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Compenso sanità penitenziaria: decide la contrattazione

Un’infermiera, il cui rapporto di lavoro è stato trasferito dalla sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, ha richiesto l’adeguamento del compenso. La Corte di Cassazione ha stabilito che, a seguito del trasferimento, la disciplina del rapporto, inclusa la determinazione del compenso sanità penitenziaria, non è più regolata dalla vecchia legge speciale (L. 740/1970) ma rientra nella contrattazione collettiva della medicina generale. Pertanto, la ASL non aveva il potere né il dovere di adeguare unilateralmente il compenso, rigettando la richiesta della lavoratrice.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Compenso Sanità Penitenziaria: L’Adeguamento è Materia di Contrattazione

La questione del compenso sanità penitenziaria per il personale trasferito al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è stata al centro di una recente e importante ordinanza della Corte di Cassazione. Il caso riguarda un’infermiera che, dopo il passaggio dall’amministrazione penitenziaria a una Azienda Sanitaria Locale (ASL), ha richiesto il risarcimento per la mancata rideterminazione del suo compenso orario, precedentemente garantita da una legge speciale. La Suprema Corte ha fornito un chiarimento decisivo, modificando l’interpretazione del quadro normativo applicabile.

I Fatti di Causa: Il Trasferimento e il Compenso Congelato

La vicenda ha origine dal trasferimento ex lege del personale sanitario operante negli istituti penitenziari dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, attuato con il DPCM del 1° aprile 2008. Un’infermiera, in servizio presso una casa circondariale dal 2003, vedeva il suo rapporto di lavoro trasferito a una ASL.

Sotto il precedente datore di lavoro, il suo compenso era soggetto a una periodica rideterminazione basata sull’art. 53 della legge n. 740/1970. Tuttavia, dal 2009 al 2018, dopo il passaggio alla ASL, tale adeguamento non è mai avvenuto. La lavoratrice ha quindi agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito a causa di questa inadempienza.

La Decisione della Corte d’Appello

In secondo grado, la Corte di Appello aveva dato ragione all’infermiera. I giudici avevano ritenuto che, con il trasferimento del rapporto di lavoro, la ASL fosse subentrata non solo nel contratto, ma anche nel potere/dovere di procedere alla rideterminazione unilaterale del compenso, così come previsto dalla normativa originaria. La mancata attuazione di questo dovere era stata qualificata come un inadempimento contrattuale contrario ai principi di correttezza e buona fede.

Compenso Sanità Penitenziaria: La Svolta della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente la decisione d’appello, accogliendo il ricorso della ASL. La Suprema Corte ha stabilito che il trasferimento del personale sanitario al SSN ha comportato un cambiamento fondamentale del regime giuridico applicabile al rapporto di lavoro.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Cassazione ha chiarito che, con il transito nel Servizio Sanitario Nazionale, questi rapporti di lavoro, sebbene peculiari, sono stati ricondotti nell’alveo della contrattazione della Medicina generale. La norma fondativa di questo sistema è l’art. 48 della legge n. 833/1978, che istituisce il SSN e prevede che il trattamento economico e normativo sia definito da accordi collettivi nazionali.

Di conseguenza, la previsione della legge speciale n. 740/1970, che consentiva una rideterminazione unilaterale del compenso, non è più applicabile. L’adeguamento del compenso sanità penitenziaria non può più avvenire tramite un atto unilaterale del datore di lavoro (la ASL), ma deve essere il risultato di una negoziazione collettiva.

La Corte ha inoltre sottolineato che, nel periodo in questione, vigeva un blocco delle procedure negoziali per il pubblico impiego, che includeva anche i rapporti convenzionali esistenti nel SSN. Questo ulteriore elemento confermava l’impossibilità per la ASL di procedere a qualsiasi tipo di adeguamento economico.

Le Conclusioni: Prevale la Contrattazione Collettiva

In conclusione, la sentenza impugnata è stata cassata. La Cassazione, decidendo nel merito, ha rigettato le domande originarie dell’infermiera. È stato affermato il principio secondo cui il passaggio della sanità penitenziaria al SSN ha determinato l’assorbimento di tali rapporti nella disciplina generale della contrattazione collettiva. Pertanto, la ASL non ha commesso alcun inadempimento, poiché non deteneva alcun potere unilaterale di modificare il compenso. La tutela dei lavoratori deve essere cercata all’interno dei tavoli negoziali e degli accordi collettivi, e non più sulla base di una normativa speciale ormai superata dal nuovo inquadramento giuridico.

Dopo il trasferimento del personale sanitario penitenziario al Servizio Sanitario Nazionale, chi è responsabile dell’adeguamento del compenso?
A seguito del trasferimento, la responsabilità dell’adeguamento del compenso non è più del singolo datore di lavoro (ASL) tramite un atto unilaterale. La materia è stata ricondotta nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale, che definisce il trattamento economico e normativo per il personale sanitario convenzionato con il SSN.

L’obbligo di rideterminare il compenso previsto dalla L. n. 740/1970 continua ad applicarsi dopo il passaggio dei rapporti di lavoro alle ASL?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la disciplina prevista dalla legge speciale n. 740/1970 non è più invocabile dopo il transito del personale nel Servizio Sanitario Nazionale. Il rapporto di lavoro viene assoggettato a un nuovo regime giuridico, quello della medicina generale, le cui condizioni sono regolate dalla negoziazione collettiva.

Perché la ASL non poteva adeguare unilateralmente lo stipendio dell’infermiera?
La ASL non poteva procedere a un adeguamento unilaterale perché, con il cambio di regime giuridico, aveva perso il potere/dovere di farlo. Inoltre, la Corte ha evidenziato che nel periodo in questione vigeva un blocco normativo delle procedure negoziali e di adeguamento retributivo nel pubblico impiego, che impediva qualsiasi aumento di spesa per compensi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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