Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23787 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23787 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13386-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
LA NOTTE NOME
– intimato – avverso la sentenza n. 25/2023 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 23/03/2023 R.G.N. 7/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Differenze retributive -Clausola sociale e capitolato d’appalto di TPL
R.G.N. 13386/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Potenza, in riforma di sentenza del Tribunale della stessa sede (di rigetto della domanda del lavoratore), ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del dipendente in epigrafe (operatore di esercizio) della somma di € 7.104,29 a titolo di differenze retributive, oltre accessori di legge.
In particolare, la Corte di merito ha ritenuto illegittima la disdetta unilaterale degli accordi di secondo livello operata dalla società odierna ricorrente, subentrata nel contratto di affidamento in concessione del servizio di trasporto pubblico locale del Comune di Potenza con effetto 1.1.2016; ha, infatti, osservato che il personale occupato dall’appaltatore uscente era passato alle dipendenze dell’appaltatore subentrante in forza di clausola sociale e che, tra le clausole del bando di gara e del capitolato speciale allegato, era precisato che l’impresa affidataria doveva assicurare il rispetto delle disposizioni legislative dei contratti nazionali di lavoro e garantire il mantenimento dei contratti integrativi e lo stato occupazionale del personale trasferito dal gestore uscente, con obbligo per 2 anni di rispettare e applicare senza deroga sia il CCNL di settore che gli accordi di secondo livello vigenti.
Per la cassazione della sentenza d’appello ricorre la società con quattro motivi, illustrati da memoria; il lavoratore intimato non si è costituito in questa sede; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per avere – la Corte di merito – posto a fondamento della decisione una causa petendi diversa rispetto a quella dedotta nel ricorso introduttivo ed aver così dato luogo ad un vizio di ultrapetizione o extra-petizione.
Il motivo non è fondato.
La società assume che gli accordi aziendali erano anacronistici, e che quindi rientrava nella propria libertà di iniziativa economica disdettarli in via unilaterale.
Siffatta tesi non è condivisibile, a fronte del dato, rilevato dalla Corte di merito, della portata della clausola sociale di matrice contrattuale collettiva, interpretata unitamente al capitolato di appalto, del mantenimento degli accordi di secondo livello per due anni, dato incompatibile con la condotta societaria, una volta vinto l’appalto impegnandosi a mantenere determinate condizioni retributive, di diminuire unilateralmente i trattamenti retributivi accessori pochi mesi dopo il subentro.
Del resto, la stessa società ricorrente riconosce che ‘ il minimo comune denominatore di tali norme consisteva nell’imposizione dell’obbligo di assorbire l’intera forza lavoro occupata dal precedente appaltatore e di assicurare, al personale assorbito in forza dell’aggiudicazione dell’appalto, trattamenti non deteriori rispetto a quelli precedentemente goduti ‘; sicché le questioni della (il)legittimità della disdetta dagli accordi di II livello a tempo indeterminato e la verifica dell’esistenza dell’obbligo in capo alla subentrante nell’appalto di RAGIONE_SOCIALE di assicurare al personale assorbito trattamenti non
deteriori rispetto a quelli precedentemente goduti, in applicazione di clausola sociale, non sono domande diverse, ma aspetti della medesima questione controversa.
Con il secondo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 69 d.lgs. 163/2006 ( ratione temporis vigente) in relazione all’art. 12 delle preleggi o dell’art. 1362 c. c., dell’art. 41 Cost. e dell’art. 16 della Carta di Nizza per aver ritenuto applicabile nella specie la cd. clausola sociale e dirimente rispetto alla verifica della legittimità o meno della disdetta degli Accordi di II livello a tempo indeterminato.
Con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 1324 e 1362 c.c. in relazione all’art. 11, co. 3, del Capitolato Speciale allegato al bando di gara in quanto ritenuto parte integrante del contratto di affidamento stipulato con la società , nonché, in relazione all’art. 19 del d.lgs. n. 422/1997, che limita la previsione nei contratti di servizio al solo CCNL e non agli accordi aziendali.
Le doglianze incorporate nei motivi in esame non superano il vaglio dell’ammissibilità perché, per costante giurisprudenza di questa Corte, è riservata al giudice di merito l’interpretazione degli accordi aziendali (inclusa la loro applicazione integrale), in ragione della loro efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 40/2006), ed essa non è censurabile in cassazione se non per vizio di motivazione o per violazione di canoni ermeneutici (Cass. n. 2625/2010 e successive conformi).
Conseguentemente, nella parte in cui si invoca il n. 3 dell’art. 360 c.p.c. per accordi sindacali aziendali che non hanno
il rango di contratti collettivi nazionali di lavoro, così come prescritto dalla disposizione richiamata, i motivi risultano inammissibili (cfr. Cass. n. 17201/2020, n. 9093/2023).
Quanto all’interpretazione del capitolato d’appalto, la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, posto che, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra; per il principio di autonomia del ricorso per cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, si deve escludere l’ammissibilità di una sostanziale prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice di merito, di cui si chiede a tale stregua un riesame, inammissibile in sede di legittimità (v. Cass. n. 33425/2022, n. 27702/2020, n. 16368/2014, n. 24539/2009, n. 10131/2006).
Con il quarto motivo, la società deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame circa un fatto decisivo per non avere la Corte d’Appello di Potenza valutato la condotta della Società ricorrente successiva al subentro nell’appalto e alla disdetta operata con comunicazione del 29 luglio 2016.
Il motivo è infondato, per ragioni corrispondenti a quelle espresse con riferimento al (rigetto del) primo motivo.
Invero, come accertato dalla Corte di Potenza, la clausola sociale, interpretata unitamente al capitolato, del mantenimento degli accordi di secondo livello per due anni non consentiva la disdetta unilaterale di detti accordi perché ritenuti dalla società anacronistici poco dopo avere conseguito l’appalto
di trasporto pubblico locale a determinate condizioni (che includevano l’applicazione di tali accordi).
Il ricorso deve pertanto, in conclusione, essere rigettato
N on vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, per la mancata costituzione della controparte.
Il rigetto dell’impugnazione determina il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 12 giugno