Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20795 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 20795 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 23024-2024 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso l ‘ordinanza del TRIBUNALE DI MILANO, sezione VIII penale, depositata in data 24/09/2024
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME udito il P.G., nella persona del sostituto dott. NOME COGNOME uditi l’avv. NOME COGNOME per parte ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente
FATTI DI CAUSA
Con l’ordinanza impugnata, resa il 20.9.2024, il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione spiegata da NOMECOGNOME ai sensi di quanto previsto dall’art. 170 del D.P.R. n. 115 del 2002, avverso il provvedimento con il quale era stata respinta la sua istanza di liquidazione del compenso dovutole a fronte dell’attività professionale svolta, come difensore di ufficio di un imputato irreperibile, nel processo penale conclusosi con sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p.
Il Tribunale osservava che, stante la rilevata natura bifronte della sentenza ex art. 420-quater c.p.p., che pur decidendo il processo consente sempre la ripresa dello stesso qualora si riesca a reperire l’imputato, e diviene irrevocabile solo nel momento in cui, perdurandone l’irreperibilità, sia spirato il termine di cui all’art. 159, ultimo comma, c.p., alla stessa non potrebbe essere riconosciuta natura di provvedimento a contenuto decisorio, con conseguente esclusione del diritto dell’avvocato al compenso per l’attività svolta nel processo.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME affidandosi ad un unico motivo.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
In prossimità dell’udienza pubblica, il P.G. ha depositato conclusioni scritte.
All’udienza pubblica è comparso il P.G., nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso, nonché l’avv. NOME COGNOME per parte ricorrente, che ha chiesto, del pari, l’accoglimento del ricorso, e l’avv. NOME COGNOME per la parte controricorrente, che ha invece insistito per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Prima di esaminare il motivo del ricorso, vanno scrutinate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla parte controricorrente. Quest’ultima ritiene in primo luogo che il ricorso avrebbe dovuto essere proposto dalla parte, e non dal difensore, essendo diretto contro un provvedimento di diniego del diritto al compenso.
L’eccezione non ha pregio, poiché, trattandosi di compenso spettante al difensore di ufficio dell’imputato dichiarato irreperibile, è il primo ad aver diritto di richiedere il compenso per l’opera professionale svolta a favore del secondo, senza peraltro dover provare la persistenza della condizione di irreperibilità (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20967 del 08/09/2017, Rv. 645423) né esser tenuto a svolgere alcun tentativo di recupero del proprio credito presso l’assistito (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17021 del 20/07/2010, Rv. 614907).
Il controricorrente eccepisce poi il difetto di autosufficienza del ricorso, perché esso non conterrebbe gli estremi del provvedimento impugnato, né la trascrizione delle sue parti interessate dalla critica.
Anche tale eccezione va rigettata, poiché il ricorso individua chiaramente l’ordinanza del Tribunale di Milano, allegata in copia autentica, e dunque nessun dubbio sussiste in merito all’individuazione dell’oggetto dell’impugnazione. Né si configura alcuna incertezza in
relazione alle censure mosse dalla ricorrente, la quale si duole della statuizione con la quale il giudice di merito ha ritenuto di non poter liquidare il compenso dovuto al difensore di ufficio dell’imputato irreperibile, prima del decorso del termine previsto dal terzo comma dell’art. 420-quater c.p.p.
Infine, l’Avvocatura dello Stato ritiene che l’impugnazione abbia oggetto una censura attinente alla valutazione del fatto operata dal giudice di merito, il che tuttavia non è, avendo la ricorrente proposto, con l’unico motivo del ricorso, per quanto si dirà infra , una doglianza concernente la scorretta applicazione di norme di legge.
Passando all’esame dell’unico motivo del ricorso, con esso la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 82 e 117 D.P.R. n. 115 del 2002, 12 del D.M. n. 55 del 2014 e 420-quater c.p.p., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il Tribunale avrebbe erroneamente denegato il diritto del difensore a percepire il compenso, nonostante che la sentenza ex art. 420.quater c.p.p. sia idonea, ex lege , a concludere una fase processuale. La decisione infatti, definisce il processo, salva l’ipotesi in cui l’imputato venga successivamente reperito, e si possa di conseguenza riaprire il giudizio.
