Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1316 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1316 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19208-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio
Oggetto
Cambio di
gestione
nell’appalto
Clausola sociale
R.G.N. 19208/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 11/10/2023
CC
dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 710/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/04/2019 R.G.N. 7996/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede n. 545/2017, e in accoglimento dell’appello proposto da COGNOME NOME contro detta decisione, accertava il diritto dell ‘COGNOME al trasferimento del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’appellata RAGIONE_SOCIALE con decorrenza dal 20.6.2016 e con anzianità dall’1.7.2005, con mansioni di Coordinatore, inquadramento nel 4° livello del CCNL RAGIONE_SOCIALE, retribuzione globale di € 2.812,35 lordi mensili ed assegnazione all’aeroporto di Linate e per l’effetto ordinava a detta società l’immediato ripristino del rapporto e la condannava a corrispondere all’appellante l’importo pari alle retribuzioni maturate dal l’1.11.2016 alla data di effettiva riammissione in servizio, sulla base dell’importo mensile sopra indicato, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dal dovuto al
saldo, detratto quanto percepito nel medesimo periodo come risultante dalla documentazione depositata in data 20.2.2019.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, richiamando propri precedenti circa fattispecie analoghe inerenti la medesima successione nell’appalto oggetto di giudizio, innanzitutto condivideva la censura dell’appellante in merito alla statuizione con cui il primo giudice aveva accolto l’eccezione di decadenza proposta dalla difesa della società. Osservava che il diritto azionato derivava dalla cosiddetta clausola sociale prevista dall’art. 25 parte generale e dall’art. H37 parte specifica CCNL di se ttore nell’ipotesi di trasferimento dei servizi tra operatori dell’attività di assistenza a terra e che pertanto, non solo non si verteva in un caso di trasferimento di azienda, rientrante nella lettera c) dello stesso art. 32 comma 4 della legge n. 183 del 2010, ma neppure nella previsione di cui alla lett. d) della stessa norma. Precisava che non si era rivendicato un rapporto alle dipendenze di un soggetto diverso, ma si era invocato l’obbligo, derivante dalla contrattazione collettiva, a carico dell’imp resa subentrante, di assumere ex novo , a certe specifiche condizioni, il personale in forza presso il precedente aggiudicatario dell’appalto.
Quanto al merito, la Corte osservava che non era contestato in giudizio che l’appellata fosse subentrata alla datrice di lavoro dell’appellante negli appalti di servizi di assistenza a terra, né che il lavoratore vi fosse addetto con l’inquadramento e l a retribuzione indicati nel ricorso, né infine che la convenuta fosse tenuta al rispetto della c.d. clausola sociale. Rilevava che la società appellata aveva assunto solo
in minima parte i cinquanta lavoratori che avrebbe dovuto assumere secondo l’accordo sindacale del 17.6.2016, a fronte degli ottantaquattro addetti nei servizi di assistenza a terra, e non aveva mai indicato in che modo avesse applicato i criteri oggettivi indicati all’art. H37 parte specifica C.C.N.L. di settore. Considerava che la società si era limitata ad affermare di non aver espletato, presso l’aeroporto di Linate, alcun atto applicativo della c.d. clausola sociale, a causa della procedura di mobilità ivi in corso; procedura che, tuttavia, la Corte riteneva non prevista dalla disciplina in precedenza riportata quale causa di esonero dall’osservanza dei relativi obblighi. Infine, quanto alla manifestazione di disponibilità all’assunzione su base volontaria -di alcuni dipendenti, contenuta nella missiva prodotta sub doc. 5, ed invocata in proprio favore dalla società, rilevava che essa prevedeva condizioni di impiego difformi rispetto a quelle applicate dall’impresa uscente sotto l’aspetto dell’orario di lavoro, e che tale proposta non sarebbe comunque conforme alle previsioni della c.d. clausola sociale, la quale non consentiva le variazioni così prospettate, con conseguente irrilevanza della mancata adesione dell’allora appellante.
Avverso tale decisione, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Resiste COGNOME NOME con controricorso.
Solo la ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 4, della legge n. 183/2010 e dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo che la Corte d’appel lo di Milano aveva ritenuto non applicabile la disciplina sulla decadenza alla fattispecie sull’erroneo presupposto che la lavoratrice non avesse rivendicato un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto.
Con un secondo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., vale a dire, il fatto che l’RAGIONE_SOCIALE non era stato licenziato dalla WFS, con conseguente mancanza di uno dei presupposti richiesti per il perfezionamento della fattispecie de qua .
Con un terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 25 del CCNL del 2.8.2013 e dell’art. H37 dell’accordo dell’11.12.2015, in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c. Deduce che il giudice di seconde cure aveva violato tali previsioni nelle parti in cui la contrattazione collettiva attribuisce alle intese intercorse tra le aziende coinvolte nella procedura la facoltà di individuare il personale e le condizioni di assunzione.
Con un quarto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 25 del CCNL del 2.8.2013, in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c. Deduce che la Corte d’appello di Milano ha omesso di rilevare che dalle minimali alleg azioni e deduzioni contenute nell’atto introduttivo del primo grado di giudizio non emerge in alcun
modo che, in applicazione dei criteri di scelta individuati dalla contrattazione collettiva, il sig. COGNOME avrebbe dovuto essere coinvolto nella procedura della c.d. ‘clausola sociale’, essendo il ricorso palesemente carente di allegazioni sotto tale profilo.
Con un quinto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3), c.p.c. Lamenta che il giudice di seconde cure aveva erroneamente condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate con riferimento al medesimo periodo in cui le stesse retribuzioni sono state corrisposte al sig. COGNOME dalla WFS.
Osserva il Collegio che questa Sezione si è già espressa sulla massima parte delle questioni di diritto poste con i su riassunti motivi nella sent. 19.6.2020, n. 12030. Tale ultima decisione, infatti, è stata resa in relazione a fattispecie analoga, quasi sovrapponibile, a quella in esame, e vi sono stati respinti o dichiarati inammissibili i motivi del ricorso per cassazione di RAGIONE_SOCIALE avverso sentenza della medesima Corte di appello di Milano, a sua volta, motivata in modo quasi identico a quella attualmente impugnata, in ordine a caso in cui veniva in considerazione la stessa c.d. clausola sociale di cui alle previsioni collettive che anche in questa fattispecie rilevano.
6.1. Pertanto, alla motivazione di quella decisione si farà riferimento anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
6.2. La società ricorrente, nella propria memoria in vista dell’odierna adunanza camerale, ha fatto presente di essere consapevole dell’indirizzo espresso nella suddetta sentenza di
questa Corte, muovendo ad esso dei rilievi critici che tuttavia non possono essere condivisi.
6.3. Cass. n. 12030/2020 cit., circa la questione di decadenza qui riproposta con il primo motivo del ricorso in esame, aveva ribadito il principio di diritto, già espresso da Cass. n. 13179/2017, secondo cui, nell’ipotesi di cambio di gestione dell’appalto con passaggio dei lavoratori all’impresa nuova aggiudicatrice, la conseguente azione per l’accertamento e la dichiarazione del diritto di assunzione del lavoratore presso l’azienda subentrante non è assoggettata al termine di decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, non rientrando nella fattispecie di cui alla lett. c), riferita ai soli casi di trasferimento d’azienda, né in quella di cui alla lett. d) del medesimo articolo; l’art. 32 citato presuppone, infatti, non il semplice avvicendamento nella gestione, ma l’opposizione del lavoratore ad atti posti in essere dal datore di lavoro dei quali si invochi l’illegittimità o l’invalidità con azioni dirette a richiedere il ripristino del rapporto nei termini precedenti, anche in capo al soggetto che si sostituisce al precedente datore di lavoro, o ancora, la domanda di accertamento del rapporto in capo al reale datore, fondata sulla natura fraudolenta del contratto formale.
Ebbene, il Collegio non intravede plausibili ragioni per discostarsi dal suddetto indirizzo di questa Corte, che, più di recente, è stato ribadito da Cass., sez. lav., 16.12.2022, n. 36944, in relazione ad altro caso riguardante un c.d. cambio di gestione dell’appalto.
E la pronuncia della Corte di merito è conforme a detto orientamento di legittimità, che ormai può definirsi costante.
7. Il secondo motivo è infondato.
Nel caso in cui, in forza di un accordo collettivo, sia previsto un sistema di procedure idoneo a consentire l’assunzione dei lavoratori alle dipendenze dell’impresa subentrante in un appalto, la tutela nei confronti del datore di lavoro cessionario si aggiunge a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 29922 del 2018, v. pure Cass. n. 12613 del 2007, 4166 del 2006). In altri termini, la domanda svolta da un lavoratore nei confronti dell’impresa per far valere i diritti derivanti dalle disposizioni contrattuali che prevedano determinate garanzie di assunzione resta del tutto autonoma da eventuali impugnative che lo stesso lavoratore possa proporre nei confronti della ex datrice di lavoro, precedente appaltatrice del servizio.
9. Inammissibile è il terzo motivo.
9.1. In esso si assume in esordio che la Corte d’appello ha violato o falsamente applicato le previsioni collettive richiamate in rubrica ‘nella parte motiva della sentenza in cui ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE non ha applicato tale normativa pur non essendovi alcuna causa di esonero dagli obblighi imposti da dette disposizioni’. Alla fine del medesimo sviluppo dello stesso motivo si sostiene ancora che la sentenza di secondo grado avrebbe ‘erroneamente ritenuto che le società coinvolte nella procedura non potessero individuare di comune accordo i lavoratori che sarebbero dovuti passare alle dipendenze dell’operatore subentrante’.
9.2. Sennonché, nel testo della sentenza impugnata neppure si riscontrano le specifiche affermazioni che la ricorrente dichiara di censurare.
Come già riferito in narrativa, la Corte di merito aveva, piuttosto, disatteso la difesa della società ‘di non aver espletato, presso l’aeroporto di LINATE, alcun atto applicativo della c.d. clausola sociale, a causa della procedura di mobilità ivi in cors o’, sul rilievo, qui nemmeno considerato dalla ricorrente, che tale evenienza non ‘è prevista dalla disciplina sopra riportata quale causa di esonero dall’osservanza dei relativi obblighi’.
In precedenza, la stessa Corte, richiamando una propria precedente decisione, aveva piuttosto affermato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva contestato ‘di essere tenuta al rispetto della c.d. clausola sociale prevista dall’art. 25 parte generale e dall’a rt. H37 parte specifica RAGIONE_SOCIALE CCNL RAGIONE_SOCIALE‘, e, richiamando altro proprio precedente, che neppure era ‘controverso che (RAGIONE_SOCIALE abbia assunto solo una minima parte dei cinquanta lavoratori che avrebbe dovuto assumere secondo l’ accordo sindacale del 17 giugno 2016, a fronte degli 84 addetti in servizio presso RAGIONE_SOCIALE nei servizi per cui è causa, mentre non ha mai indicato come sono stati applicati i criteri oggettivi indicati nell’art. H37 parte specifica c.c.n.l. di settore’.
Pertanto, nell’impugnata sentenza neanche è sostenuto ‘che le società coinvolte nella procedura non potessero individuare di comune accordo i lavoratori che sarebbero dovuti passate alle dipendenze dell’operatore subentrante’.
9.3. In definitiva, detta censura difetta di specificità ex art. 366, comma primo, n. 4), c.p.c., perché, da un lato, attinge affermazioni non contenute nella sentenza gravata, e, dall’altro, non censura le differenti valutazioni effettivamente espresse in essa.
10. Inammissibile è il quarto motivo.
10.1. In esso, si assume che ‘controparte in ricorso si è limitata ad indicare i nominativi dei lavoratori che, a suo dire, sarebbero passati da WFS ad RAGIONE_SOCIALE pur avendo un’anzianità aziendale inferiore a quella del sig. COGNOME
10.2. La censura difetta a riguardo dei requisiti di specificità/autosufficienza del ricorso per cassazione, non richiamando in modo testuale il punto del ricorso introduttivo del primo grado cui ci si riferisce. Peraltro, come si è già evidenziato, la Corte di merito aveva poi considerato pacifica ‘la mancata indicazione di come siano stati applicati i criteri oggettivi indicati nell’art. H37 parte specifica c.c.n.l. di settore’.
11. Parimenti inammissibile è il quinto motivo.
Come anticipato in narrativa, la Corte territoriale ha detratto l’ aliunde perceptum dal trattamento ritenuto spettante. Ebbene, il motivo in esame non chiarisce quale sia il differenziale tra detto trattamento e quello ricevuto, ma soprattutto non illustra le ragioni per le quali esso sarebbe errato, una volta che nel giudizio è stato stabilito -con statuizione non validamente contestata, come già detto con riferimento ai precedenti motivi – che la sentenza impugnata
ha attribuito il trattamento spettante alla stregua di quanto pattuito in sede sindacale.
Soggiunge il Collegio che la ricorrente non sembra considerare che nel dispositivo della sua sentenza la Corte territoriale ha condannato l’allora appellata ‘all’importo pari alle retribuzioni maturate dal 1°.11.16′, e non dal 20.6.2016, e che la detrazion e dell’ aliunde perceptum concerne il ‘medesimo periodo’ a decorrere, quindi, sempre dall’1.11.2016, ‘come da documentazione prodotta in data 20.2.19’. In parte motiva, infatti, la stessa Corte aveva dato conto che: ‘All’udienza del 20.2.2019, parte appella nte dichiarava di rinunciare agli importi maturati dal 20.6.16 al 31.10.16 e produceva documentazione concernente le retribuzioni aliunde percepite nel periodo intercorso dal novembre 2016 al gennaio 2019’ (così a pag. 4 dell’impugnata sentenza, ma v. anche pag. 8, in cui si tiene conto della rinuncia alle retribuzioni ‘pregresse’ all’1.11.2016). Inoltre, la ricorrente non muove alcuno specifico rilievo in ordine al rimando in sentenza alla ‘documentazione depositata in data 20.2.2019’, nonostante avesse ch iesto ed ottenuto rinvio per l’esame di quei documenti (cfr. sempre pag. 4 cit.).
13. Per completezza, va dato conto che la difesa del controricorrente in data 10.10.2023 ha depositato telematicamente (con accettazione del giorno seguente, vale a dire, il giorno dell’adunanza camerale ) copia di un verbale di conciliazione in sede sindacale in data 29.1.2019 (e, cioè, in data anteriore alla notifica del ricorso per cassazione in esame), che parrebbe riferirsi al presente giudizio, salvo indicare erroneamente la sentenza di secondo grado con il n.
799/2019 (invece che con l’esatto n. 710/2019). In tale verbale l’COGNOME, tra l’altro, prendeva ‘atto che la Società non proporrà appello in Cassazione (n.d.r.: sic !) avverso la Sentenza di cui in premessa …’ ; laddove il ricorso per cassazione è stato di fatto, e successivamente, proposto dalla società.
13.1. Ebbene, tale deposito non è accompagnato da alcuna richiesta della difesa del lavoratore, né la difesa della ricorrente nella sua memoria fa cenno a tale conciliazione.
Il Collegio, pertanto, ritiene di non dover tener conto di tale documento.
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale