Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19852 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 19852 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 11782/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio, sito in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato
-ricorrente-
contro
Ministero dell’istruzione e del merito (già Ministero dell’ università e della ricerca), Ministero dell’economia e delle finanze, Istituto Nazionale di ricerca metrologica, in persona dei rispettivi legali rappresentati pro tempore , rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, siti in Roma, INDIRIZZO, domiciliano
-controricorrenti- avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Torino n. 569/2021 depositata il 02/11/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Torino, nel contraddittorio con il Ministero dell’università e della ricerca (ora Ministero dell’istruzione e del merito ) e il Ministero dell’economia e delle finanze, ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME COGNOME professore dell’Università di Firenze, e confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda intesa ad ottenere la condanna dell’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRIM) al pagamento della differenza fra l’intero emolumento spettante per l’incarico di Presidente dell’Istituto, ricoperto senza optare per l’aspettativa dall’insegnamento, e quanto corrisposto per effetto dell’applicazione della decurtazione prevista d all’art . 23ter , comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, conv. in legge n. 214 del 2011.
La Corte territoriale, dopo aver richiamato l’interpretazione della citata disposizione adottata dal primo giudice, ha ritenuto che l ‘art. 23 -ter , cit., al primo comma, individua un limite al trattamento retributivo per tutti coloro che percepiscono somme a carico delle finanze pubbliche, mentre, al secondo comma, limita il trattamento riconosciuto a coloro che, essendo già dipendenti della P.A. e come tali retribuiti, ricevano un ulteriore incarico da un altro ente pubblico, stabilendo che costoro non possano ricevere più del 25% del trattamento previsto per il secondo incarico. Secondo la Corte torinese, la disposizione di cui al secondo comma, laddove utilizza l’espressione ‘funzioni direttive, dirigenziali o equiparate’, va intesa -in linea con la ratio della norma, chiaramente diretta al contenimento della spesa pubblica -come espressione appositamente atecnica, volta a ricomprendere le possibili funzioni apicali di governo, indirizzo e direzione, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti. In questo senso, anche il Presidente di un istituto di ricerca come l’INRIM sarebbe chiamato a svolgere funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, ai sensi dell’art. 23 -ter , comma 2, cit.; infatti, la contrapposizione fra organi di indirizzo politico-amministrativo e attività di amministrazione attiva non avrebbe ragion d’essere con riguardo
a soggetti i cui organi di vertice non siano titolari di una responsabilità politica, in quanto per essi l’ultimo comma dell’art. 4 del d.lgs. n. 165 del 2001 si limita a fare riferimento alle funzioni di indirizzo e controllo (inquadrabili in quelle latu sensu direttive), distinte da quelle di attuazione e gestione.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione NOME COGNOME COGNOME articolando tre motivi, cui resistono il Ministero dell’istruzione e del merito (già Ministero dell’università e della ricerca), il Ministero dell’economia e delle finanze e l’ Istituto Nazionale di ricerca metrologica, con controricorso.
Il rappresentante della Procura Generale ha depositato memoria concludendo per il rigetto del ricorso, conclusioni confermate nella pubblica udienza.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 -ter , comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 in relazione agli artt. 12 e 14 disp. prel. c.c. (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.), in quanto l’interpretazione della Corte di merito sarebbe stata erroneamente influenzata dalla ratio dell’intervento legislativo di cui al primo comma dell’art. 23 -ter , che è l’unico a fissare un limite retributivo ai trattamenti economici più elevati con riferimento all’intera platea del pers onale pubblico, e non da quella del secondo comma, che attiene ad un diverso e più stringente parametro restrittivo.
1.1. La censura non è fondata.
Nell’esegesi della norma è necessario partire dalla disamina del tenore letterale dell’intero articolo su cui si incentra la presente controversia.
Il primo comma dell’ art. 23ter del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni in legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede: «1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è definito
il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell ‘ ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all ‘ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all ‘ articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Ai fini dell ‘ applicazione della disciplina di cui al presente comma devono essere computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all ‘ interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell ‘ anno.».
Il secondo comma, che rileva direttamente nella specie, stabilisce poi che: «Il personale di cui al comma 1 che è chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto dall ‘ amministrazione di appartenenza, all ‘ esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti, non può ricevere, a titolo di retribuzione o di indennità per l’incarico ricoperto, o anche soltanto per il rimborso delle spese, più del 25 per cento dell ‘ ammontare complessivo del trattamento economico percepito.».
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, l ‘interpretazione letterale della disposizione non consente di dirimere, all’evidenza, il dubbio circa l’ambito di applicazione della limitazione contenuta nel secondo comma, considerato che viene in rilievo, oltre all’esercizio di funzioni direttive o dirigenziali, anche il più generico concetto di funzioni ad esse equiparate, con ciò evocando la necessità di un’integrazione extratestuale per comprendere l’effettivo senso delle espressioni ivi indicate.
1.2. A fronte dell’ambiguità o non univocità del testo, occorre valorizzare congiuntamente anche il criterio della ratio complessiva della norma , quale criterio comprimario di ermeneutica ai sensi dell’art. 12 delle
preleggi (in tal senso, già Cass. Sez. L, 26/02/1983, n. 1482, conforme Cass. Sez. L. 26/08/1983, n. 5493).
In tale ottica, non può non cogliersi il chiaro raccordo fra il primo e il secondo comma dell’art. 23 -ter , quali disposizioni complessivamente convergenti nell’introdurre limit azioni al trattamento economico funzionali al contenimento della spesa pubblica, da assumere quale criterio ermeneutico che valga a ricondurre il senso delle espressioni utilizzate in coerenza con la finalità perseguita dalla previsione normativa.
In proposito, come osservato dal Pubblico Ministero, giova anche richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale (n. 124 del 2017), secondo cui il limite delle risorse disponibili, immanente al settore pubblico, vincola il legislatore a scelte coerenti, preordinate a bilanciare molteplici valori di rango costituzionale, come la parità di trattamento (art. 3 Cost.), il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e comunque idonea a garantire un ‘ esistenza libera e dignitosa (art. 36, primo comma, Cost.), il diritto a un ‘ adeguata tutela previdenziale (art. 38, secondo comma, Cost.), il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). In tale prospettiva -secondo il giudice di legittimità delle leggi -non è precluso al legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori coinvolti, non sia manifestamente irragionevole, e rispetti requisiti rigorosi che salvaguardino l ‘ idoneità del limite fissato a garantire un adeguato e proporzionato contemperamento degli interessi contrapposti, atteso che il fine prioritario della razionalizzazione della spesa deve tener conto delle risorse concretamente disponibili senza svilire il lavoro prestato da chi esprime professionalità elevate.
Ne consegue che, per corrispondere alla finalità di contenimento della spesa cui è chiaramente preordinata la norma, occorre approdare ad un’interpretazione che non faccia riferimento alle qualifiche funzionali previste dalla contrattazione collettiva bensì ad una nozione ampia di funzioni direttive, atte a ricomprendere posizioni apicali di enti o istituti, cui,
anche secondo un’interpretazione conforme a Costituzione, nel senso sopra evidenziato, può principalmente indirizzarsi una limitazione del compenso previsto per il secondo incarico, avuto pure riguardo alla conservazione del trattamento economico riconosciuto dall ‘ amministrazione di appartenenza, nell’ottica del bilanciamento e contemperamento degli interessi contrapposti.
Con il secondo motivo di ricorso si assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, ultimo comma, del d .lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 12 del d .lgs. n. 213 del 2009, in relazione all’art. 23 -ter , comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.), in quanto la Corte territoriale avrebbe contraddittoriamente affermato, da un lato, che l’espressione legislativa sarebbe «espressione appositamente atecnica, generalizzata, volta a ricomprendere tutte le possibili funzioni apicali di governo, di indirizzo e di direzione» , dall’altro, che sarebbe rilevante distinguere tra amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica ed enti di ricerca i cui organi di vertice non siano espressione di rappresentanza politica.
2.1. La censura di contraddittorietà della sentenza impugnata -in disparte ogni ulteriore profilo di inammissibilità -non coglie nel segno, risultando chiaro che la lettura resa dalla Corte territoriale dell’art. 4, ultimo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001 («Le amministrazioni pubbliche i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguano i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall ‘ altro.») è del tutto coerente con l’interpretazione delle espressioni utilizzate nell’art. 23 -ter in senso ampio. Infatti, proprio la distinzione fra funzioni di indirizzo e controllo da un lato e quelle di attuazione e gestione dall’altro porta a riconoscere alle prime – che connotano la posizione di un presidente di ente pubblico, che non è espressione di rappresentanza politica -quel carattere ‘direttivo’, nel senso di elaborazione, programmazione ed assegnazione delle direttive strategiche, cui l’art. 23 –
ter , comma 2, cit., ricollega la decurtazione del compenso previsto per il secondo incarico.
Con il terzo motivo è, poi, dedotta la violazione e falsa applicazione sotto altro profilo dell’art. 23 -ter , comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 e dell’ art. 4, ultimo comma, del d.lgs. n. 165 del 2001, poiché la pronuncia impugnata avrebbe omesso ogni indagine in ordine alle funzioni esercitate dal ricorrente quale Presidente dell’INRM , ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Si denuncia anche l’omesso esame dell o Statuto dell’INRM , che affida al Presidente compiti esclusivi di programmazione e indirizzo strategico, con affidamento al Direttore Generale di funzioni di amministrazione attiva, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
3.1. La censura è infondata nella parte in cui prospetta la violazione di legge, in quanto presuppone erroneamente che, per la corretta individuazione delle ipotesi soggette a decurtazione, ai sensi del secondo comma dell’art. 23 -ter , occorra rimandare, di volta in volta, alla interpretazione dello Statuto dell’ente, al fine di verificare se, in base ad esso, siano o meno attribuiti poteri gestionali. Infatti, come sopra osservato, occorre interpretare le espressioni ivi contenute (funzioni direttive, dirigenziali o equiparate) nel senso ampio pure sopra ricostruito, in chiave funzionale al conseguimento dell’obiettivo del contenimento della spesa pubblica, senza rimettere l’applicazione della stessa a soggettivismi ricollegati all’esegesi dei singoli Statuti degli enti.
Ne deriva, pertanto, l’inammissibilità dell’ulteriore censura proposta nel motivo ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., difettando, a prescindere da ogni altro profilo, la decisività del denunciato omesso esame.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
Le spese di lite possono essere compensate, avuto riguardo alla novità della questione, risolta in senso non univoco dalla giurisprudenza di merito e non ancora esaminata da questa Corte.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della