La censura è fondata.
La norma è stata modificata per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 23, comma primo, lett. e), del D. Lgs. n. 150 del 2022 (c.d. riforma “Cartabia”), e prevede, al primo comma, che ‘Fuori dei casi previsti dagli articoli 420 bis e 420 ter, se l’imputato non è presente, il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato’ . La relazione illustrativa della riforma chiarisce che ‘La pronuncia di cui all’art. 420-quater c.p.p. definisce il procedimento, sicché il destinatario della medesima non è più imputato e il fascicolo
va specificamente archiviato per un più agevole recupero’ (cfr. pag. 287 della relazione), così chiarendo l’effetto decisorio della pronuncia in esame. Il secondo comma dell’art. 420-quater c.p.p., d’altra parte, identifica gli elementi che deve contenere la decisione in oggetto, rappresentati, nell’ordine, dalla intestazione ‘In nome del popolo italiano’ , dall’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata, dalle generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo, nonché dalle generalità delle altre parti private, dall’indicazione del capo di imputazione, dell’esito delle notifiche e delle ricerche effettuate per reperire l’imputato, della data fino alla quale dovranno continuare le ricerche per rintracciare la persona nei cui confronti la sentenza è emessa, nonché del dispositivo, con l’indicazione degli articoli di legge applicati, della data e della sottoscrizione del giudice. La sentenza di cui all’art. 420-quater c.p.p., dunque, contiene tutti gli elementi propri di qualsiasi altra decisione, onde ad essa non può non essere riconosciuta natura di provvedimento a contenuto decisorio.
In questo senso, peraltro, si sono chiaramente espresse le Sezioni Unite di questa Corte, affermando che ‘La sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. può essere impugnata da tutte le parti con ricorso per cassazione, proponibile per tutti i motivi di cui all’art. 606, comma 1, c.p.p., anche prima della scadenza del termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, c.p.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5847 del 26/09/2024 Ud. – dep. 13/02/2025, Rv. 287414 – 01). Con tale arresto, le Sezioni Unite hanno dato conto della preesistenza di due distinti orientamenti giurisprudenziali, il primo dei quali contrario all’ammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere ex art. 420-quater c.p.p. nel lasso temporale in cui la stessa sia ancora revocabile, corrispondente al
periodo utile per proseguire le ricerche dell’irreperibile ai sensi del terzo comma della norma (Cass. Sez. 2 Sentenza n. 50426 del 26/10/2023 Ud. – dep. 18/12/2023, Rv. 285686 – 01 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11757 del 09/02/2024, Levi, non massimata). Secondo tale orientamento, la pronuncia ex art. 420-quater c.p.p., pur avendo la denominazione di sentenza, è destinata ad assumerne i caratteri solo al momento in cui, con lo spirare del termine di cui al terzo comma della norma, ne viene meno la revocabilità, con la conseguenza che, fino a quel momento, in applicazione del principio generale di tassatività dei mezzi di impugnazione, la stessa non è suscettibile di ricorso per cassazione. Peraltro, sempre secondo tale indirizzo, il provvedimento avrebbe natura sostanzialmente interlocutoria fino al momento della sua non revocabilità e dunque difetterebbe del carattere decisorio che rende operativa la garanzia costituzionale di cui all’art. 111, settimo comma, Cost.
Un secondo indirizzo, invece, ha ritenuto che la decisione emessa ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. sia immediatamente ricorribile per cassazione per violazione di legge, quantomeno in relazione alla determinazione della durata delle ricerche dell’imputato, in quanto, almeno per tale segmento decisorio, immediatamente idoneo ad incidere in via definitiva sulle situazioni giuridiche coinvolte nel processo, opera la garanzia sancita dall’art. 111, settimo comma, Cost. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20140 del 23/02/2024 Cc. -dep. 21/05/2024, Rv. 286276 – 01). A tale secondo orientamento hanno dato, indirettamente, continuità altre pronunce, che pur non avendo espressamente affrontato il tema della ricorribilità per cassazione della sentenza in esame, hanno tuttavia esaminato il ricorso proposto, avverso tale tipo di provvedimento, dal Pubblico Ministero, ritenendo implicitamente ammissibile il ricorso (cfr. Cass. Sez. 2, n. 2342 del
24/11/2003, dep. 2024, COGNOME, non massimata, e Cass. Sez. 5, n. 809 del 28/09/2023, dep. 2024, COGNOME, non massimata).
