Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21739 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 21739 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1110/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
MINISTERO DIFESA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
– controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2572/2020 depositata il 29/05/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1. -La società ‘RAGIONE_SOCIALE (WLL)’, d’ora in poi Mercato del Golfo, ha effettuato alcuni trasporti di mezzi e materiale militari nell’interesse del Ministero della Difesa ed a vantaggio delle Forze Armate Italiane di stanza in Iraq e Kuwait, nel 2006.
Ha maturato dunque un credito al corrispettivo, ne ha ottenuto una parte, ed ha agito in giudizio per avere quella rimanente.
-Nel giudizio davanti al Tribunale di Roma si è costituito il Ministero della Difesa, dapprima con una comparsa di risposta, e poi, sempre nel rispetto dei venti giorni dalla udienza differita ex art. 168 c.p.c., con una ulteriore memoria integrativa contenente una domanda riconvenzionale. Il Ministero ha opposto al credito vantato dalla società un credito proprio, per fornitura di carburante e lubrificante.
-Il Tribunale di Roma ha ritenuto tardiva la seconda comparsa di costituzione e, di conseguenza, non ammissibile la domanda riconvenzionale in essa contenuta; ha disposto CTU sull’ammontare del credito ed ha emesso sentenza con cui ha condannato il Ministero al pagamento della somma vantata dalla società.
-La Corte di Appello ha riformato questa decisione, poiché ha ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale, sebbene contenuta in una seconda comparsa di costituzione, o meglio, in una memoria di costituzione aggiuntiva alla comparsa, ed ha ritenuto che, depositando la comparsa di costituzione, il convenuto non avesse consumato il suo potere di costituirsi in giudizio, in
quanto il termine per costituirsi (dei venti giorni prima dell’udienza) non era ancora scaduto e poteva dunque essere esercitato con una integrazione o con un nuovo e secondo atto di costituzione.
Ha, pertanto, preso in esame il credito fatto valere dal Ministero e lo ha ‘compensato’ con quello vantato dalla società.
5. -Quest’ultima ha impugnato tale decisione con quattro motivi di ricorso.
Il Ministero della Difesa ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, basato su un unico motivo.
Il ricorso è stato fissato in udienza pubblica a seguito di ordinanza interlocutoria resa all’esito di camera di consiglio del 12 novembre 2024, in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Il PG ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del quarto motivo del ricorso principale e dell’unico motivo del ricorso incidentale condizionato.
Il Ministero, in vista della pubblica udienza, ha depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. -I primi tre motivi attengono alla questione della ammissibilità di una seconda comparsa di costituzione, o meglio, di una memoria integrativa della comparsa di costituzione, contenente la domanda riconvenzionale. Dunque, attengono alla questione se, depositata una comparsa di costituzione senza domanda riconvenzionale, quest’ultima possa essere poi proposta con una seconda comparsa, o meglio, con una memoria aggiuntiva, sempre nel rispetto del termine.
-Con il primo motivo del ricorso principale si prospetta violazione dell’articolo 167 cod. proc. civ.
La tesi è la seguente.
È principio del diritto processuale quello per cui il compimento di un atto comporta consumazione del potere di compierlo ulteriormente, ossia una seconda volta.
Il compimento di un atto corrisponde ad una facoltà, con la conseguenza che, esercitata una volta tale facoltà (e dunque compiuto l’atto), essa non può esserlo una seconda: il potere di compiere l’atto viene perduto, la facoltà processuale è, per cosi dire, consumata.
Inoltre, tale effetto si ricava dallo stesso contenuto dell’articolo 167 cod. proc. civ., che, ponendo un termine alle difese che devono essere fatte con la comparsa di costituzione, configura quest’ultima quale atto tipico, non frazionabile in più atti.
2.1. -Con il secondo motivo si prospetta nuovamente violazione degli articoli 166 e 167 cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, il fatto che, depositata la comparsa di costituzione, non possa esserne depositata una seconda, né un atto integrativo della prima, deriverebbe dal principio della forma, ossia dalla necessità che un atto corrisponda alla sua forma, e la forma della comparsa di costituzione sarebbe quella di un unico documento, non frazionabile in due o più atti.
Ove si ammettesse che la comparsa di costituzione possa essere integrata da un secondo atto (contenente la domanda riconvenzionale) si attribuirebbe alla comparsa una ‘natura composita’ (p. 15 del ricorso), così violando la regola per cui la forma imposta ad un atto non è solo documentazione di esso, ma altresì rispetto della concatenazione degli atti: concatenazione che esclude che un atto, documentato in un modo, possa poi esserlo in un altro e successivo modo.
2.2. -Con il terzo motivo si prospetta violazione degli articoli 167 e 168 -bis , quarto e quinto comma, cod. proc. civ.
La tesi è la seguente.
L’udienza indicata in citazione è stata differita, con la conseguenza che il Ministero si è costituito nel rispetto del termine di venti giorni prima di quella effettiva, ossia della nuova udienza.
Secondo la Corte di appello, infatti, il differimento era avvenuto ai sensi dell’articolo 168 bis , quinto comma, cod. proc. civ. e non ai sensi del quarto comma di quell’articolo.
Invece, la società ricorrente assume che erroneamente la Corte di Appello ha inteso quel differimento come effettuato ai sensi del quinto comma, quando invece si trattava del differimento previsto dal quarto comma (che stabilisce che, se il giudice non tiene udienza nel giorno indicato in citazione, la comparizione è rimandata all’udienza immediatamente successiva).
Poiché dunque il differimento era quello di cui al quarto comma, prosegue la ricorrente, allora ne doveva derivare che il termine per costituirsi non era di venti giorni prima della nuova udienza, ma di venti giorni prima della udienza indicata in citazione. Tale termine, nella specie, non sarebbe stato rispettato, con conseguente inammissibilità della domanda riconvenzionale.
-Questi tre motivi sono logicamente connessi e possono, dunque, essere unitariamente scrutinati.
Ha rilievo preliminare il terzo, poiché pone la questione del termine entro il quale depositare la comparsa di costituzione, quale che ne sia la forma. Vale a dire: è preliminare stabilire se il termine sia quello della udienza indicata in citazione, oppure quello della nuova udienza, poiché nel primo caso la seconda costituzione è tardiva, mentre non lo è nel secondo.
Come si è detto, la Corte di Appello ha inteso che il differimento sia stato disposto ai sensi del quinto comma dell’articolo 168 bis cod. proc. civ.; mentre la censura della ricorrente è che il differimento è stato disposto ai sensi del quarto comma e che, ai fini della tempestiva costituzione in giudizio, doveva farsi riferimento alla udienza indicata in citazione, anziché a quella differita.
La censura è infondata.
Va premesso che qui è censurata una errata interpretazione, da parte del giudice di appello, di un atto processuale: quello con cui è stata differita la prima udienza di comparizione delle parti.
Costituisce principio di diritto quello secondo cui, ove si intenda censurare una errata interpretazione di un atto processuale, occorre indicare specificamente quali criteri di ermeneutica sono stati violati, a pena di inammissibilità (Cass., n. 2360/2025; Cass., n. 1657/2016).
Il ricorrente non indica in base a quali criteri l’interpretazione è errata.
Nemmeno indica i criteri in base ai quali è da preferirsi la soluzione opposta a quella sposata dalla Corte di appello. E dunque, il motivo si risolve nella apodittica affermazione secondo cui lo spostamento è avvenuto ai sensi del quarto anziché del quinto comma.
Tuttavia, anche a voler ammettere che la censura sia basata sulla violazione del criterio letterale di interpretazione (nel decreto si fa espresso riferimento all’articolo 168 bis , quarto comma, cod. proc. civ. e non al quinto comma), essa comunque sarebbe infondata.
Infatti, al di là di tale riferimento, i due tipi di differimento della prima udienza sono distinti da almeno due elementi: nel caso di differimento di cui al quarto comma, la data indicata in citazione, poiché cade in un giorno in cui il giudice non ha udienza, è differita a quello immediatamente successivo, nel quale il giudice tiene udienza. Nel caso qui in esame il differimento è stato di oltre due mesi, e dunque non alla udienza immediatamente successiva. Il secondo elemento è che il differimento di cui al quarto comma avviene d’ufficio, senza bisogno che vi sia un decreto del giudice, mentre nella fattispecie è avvenuto per decreto del giudice, come è pacifico.
Il che significa che il termine per costituirsi deve essere computato avendo riguardo alla udienza differita, e non alla udienza indicata in
citazione (cfr., tra le tante, Cass., sez. 2, 30/01/2017, n. 2299; Cass., sez. 3, 19/02/2025, n. 4411).
Ciò detto, e ritenuto dunque che la ‘seconda comparsa’ è stata depositata comunque nel termine di legge, resta da valutare se fosse ammissibile di per sé, ossia se, una volta depositata la comparsa di costituzione, quest’ultima possa essere integrata da una seconda comparsa o da una memoria integrativa, o se invece, la parte ha consumato, con il primo deposito, la facoltà di proporre quell’atto e non possa ulteriormente sostituirlo o integrarlo con un secondo.
Ed è l’oggetto del primo e secondo motivo.
Questa Corte, in un caso analogo, ha chiarito che ‹‹il deposito di una seconda comparsa di risposta è ammissibile, purché esso sia avvenuto nel rispetto del termine di cui all’art. 167 c.p.c., salvi i casi in cui sia ravvisabile uno specifico abuso dello strumento processuale, non potendosi ravvisare una consumazione del potere di difesa della parte convenuta sino al momento del maturarsi delle preclusioni di cui al citato art. 167 c.p.c.›› (Cass., n. 25934/ 2022). Questo orientamento -seguito anche da Cass., sez. 2, 10/02/2025, n. 3368 (non massimata sul punto) e da Cass., sez. 2, ordinanza n. 18127 del 31/08/2020 e Cass., sez. 3, ordinanza n. 4177 del 19/02/2008, entrambe relative al deposito di più memorie nel rispetto del termine previsto, per il rito di legittimità, dall’art. 380 bis c.p.c. , senza che il deposito di una prima memoria implichi la consumazione del potere di difesa scritta -è condivisibile e non può essere smentito né dalla regola che poggia sulla consumazione del potere di impugnare (art. 358 c.p.c.), né dalle considerazioni sulla tipicità e formalità degli atti fatte proprie dalla ricorrente.
Quanto alla consumazione del potere di impugnazione, essa, come è noto, presuppone che, al tempo della proposizione della seconda impugnazione, sia intervenuta la declaratoria di improcedibilità o inammissibilità della precedente impugnazione: in tal caso, anche
se c’è ancora termine per impugnare, l’impugnazione non può essere rinnovata. E dunque, poiché la consumazione della facoltà di impugnare qui presuppone che il primo appello sia stato dichiarato improcedibile o inammissibile (Cass., n. 4754/ 2018), ne deriva, a contrario , che se invece non lo è stato, l’appellante che abbia proposto un primo appello può proporne un secondo, purché il relativo termine non sia ancora decorso. Ed infatti questa Corte ritiene che ‹‹Il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente, destinato a sostituirlo e relativo anche a capi della sentenza diversi da quelli oggetto del precedente atto di impugnazione›› (Cass., sez. U, n. 8486/2024).
E dunque la disciplina dell’appello, lungi dal confermare la tesi che, esercitata la facoltà, essa è consumata, la smentisce: la facoltà di appellare può invece nuovamente essere esercitata, purché non siano nel frattempo scaduti i termini e purché non sia intervenuta declaratoria di inammissibilità della prima impugnazione.
Dunque, i principi elaborati in relazione all’appello sono qui applicabili: essi dimostrano come, se non è ancora scaduto il termine per compiere un atto, quest’ultimo può essere reiterato, può essere compiuto una seconda volta, come pure essere integrato da un atto successivo.
Tra l’altro, nel caso dell’appello, il divieto di reiterazione deriva dal fatto che il primo dei due atti è inammissibile o improcedibile, ed è dichiarato tale dal giudice. Il che significa che la facoltà di impugnare deve essere stata inizialmente esercitata in violazione della legge, con un appello inammissibile o improcedibile, e che dunque, accertato che era stata esercitata illegittimamente, non può essere esercitata nuovamente.
Ciò significa che la regola (‘non si può proporre un secondo appello se già il primo è inammissibile o improcedibile’) presuppone che la facoltà di appellare sia inizialmente esercitata in maniera illegittima, e tale illegittimità sia stata accertata. Non è il fatto di avere in precedenza già compiuto un atto simile (l’appello) ad impedire che ne possa essere compiuto un altro (un secondo appello), ma è il fatto che il primo dei due atti sia inammissibile o improcedibile a costituire la ragione effettiva di quella che si chiama ‘consumazione’ del potere o della facoltà processuale. L’atto è, per regola generale, reiterabile fino a che non scada il termine. Non lo è, però, se sia stato esercitato contra legem e tale vizio sia stato accertato.
Qui, la prima comparsa non era affatto stata depositata in violazione della legge, non era inammissibile, e dunque, proprio facendo tesoro della regola sull’appello, era reiterabile.
Si obietta che, a prescindere da ciò, il divieto di compiere l’atto una seconda volta, o di integrarlo, potrebbe però derivare dalla regola sulla forma degli atti ed, in particolare, da quella regola sulla loro tipicità.
Si tratta però di argomenti non condivisibili e frutto di equivoco. La tipicità di un atto è un predicato del contenuto: atto atipico è quello che ha un contenuto diverso da quello imposto dalla legge. È atipica la servitù irregolare, rispetto al modello legale di servitù, poiché essa ha un contenuto diverso.
Qui la comparsa di costituzione manifesta, nel primo come nel secondo atto, il contenuto proprio previsto dalla legge per tale tipo di atto.
Si obietta altresì che la possibilità, riconosciuta al convenuto, di depositare una seconda comparsa, contenente eccezioni non comprese nella prima, costituisce o può costituire lesione del diritto di difesa della controparte.
Ma anche tale obiezione è da rigettare. Infatti, il contraddittorio è garantito dallo spazio temporale dei venti giorni. Se anche si ammette che il convenuto può reiterare la costituzione in giudizio con un secondo atto, anche dal contenuto diverso ed ulteriore, resta il fatto che deve farlo nei venti giorni prima della udienza differita e tale termine garantisce alla controparte la possibilità di contraddire e di spiegare le proprie difese.
In altri termini, la possibilità riconosciuta al convenuto di depositare una seconda comparsa non riduce il termine di venti giorni che pur sempre viene garantito all’attore per contraddire e non incide su quel termine, poiché non riduce le possibilità di difesa della controparte. E, d’altro canto, parte ricorrente non ha neppure dedotto, a contrario , la sussistenza di elementi idonei a dimostrare che le sue facoltà di difesa sarebbero state minorate.
Né si può dire che l’attore faccia affidamento sul fatto che, depositata la prima comparsa, non ne possa più seguire un’altra e che dunque ogni difesa possibile del convenuto è ormai svolta, poiché tutela dell’affidamento vuol dire che una certa situazione di fatto o di diritto non opera se è contrastata da una opposta apparenza, sulla quale, per l’appunto, l’attore ha fatto affidamento. Situazione estranea ovviamente alla vicenda che ci occupa.
4. -Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 112 cod. proc. civ. o comunque omesso esame ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ..
La questione è la seguente.
La Corte di Appello ha ritenuto, sulla scorta della CTU, che il credito vantato dal Ministero, e fatto valere con la domanda riconvenzionale, fosse provato e corrispondente all’ammontare richiesto.
La ricorrente obietta di avere eccepito che i documenti (verbali di consegna) su cui quel credito veniva basato, prodotti dal Ministero,
non erano ad essa riconducibili, poiché recavano una sottoscrizione apocrifa che impediva di individuare la paternità dell’atto.
Secondo la ricorrente, il giudice di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione di inopponibilità di tale documentazione sollevata nel corso del giudizio, così incorrendo in omessa pronuncia o comunque in un omesso esame di un fatto decisivo.
Il motivo è inammissibile.
Non ricorre il vizio di omessa pronuncia ove la decisione comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o dell’eccezione, da ritenersi ravvisabile quando la pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico -giuridica della pronuncia, nel senso che la domanda o l’eccezione, pur non espressamente trattate, siano superate e travolte dalla soluzione di altra questione, il cui esame presuppone, come necessario antecedente logico -giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza (Cass., n. 25710/ 2024; Cass., n. 20718/2018).
Qui il giudice di merito ha ritenuto offerta la prova documentale della somma richiesta dal Ministero, così implicitamente rigettando l’eccezione relativa al contenuto ed alla sottoscrizione dei documenti che quella somma provavano.
Ma soprattutto, ‘nel caso di denuncia, in sede di ricorso per cassazione, del vizio di omessa pronuncia, è necessaria l’illustrazione del carattere decisivo della prospettata violazione, dimostrando che ha riguardato una questione astrattamente rilevante, posto che, altrimenti, si dovrebbe cassare inutilmente la decisione gravata’. (Cass., n. 16102/2016; Cass., sez. 3, n. 10290/2025).
E qui, la censura per come formulata non chiarisce in quali termini sia stata formulata quella eccezione, né quale rilievo essa possa avere, in ragione altresì del fatto che il disconoscimento di una sottoscrizione comporta denuncia di falsità della medesima, e
dunque richiede una particolare formulazione, né è detto, al di là di tale precisazione, perché quelle sottoscrizioni apposte sui verbali di consegna del materiale carbolubrificante avrebbero potuto impedire, se prese in considerazione, di ritenere provata la domanda riconvenzionale.
Tanto è sufficiente anche per escludere la configurabilità del vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54, comma 1, lett. b) , del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni nella l. 7 agosto 2012, n. 134, che può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un ‘fatto storico’ controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia ‘decisivo’ ai fini di una diversa decisione, restando estranea al predetto vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare l’apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito.
6. -Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento di quello incidentale, che è stato espressamente condizionato all’accoglimento del principale.
Va dunque rigettato il ricorso principale, con assorbimento di quello incidentale. Le spese vanno compensate sia in ragione dell’esito alterno dei giudizi di merito che in considerazione della novità della questione al momento della proposizione del ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione