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Compenso doppio incarico: il limite del 25% è valido

La Corte di Cassazione ha stabilito che il limite al compenso per un doppio incarico pubblico, fissato al 25% del trattamento economico previsto, si applica anche alla carica di Presidente di un ente di ricerca. Secondo la Corte, questa posizione rientra nella nozione ampia di “funzioni direttive o equiparate”, in linea con l’obiettivo della norma di contenere la spesa pubblica. La sentenza respinge il ricorso di un professore universitario che, nominato Presidente, si era visto decurtare il compenso e ne chiedeva il pagamento integrale.

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Pubblicato il 21 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Compenso Doppio Incarico Pubblico: la Cassazione Conferma il Limite del 25%

La questione del compenso doppio incarico per i dipendenti pubblici torna al centro di una pronuncia della Corte di Cassazione. Con la sentenza in esame, i giudici hanno chiarito la portata applicativa del limite del 25% sulla retribuzione del secondo incarico, estendendolo anche a ruoli apicali che non sono strettamente “manageriali” secondo la contrattazione collettiva, come quello di Presidente di un ente di ricerca.

I Fatti del Caso: un Prestigioso Incarico e la Decurtazione dello Stipendio

Il caso riguarda un professore universitario che, pur mantenendo il suo ruolo accademico, aveva accettato la nomina a Presidente di un importante Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica. Per questo secondo incarico, l’amministrazione aveva applicato la decurtazione prevista dall’art. 23-ter, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, corrispondendogli solo il 25% del trattamento economico totale.

Ritenendo illegittima tale riduzione, il professore si era rivolto al tribunale per ottenere il pagamento della differenza. La sua tesi si basava su un’interpretazione restrittiva della norma, secondo cui il suo ruolo di Presidente non rientrava nelle “funzioni direttive, dirigenziali o equiparate” menzionate dalla legge. Tuttavia, sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano respinto la sua domanda, spingendolo a presentare ricorso in Cassazione.

La Questione Giuridica sul Compenso Doppio Incarico

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’espressione “funzioni direttive, dirigenziali o equiparate”. Il ricorrente sosteneva che tale dicitura dovesse essere letta in senso tecnico, facendo riferimento a qualifiche specifiche previste dai contratti collettivi. La sua posizione di Presidente, a suo dire, era un organo di indirizzo e controllo, distinto da quelli di gestione attiva.

La Corte di Cassazione è stata quindi chiamata a decidere se la norma dovesse essere interpretata in modo letterale e restrittivo oppure in modo più ampio e funzionale, tenendo conto dello scopo per cui era stata introdotta: il contenimento della spesa pubblica.

L’Interpretazione Funzionale della Norma

La Corte ha rigettato il ricorso, sposando un’interpretazione estensiva della norma. I giudici hanno sottolineato che, di fronte a un testo non del tutto univoco (in particolare per il termine “equiparate”), è necessario guardare alla ratio della legge. L’articolo 23-ter è stato introdotto con il chiaro obiettivo di limitare i costi a carico delle finanze pubbliche derivanti dal cumulo di incarichi.

Di conseguenza, l’espressione “funzioni direttive, dirigenziali o equiparate” non va intesa in senso tecnico-formale, ma come una formula volutamente atecnica e onnicomprensiva. Essa è volta a includere tutte le possibili funzioni apicali di governo, indirizzo e direzione presso Ministeri ed enti pubblici nazionali, indipendentemente dalla loro qualificazione formale.

La Distinzione tra Indirizzo e Gestione

La Corte ha inoltre chiarito che la distinzione tra funzioni di indirizzo e controllo (tipiche degli organi di vertice) e funzioni di attuazione e gestione non è rilevante ai fini dell’applicazione di questa norma. Anzi, proprio le funzioni di indirizzo strategico, programmazione e assegnazione di direttive, tipiche di un Presidente di un ente pubblico, qualificano la posizione come “direttiva” in senso lato, rendendola soggetta al limite di retribuzione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Le motivazioni della Corte si fondano su un’analisi combinata del testo e dello scopo della legge. I giudici hanno affermato che un’interpretazione restrittiva, legata alle singole definizioni dei contratti o degli statuti dei vari enti, vanificherebbe l’obiettivo di contenimento della spesa. Si creerebbero infatti ingiustificate disparità di trattamento e si lascerebbero fuori dal perimetro della norma proprio quelle posizioni di vertice che comportano responsabilità e oneri economici significativi per lo Stato.

La Corte ha richiamato anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale ha più volte affermato la legittimità di limiti retributivi nel settore pubblico, purché non irragionevoli e finalizzati a bilanciare valori costituzionali come il buon andamento della pubblica amministrazione e l’equilibrio di bilancio. La scelta del legislatore di limitare il compenso doppio incarico è stata considerata una misura coerente con questi principi.

Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

Questa sentenza consolida un principio importante: il limite al compenso doppio incarico previsto dall’art. 23-ter ha una portata applicativa molto ampia. Qualsiasi dipendente pubblico che, conservando il proprio posto, assuma un ruolo di vertice in un altro ente pubblico (inclusi gli istituti di ricerca e le autorità indipendenti) deve aspettarsi che il compenso per il secondo incarico sia limitato al 25%.

La decisione chiarisce che non è la qualifica formale a contare, ma la natura sostanziale delle funzioni svolte. Se l’incarico comporta compiti di indirizzo strategico, governo o direzione, esso rientra nell’ambito della norma. Questa interpretazione garantisce un’applicazione uniforme della legge e rafforza gli strumenti di controllo della spesa pubblica.

A chi si applica il limite del 25% sul compenso per un secondo incarico pubblico?
Si applica al personale delle pubbliche amministrazioni che, conservando il trattamento economico dell’ente di appartenenza, viene chiamato a svolgere funzioni direttive, dirigenziali o equiparate presso Ministeri, enti pubblici nazionali o autorità amministrative indipendenti.

La carica di Presidente di un ente pubblico di ricerca rientra nelle “funzioni direttive”?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la carica di Presidente, comportando funzioni apicali di governo, indirizzo e direzione, rientra nella nozione ampia e atecnica di “funzioni direttive o equiparate” utilizzata dalla norma, indipendentemente dalla sua qualificazione formale nello statuto dell’ente.

Perché la Corte ha scelto un’interpretazione ampia della norma invece che una letterale?
La Corte ha privilegiato un’interpretazione ampia per rispettare la ratio della legge, ovvero il contenimento della spesa pubblica. Un’interpretazione restrittiva e formale avrebbe rischiato di escludere molte posizioni di vertice, vanificando lo scopo del legislatore e creando ingiustificate disparità di trattamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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