Le Sezioni Unite hanno evidenziato che il contrasto giurisprudenziale è stato causato dall’assoluta novità della sentenza ex art. 420-quater c.p.p., che -secondo l’orientamento più restrittivosarebbe destinata, sotto un profilo fisiologico, ad essere revocata una volta reperito l’imputato, e presenterebbe importanti elementi di difformità rispetto alle sentenze previste dal codice di rito, tra i quali soprattutto la mancanza di ogni forma di accertamento nel merito della regiudicanda. Inoltre, il particolare contenuto della sentenza in esame, pur essendo destinato a venir meno con la non revocabilità della decisione, comprende una parte relativa alla vocatio in iudicium e le disposizioni alla polizia giudiziaria sulla prosecuzione delle ricerche, ed in tal modo la renderebbe assimilabile ad un atto di impulso processuale, insuscettibile, come tale, di passare in giudicato. Inoltre, fino al superamento del termine di irrevocabilità è possibile svolgere atti istruttori urgenti e si conserva l’efficacia delle misure cautelari personali e reali adottate; elementi, questi, che distinguono la pronuncia in esame da altri provvedimenti in rito e ne dimostrerebbero la provvisorietà.
Il secondo orientamento, invece, ha preso le mosse dalla motivazione della sentenza n. 192 del 2023 della Corte costituzionale, ed ha evidenziato che dalla Relazione illustrativa al D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha modificato la norma di cui all’art. 420-quater c.p.p., si evincerebbe che la sentenza di non doversi procedere, in quanto idonea a definire, e dunque concludere, il processo iniziato con l’esercizio dell’azione penale, sul presupposto della non conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, avrebbe natura sostanzialmente decisoria. Si tratterebbe, cioè, di un provvedimento
composito in cui convergono, in parallelo, due binari, che vanno, tuttavia, mantenuti distinti: la pronuncia di improcedibilità virtualmente conclusiva del giudizio e la vocatio in iudicium per la nuova, e solo eventuale, fase processuale conseguente al reperimento dell’imputato. Inoltre, sempre secondo l’orientamento più permissivo, la natura decisoria delle pronunce giudiziali non sarebbe legata alla loro irrevocabilità, bensì alla loro capacità di incidere sui diritti di libertà, patrimoniali o sulla pretesa punitiva dello Stato, dalla quale deriverebbe la possibilità di proporre ricorso per cassazione, in applicazione della regola generale di cui agli artt. 568, comma 2, c.p.p. e 111, settimo comma, Cost. Da ciò deriverebbe che la sentenza ex art. 420-quater c.p.p. è idonea, quantomeno per la parte relativa alla determinazione della durata delle ricerche dell’irreperibile, a spiegare effetti diretti sulla posizione dell’imputato, perché sulla scorta di tale elemento temporale si fonda la sequenza procedimentale che si può concludere con il decorso del termine di revocabilità della pronuncia. Almeno relativamente a questo profilo, dunque, dovrebbe essere ammessa la possibilità di proporre ricorso immediato per cassazione.
Le Sezioni Unite hanno evidenziato che, dopo l’entrata in vigore del codice di rito del 1989, il principio della ricorribilità per cassazione anche delle sentenze di rito, già affermato in precedenza, è stato ribadito dalla giurisprudenza (Cass. Sez. U, Sentenza n. 29529 del 25/06/2009 Ud. -dep. 17/07/2009, Rv. 244108-01) che ha valorizzato la portata generale della garanzia di impugnabilità delle sentenze di cui all’art. 111, settimo comma, Cost., in quanto ‘… il presidio costituzionale testualmente rivolto ad assicurare il controllo sulla legalità del giudizio (a ciò riferendosi, infatti, l’espresso richiamo al paradigmatico vizio di violazione di legge) contrassegna il diritto a fruire del controllo di legittimità riservato alla Corte Suprema,
cioè il diritto al processo in cassazione ‘ (Corte cost., Sentenza n. 395 del 28/07/2000). Ne deriva che, qualora sia escluso il positivo accertamento della conoscenza del processo da parte dell’imputato, con conseguente non volontarietà della mancata comparizione, il giudice, operato un ultimo tentativo di notifica personale dell’avviso di fissazione dell’udienza, della richiesta di rinvio a giudizio e del verbale d’udienza, ha l’obbligo di emettere la pronuncia ex art. 420-quater c.p.p. Inoltre, dai lavori preparatori al D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 emerge che si tratta di una pronuncia definitoria “di fase” , posto che nella relazione illustrativa si legge che il provvedimento di cui si discute ‘… definisce il procedimento, sicché il destinatario della medesima non è più imputato e il fascicolo va specificamente archiviato per un suo più agevole recupero’ . Contenutisticamente, quindi, la pronuncia ex art. 420-quater c.p.p. è un provvedimento che ha gli elementi formali della sentenza, pur presentando alcune particolarità che hanno indotto la dottrina a definirla come un provvedimento “bifronte ‘, in quanto chiude una fase processuale, ossia quella del rinvio a giudizio e della fissazione dell’udienza preliminare, esauritasi per la mancata formazione del contraddittorio, e contemporaneamente ne innesca una nuova, ossia quella delle ricerche dell’imputato e della vocatio in iudicium idonea a riaprire il processo esaurito, se e nella misura in cui l’imputato venga reperito. Sempre secondo le Sezioni Unite, la natura bifronte del provvedimento in esame è stata riconosciuta anche dalla Corte costituzionale, che ha osservato come tale ambivalenza sia destinata ‘… a sciogliersi con il decorso del tempo in quanto ai sensi dei commi 3 e 6 dello stesso art. 420-quater, nel momento in cui per tutti i reati oggetto di imputazione sia superato il termine previsto dall’art. 159, ultimo comma, c.p. (cioè il doppio del tempo necessario a prescrivere il reato), senza che la persona nei cui confronti è stata emessa sia stata
rintracciata, la sentenza di non doversi procedere diviene irrevocabile. Pertanto, ove non si tratti di un reato imprescrittibile, la sentenza di improcedibilità per mancata conoscenza del processo da parte dell’imputato, è idonea a definirlo in modo irreversibile’ (Corte cost., sentenza n. 192 del 26/10/2023). L’unica ipotesi di revoca della decisione ex art. 420-quater c.p.p., peraltro, è quella del reperimento dell’imputato, prevista come automatica e consentita solo fino alla data indicata come conclusiva delle ricerche, e non anche -a differenza della disciplina riguardante l’ordinanza di sospensione del processo di cui all’art. 420-quater c.p.p., nel testo previgente alla riforma- quella del conseguimento della prova certa della conoscenza del processo, ovvero quelle connesse alla pronuncia di una sentenza nel merito, come l’estinzione del reato per morte o per prescrizione.
Sulla scorta di tutti i richiamati argomenti, le Sezioni Unite hanno concluso affermando l’immediata ricorribilità per cassazione della sentenza ex art. 420-quater c.p.p., stante la sua natura decisoria derivante dall’esercizio, da parte del giudice, del potere valutativo volto ad affermare l’esistenza dei presupposti che giustificano la decisione di improcedibilità, in alternativa alla sequenza processuale ordinaria. Il rintraccio dell’imputato irreperibile, con notifica a sue mani della sentenza contenente la vocatio in iudicium , con apposita relata di notificazione che documenti la comunicazione della pendenza del processo, rappresenta l’unica ipotesi di revoca della decisione, altrimenti idonea a definire il giudizio, ed opera come una sorta di condizione che comporta non già la prosecuzione, bensì la riapertura del processo, fin tanto che non sia superata la data indicata come conclusiva delle ricerche, corrispondente al doppio del termine prescrizionale ex art. 157 c.p., calcolato a partire dalla pronuncia della sentenza e parametrato sul reato più grave. Una volta ammessa la
ricorribilità per cassazione della pronuncia in commento, non sussistono, secondo le Sezioni Unite, motivi validi per non consentire il rimedio per tutte le ipotesi contemplate dall’art. 606, comma 1, c.p.p. ed in relazione alla verifica della sussistenza di tutti i presupposti previsti per l’adozione della sentenza ex art. 420-quater c.p.p.
Nella discussione in pubblica udienza, l’Avvocatura dello Stato ha argomentato circa la differenza tra la garanzia per i diritti di difesa dell’imputato, alla quale si riferirebbe la pronuncia delle Sezioni Unite sin qui richiamata, e l’oggetto del presente giudizio, limitato alla facoltà, per il difensore d’ufficio, di conseguire il compenso per l’opera prestata in favore dell’imputato irreperibile subito dopo l’emissione della sentenza ex art. 420-quater c.p.p., senza attendere quindi lo spirare del termine per l’eventuale riapertura del processo previsto dalla norma suindicata. L’argomento, tuttavia, si sviluppa su una discrasia soltanto apparente, poiché, una volta confermata la natura decisoria della pronuncia in esame, e dunque la sua idoneità a definire una fase processuale, sia pur sub condicione della possibilità di riaprire il giudizio nella sola ipotesi di reperimento dell’imputato, non si ravvisa alcun argomento per denegare il diritto del difensore d’ufficio a conseguire il compenso per l’opera professionale svolta, posto che l’art. 83, secondo comma, del D.P.R. n. 115 del 2002 prevede espressamente che ‘La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all’atto della cessazione dell’incarico, dall’autorità giudiziaria che ha proceduto’ . Non appare ostativa, rispetto a tale conclusione, l’ulteriore considerazione svolta dall’Avvocatura dello Stato, secondo cui, in ipotesi di riapertura del processo conseguente al reperimento dell’imputato, si avrebbero due liquidazioni per il medesimo giudizio: poiché infatti la decisione ex art. 420-quater c.p.p. esaurisce una fase del processo, la liquidazione del
compenso si riferisce solo all’attività svolta dal difensore di ufficio in detta fase, in modo del tutto analogo a quanto avviene alla conclusione della fase dell’udienza preliminare. Qualora l’imputato irreperibile venga reperito, dopo la pronuncia della sentenza ex art. 420- quater c.p.p., ed il processo sia riaperto, l’eventuale difensore di ufficio che svolga la sua opera professionale in detto secondo segmento processuale maturerà il compenso limitatamente all’attività in esso svolta, senza poter computare anche l’attività prestata nella precedente fase, ormai esauritasi.
In definitiva, poiché la sentenza ex art., 420-quater c.p.p. definisce il giudizio, sia pure con la specificità di consentirne la riapertura, a norma del terzo comma della norma appena richiamata, fino al momento in cui, per tutti i reati oggetto di imputazione, non sia superato il termine previsto dall’articolo 159, ultimo comma, c.p., ad essa consegue il diritto del difensore di ufficio, che abbia svolto la sua attività nella fase processuale che essa conclude, ad ottenere la liquidazione del compenso per la sua opera professionale.
Ne consegue l’accoglimento del ricorso e la fissazione del seguente principio di diritto: ‘Poiché la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 420-quater c.p.c., per il caso di irreperibilità dell’imputato, costituisce provvedimento a contenuto decisorio idoneo a definire il giudizio, e posto che la riapertura del processo è consentita dalla norma nel solo caso di successivo reperimento dell’imputato, essa va considerata come provvedimento conclusivo della fase processuale antecedente alla sua emanazione. Il difensore d’ufficio che abbia svolto la sua opera professionale nella predetta fase ha quindi diritto di ottenere, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 82, secondo comma, del D.P.R. n. 115 del 2002, la liquidazione del compenso spettantegli subito dopo l’emissione della sentenza ex art. 420-quater c.p.p., senza dover
attendere lo spirare del termine previsto dal terzo comma della disposizione da ultimo richiamata’ .
La decisione impugnata va conseguentemente cassata e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Milano, in differente composizione, il quale si atterrà al principio di diritto in precedenza affermato.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Milano, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda