da un lato, e i liberi professionisti a convenzione di cui alla legge n. 740/1970 dall’altro, si deve pertanto ritenere che abbia devoluto alla Corte territoriale la cognizione sulla normativa applicabile e sulla sussistenza de ll’obbligo della ASL di determinare il compenso.
Il primo, il secondo ed il quinto motivo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono fondati.
Il D.P.C.M. 1.4.2008, pubblicato in G.U. 30.5.2008 n. 126 ha dato attuazione all’art. 2, comma 283, della legge n. 244/2007 a termini del quale ‘ sono definiti, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza previsti dalla legislazione vigente e delle risorse finanziarie (…) b) le modalità e le procedure (…) per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dei rapporti di lavoro in essere (…) relativi all’esercizio di funzioni sanitarie nell’ambito del Dipartimento dell’Amministrazione penitenz iaria e del Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia, con contestuale riduzione delle dotazioni organiche dei predetti Dipartimenti in misura corrispondente alle unità di personale di ruolo trasferite al Servizio sanitario nazionale ‘ ed ha disciplinato le modalità, i criteri e le procedure per il trasferimento dei rapporti di lavoro relativi alla sanità penitenziaria.
In particolare, l’ art. 3, comma 4, del suddetto D.P.C.M. ha previsto espressamente che: ‘ 4. I rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della legge 9 ottobre 1970, n. 740, in essere alla data del 15 marzo 2008 sono trasferiti, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e dal Dipartimento della giustizia minorile del Ministero della giustizia alle Aziende sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale nei cui territori sono ubicati gli istituti e servizi penitenziari e i servizi minorili di riferimento e continuano ad essere disciplinati dalla citata legge n. 740 del 1970 fino alla relativa scadenza. Tali rapporti, ove siano a tempo determinato con scadenza anteriore al 31 marzo 2009, sono prorogati per la durata di dodici mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto ‘.
E’ stato dunque disposto il trasferimento ex lege al Servizio Sanitario Nazionale dei rapporti di lavoro con l’Amministrazione Penitenziaria ‘instaurati ai sensi della L. n. 740/1970 ‘ ed ‘in essere alla data del 15 marzo 2008’.
Questa Corte ha recentemente ribadito la peculiarità di una prestazione d’opera sottoposta a vincoli di controllo del committente solo in ragione della complessa realtà del carcere e non in ragione del potere direttivo tipico della subordinazione ed ha pertanto ritenuto che tale peculiarità non consenta una trasposizione della disciplina già prevista nella diversa realtà, giuridica e professionale, determinata dal trasferimento ai sensi del DPCM del 1.4.2008 (Cass. n. 20159/2024).
Si è dunque chiarito che con il transito dei rapporti di lavoro del personale sanitario instaurati ai sensi della legge n. 740/1970 dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, tali rapporti sono stati ricondotti nell’ambito della contrattazione della Medicina generale; pertanto la previsione relativa all’adeguamento del compenso non era più invocabile in mancanza di una negoziazione collettiva che l’avesse recepita trasponendola anche nella diversa realtà giuridica.
C on il trasferimento e l’incardinamento presso il Servizio Sanitario Nazionale, anche tali peculiari rapporti sono stati dunque ricondotti nell’ambito della contrattazione della Medicina generale, la cui norma fondativa è l’art. 48 della legge n. 833 del 1978 istitutiva del SSN.
Tale disposizione ha previsto che l’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantita sull’intero territorio nazionale da convenzioni, aventi durata triennale, del tutto conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati tra il Governo, le regioni e l’A.N.C.I. e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale di ciascuna categoria.
Pertanto, se a termini dell’art. 3, comma 4, i suddetti rapporti continuano ad essere disciplinati dalla legge n. 740/1970 fino alla relativa scadenza e ove siano a tempo determinato con scadenza anteriore al 31 marzo 2009, sono prorogati per la durata di dodici mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del DPCM, quelli scaduti dopo tale entrata in vigore ovvero comunque affidati o rinnovati
dopo tale data non possono più essere disciplinati dalla legge n. 740/1970, essendo esclusa una iperestensione degli ambiti stabiliti dalla stessa legge.
Si è inoltre evidenziato che il blocco delle procedure negoziali ha riguardato anche quelle relative ai rapporti convenzionali esistenti nel SSN, secondo quanto previsto dall’art. 9, comma 24, della legge n. 122/2010, dall’art. 16 della legge n.111/2011, dall’art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 122 del 4.9.2013 e dall’art. 1, commi 254, 255, 256 della legge n. 190/2014, nonché la sussistenza in capo alla ASL di qualsivoglia potere unilaterale di rideterminazione del compenso oggetto del giudizio.
10. La sentenza impugnata non è conforme a tali principi, in quanto ha erroneamente escluso che la determinazione del compenso orario degli operatori sanitari transitati alle Aziende sanitarie locali del Servizio sanitario nazionale ai sensi del D.P.C.M. 1.4.2008 è oggetto di contrattazione, non ha considerato che il riferimento all’art. 53 della legge n. 740/1970 deve essere letto riguardo al nuovo regime ed ha erroneamente ritenuto che la AUSL avrebbe dovuto unilateralmente rideterminare il compenso prima definito con decreto interministeriale; non ha inoltre tenuto conto del blocco di tutte le procedure negoziali, ivi comprese quelle relative ai rapporti convenzionali esistenti nel SSN.
11. In conclusione, vanno accolti il primo, il secondo ed il quinto motivo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con il rigetto delle domande originariamente proposte da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
12. Le spese di lite dell’intero processo vanno compensate , considerato che la decisione di questa Corte sulle questioni giuridiche oggetto del presente giudizio è successiva alla sentenza impugnata.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quinto motivo, assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta le domande originariamente proposte da NOME COGNOME
NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
compensa le spese di lite dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte