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Collaborazioni eterorganizzate: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di alcuni lavoratori che chiedevano il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, basandosi sulla disciplina delle collaborazioni eterorganizzate (art. 2 D.Lgs. 81/2015). La Corte ha stabilito che i lavoratori non avevano fornito prova sufficiente che le modalità di esecuzione della prestazione, come tempi e luoghi, fossero organizzate unilateralmente dal committente. La sentenza chiarisce che l’onere della prova spetta al lavoratore.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Collaborazioni Eterorganizzate: Confini e Onere della Prova secondo la Cassazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce sulle collaborazioni eterorganizzate, un tema cruciale nel moderno diritto del lavoro. La pronuncia chiarisce i requisiti necessari per l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a tali rapporti e, soprattutto, ribadisce su chi incombe l’onere di provare tali elementi. Questa decisione offre spunti fondamentali per lavoratori e aziende per comprendere i confini tra autonomia e subordinazione nell’era del Jobs Act.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di tre lavoratori che, legati a un Comitato locale di un’importante organizzazione nazionale da contratti di collaborazione professionale, avevano chiesto al Tribunale di riconoscere la natura subordinata del loro rapporto di lavoro. In subordine, chiedevano l’applicazione della disciplina del lavoro dipendente in quanto le loro prestazioni rientravano nelle cosiddette collaborazioni eterorganizzate ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015.

Mentre il Tribunale di primo grado aveva parzialmente accolto le loro richieste, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, respingendo il ricorso dei lavoratori. Secondo i giudici di secondo grado, non solo mancavano le prove di un vero e proprio vincolo di subordinazione, ma i lavoratori non avevano neppure allegato o dimostrato l’esistenza degli elementi caratterizzanti l’eterorganizzazione, come la determinazione unilaterale dei tempi e del luogo di lavoro da parte del committente. I lavoratori hanno quindi proposto ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza della Corte d’Appello. La decisione si fonda principalmente sulla carenza di allegazione e prova da parte dei lavoratori riguardo agli elementi costitutivi della fattispecie di eterorganizzazione.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha sviluppato il proprio ragionamento su alcuni punti cardine:

1. Onere della Prova e Requisiti dell’Eterorganizzazione: Il punto centrale della motivazione è che spetta al lavoratore dimostrare che la propria prestazione, pur formalmente autonoma, sia di fatto ‘eterorganizzata’. Non è sufficiente che il lavoro sia svolto in modo personale e continuativo. È necessario provare che le modalità di esecuzione, con specifico riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, siano imposte unilateralmente dal committente. Nel caso di specie, la Corte ha valorizzato il fatto che persino la predisposizione dei turni di servizio non era rimessa esclusivamente all’organizzazione, facendo così venir meno l’elemento qualificante dell’eterodirezione.

2. Nessun ‘Tertium Genus’: Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire un principio già espresso in precedenza (Cass. n. 1663/2020): le collaborazioni eterorganizzate non costituiscono un tertium genus, cioè una terza categoria di rapporto di lavoro a metà tra autonomia e subordinazione. Si tratta, invece, di una norma di disciplina che estende le tutele del lavoro subordinato a rapporti che, pur rimanendo formalmente autonomi, presentano un forte indice di dipendenza organizzativa. L’obiettivo della norma non è creare una nuova figura contrattuale, ma attrarre nell’orbita della subordinazione quelle collaborazioni che ne condividono la debolezza strutturale.

3. Principio della ‘Ratio Decidendi’: La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili altri motivi di ricorso, come quello relativo alla scadenza dei contratti. I giudici hanno applicato il consolidato principio secondo cui, quando una sentenza si fonda su più ragioni autonome e sufficienti a sorreggerla (pluralità di rationes decidendi), il ricorrente ha l’onere di impugnarle tutte con successo. Poiché la ragione principale della decisione d’appello (la mancata prova dell’eterorganizzazione) ha resistito alle censure, le altre questioni sono diventate irrilevanti.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un orientamento giurisprudenziale chiaro: per ottenere l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato a una collaborazione autonoma, il prestatore di lavoro deve fornire una prova rigorosa e specifica. Non basta lamentare una generica dipendenza economica o un coordinamento con l’attività del committente. È indispensabile dimostrare che quest’ultimo esercita un potere organizzativo pervasivo, determinando unilateralmente dove e quando la prestazione debba essere eseguita. Questa sentenza serve da monito per i lavoratori e da guida per i datori di lavoro, delineando con maggiore precisione la linea di demarcazione tra una legittima collaborazione autonoma e una che, nei fatti, cela un rapporto di lavoro subordinato.

Cosa definisce le collaborazioni eterorganizzate secondo la Corte?
Sono definite come prestazioni di lavoro prevalentemente personali e continuative, le cui modalità di esecuzione, inclusi tempi e luogo, sono organizzate unilateralmente dal committente. A queste si applica la disciplina del lavoro subordinato.

Su chi ricade l’onere di provare l’esistenza di una collaborazione eterorganizzata?
L’onere della prova ricade interamente sul lavoratore. È lui che deve allegare e dimostrare in giudizio che le modalità di esecuzione della sua prestazione erano determinate in modo unilaterale dal committente.

Le collaborazioni eterorganizzate sono una nuova tipologia di contratto di lavoro?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che non costituiscono un ‘tertium genus’ (una terza categoria) tra lavoro autonomo e subordinato. Si tratta di una norma di disciplina che estende le tutele del lavoro subordinato a determinate forme di collaborazione autonoma, senza creare una nuova figura contrattuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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