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Compensi sportivi dilettantistici: quando sono redditi

Una società sportiva dilettantistica ha contestato una richiesta di contributi da parte dell’INPS per i suoi istruttori, sostenendo che i loro guadagni fossero “redditi diversi” e quindi esenti. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che quando i compensi sportivi dilettantistici derivano da un’attività svolta in modo professionale, abituale e continuativo, sono soggetti a contribuzione previdenziale. La professionalità è stata accertata sulla base della durata del rapporto, delle qualifiche degli istruttori e della non simbolicità dei compensi.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Compensi Sportivi Dilettantistici: la Cassazione definisce il confine con la professionalità

La gestione dei compensi sportivi dilettantistici rappresenta un tema cruciale per migliaia di associazioni e società sportive in Italia. La recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti essenziali sulla linea di demarcazione tra attività amatoriale e professionale, con importanti conseguenze sul piano contributivo. La pronuncia analizza il caso di una società sportiva dilettantistica condannata al versamento dei contributi INPS per i propri istruttori, la cui attività è stata ritenuta di natura professionale.

I Fatti di Causa

Una società sportiva dilettantistica che gestisce una palestra si è opposta a un avviso di addebito emesso dall’INPS per il pagamento di contributi previdenziali relativi a tre dei suoi collaboratori. Secondo la società, i compensi erogati rientravano nella categoria dei “redditi diversi” prevista dalla normativa fiscale per le attività sportive dilettantistiche (art. 67, d.P.R. 917/86), e come tali erano esenti da obblighi contributivi.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva dato ragione all’INPS. I giudici di secondo grado avevano stabilito che gli istruttori svolgevano la loro attività in modo abituale e professionale, facendo così uscire la fattispecie dal regime agevolato previsto per i compensi sportivi dilettantistici. Contro questa decisione, la società ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali.

L’Analisi della Cassazione sui Compensi Sportivi Dilettantistici

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, rigettandoli integralmente e confermando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. L’analisi si è concentrata sul concetto di “professionalità” come elemento dirimente per distinguere i redditi esenti da quelli soggetti a contribuzione.

Il Primo Motivo: l’errata applicazione della norma sui redditi diversi

La società sosteneva che, in quanto ente sportivo dilettantistico, avrebbe dovuto beneficiare automaticamente del regime fiscale agevolato. La Cassazione ha ribadito che l’art. 67, co.1, lett. m) del d.P.R. 917/86 non si applica quando l’attività, pur svolta in un contesto dilettantistico, assume i caratteri della professionalità. In altre parole, la natura giuridica del datore di lavoro (la società sportiva) non è sufficiente a qualificare i redditi percepiti dal collaboratore come “diversi”. È necessario valutare le concrete modalità di svolgimento della prestazione.

Il Secondo e Terzo Motivo: la contestazione del requisito di professionalità

Gli altri due motivi di ricorso criticavano la valutazione di fatto compiuta dalla Corte d’Appello circa la natura professionale dell’attività degli istruttori. La società lamentava anche l’omesso esame del fatto che due dei tre collaboratori avessero un altro impiego principale.

La Cassazione ha giudicato questi motivi inammissibili, chiarendo che l’accertamento della professionalità è una valutazione di merito che non può essere riesaminata in sede di legittimità se adeguatamente motivata. La Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione su elementi concreti e oggettivi.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si basa su un principio fondamentale: il carattere professionale di un’attività lavorativa prevale sulla natura dilettantistica del contesto in cui è svolta. I giudici di merito avevano correttamente individuato gli indici della professionalità, tra cui:

1. Continuità temporale: l’attività veniva svolta in modo continuativo per diversi anni.
2. Qualifiche professionali: i collaboratori possedevano titoli e competenze specifiche.
3. Stabilità del rapporto: la collaborazione si svolgeva senza soluzione di continuità.
4. Natura del compenso: le somme percepite non erano meramente simboliche, ma costituivano un corrispettivo per la prestazione.

Inoltre, la Corte ha specificato che il fatto di avere un altro impiego non esclude di per sé la natura professionale della collaborazione sportiva. È infatti possibile che un soggetto svolga più attività lavorative, una delle quali, seppur non prevalente, presenti comunque i caratteri della stabilità, continuità e competenza tipici della professionalità.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione consolida un importante principio per il mondo dello sport dilettantistico. Le associazioni e società sportive devono prestare massima attenzione alle modalità con cui strutturano i rapporti di collaborazione con i propri istruttori e tecnici. Quando la prestazione lavorativa, nei fatti, assume i connotati di un’attività professionale, i relativi compensi sportivi dilettantistici perdono la qualifica di “redditi diversi” e diventano imponibili ai fini previdenziali. La decisione sottolinea che la valutazione non deve basarsi su elementi formali, come la qualifica del datore di lavoro, ma su un’analisi sostanziale del rapporto di lavoro, fondata su indici concreti come la continuità, la stabilità e l’onerosità della prestazione.

I compensi percepiti da un istruttore in una società dilettantistica sono sempre esenti da contributi?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se l’attività è svolta in modo professionale, i compensi sono soggetti a contribuzione previdenziale, anche se erogati da un’entità sportiva dilettantistica.

Quali sono gli elementi che rendono ‘professionale’ l’attività di un istruttore sportivo?
Gli elementi considerati dalla Corte per determinare la professionalità includono lo svolgimento continuativo dell’attività per vari anni, il possesso di titoli professionali, la stabilità del rapporto lavorativo e la percezione di corrispettivi non simbolici.

Svolgere un altro lavoro principale esclude la natura professionale dell’attività di istruttore?
No. La Corte ha chiarito che la compresenza di due impieghi non impedisce che l’attività di istruttore sportivo sia svolta in modo stabile, continuativo e competente, e quindi considerata di natura professionale ai fini contributivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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