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Clausola di ultrattività CCNL: quando è valido il recesso?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26947/2024, ha stabilito che la clausola di ultrattività in un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) lo trasforma in un contratto a termine, la cui scadenza coincide con la stipula di un nuovo accordo. Di conseguenza, il singolo datore di lavoro non può recedere unilateralmente prima di tale scadenza. Nel caso specifico, un’associazione sanitaria che aveva tentato di applicare un CCNL diverso è stata comunque vincolata al rinnovo del precedente contratto, anche a seguito di un suo comportamento concludente consistito nel continuare ad applicarlo dopo la scadenza.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Clausola di ultrattività CCNL: il recesso del datore non è libero

La gestione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) è un tema centrale nel diritto del lavoro, specialmente quando si avvicina la loro scadenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale riguardo la clausola di ultrattività, chiarendo i limiti al potere di recesso del singolo datore di lavoro. Questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la stabilità dei rapporti di lavoro e la forza vincolante degli accordi collettivi.

I fatti del caso

Una nota associazione operante nel settore sanitario si trovava ad applicare ai propri dipendenti non medici un CCNL (il cosiddetto ‘CCNL sanità privata’) che conteneva una specifica clausola di ultrattività. Tale clausola stabiliva che il contratto avrebbe mantenuto la sua validità anche dopo la scadenza formale, fino alla sottoscrizione di un nuovo accordo collettivo.

Nel gennaio 2020, l’associazione comunicava ai sindacati e ai dipendenti la volontà di non applicare più tale CCNL, intendendo sostituirlo con un altro contratto (il ‘CCNL CDR’), ritenuto più adatto alle proprie esigenze. I lavoratori si opponevano, sostenendo che tale comportamento fosse illegittimo e chiedendo al Tribunale di accertare il loro diritto a vedersi applicato il CCNL sanità privata, incluso il suo successivo rinnovo avvenuto nell’ottobre 2020.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello davano ragione ai lavoratori, affermando che la clausola di ultrattività impediva al singolo datore di lavoro di recedere unilateralmente dal contratto. L’associazione, ritenendo la propria libertà negoziale ingiustamente limitata, decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

La decisione sulla clausola di ultrattività della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’associazione, confermando le sentenze dei gradi precedenti. Gli Ermellini hanno chiarito la natura e gli effetti della clausola di ultrattività, delineando principi di diritto di notevole importanza pratica.

Secondo la Corte, una clausola di questo tipo non trasforma il contratto collettivo in un accordo a tempo indeterminato, dal quale si può recedere liberamente. Al contrario, essa stabilisce un termine finale di efficacia che, sebbene incerto nel ‘quando’ (la data esatta del rinnovo), è certo nel ‘se’ (il rinnovo avverrà). Questo lo qualifica come un contratto a termine, non soggetto a recesso unilaterale prima della sua naturale scadenza.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che la facoltà di ‘disdetta’ di un CCNL spetta esclusivamente alle parti stipulanti, ovvero le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali, non al singolo datore di lavoro. Quest’ultimo, una volta vincolato da un CCNL, non può sottrarsi alle sue regole fino alla scadenza pattuita.

Infine, è stato rilevato che l’associazione, pur avendo comunicato la volontà di cambiare contratto, aveva di fatto continuato ad applicare il CCNL sanità privata anche dopo il suo rinnovo. Questo comportamento è stato interpretato come un’accettazione tacita (comportamento concludente) del nuovo accordo, rendendolo vincolante a tutti gli effetti, anche se l’associazione nel frattempo era receduta dall’organizzazione datoriale firmataria.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su una distinzione chiave tra termine e condizione. L’evento futuro identificato dalla clausola di ultrattività (il rinnovo del CCNL) è considerato un evento certo nel suo verificarsi, anche se non determinato nel tempo. Questo lo configura come un termine di durata, non come una condizione risolutiva. Di conseguenza, si applica il principio generale secondo cui non è possibile recedere da un contratto a termine prima della sua scadenza, se non per giusta causa (non invocata nel caso di specie).

La Corte ribadisce che il recesso è un potere che appartiene alle parti sociali che hanno negoziato e firmato l’accordo. Consentire al singolo datore di lavoro di recedere unilateralmente minerebbe la stabilità e l’efficacia della contrattazione collettiva, garantita dall’art. 39 della Costituzione. Il datore di lavoro, iscritto a un’associazione di categoria, è vincolato dalle scelte di quest’ultima, inclusa la stipula e il rinnovo dei CCNL, in virtù del principio di rappresentanza sindacale.

Anche quando tale vincolo formale viene meno (come nel caso in cui l’azienda receda dall’associazione di categoria), l’obbligo di applicare un CCNL può sorgere da un’adesione implicita. Il comportamento concludente, come la costante e prolungata applicazione di un contratto, è sufficiente a manifestare la volontà di recepire quella disciplina collettiva nel rapporto di lavoro individuale, creando un vincolo altrettanto forte.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: la clausola di ultrattività è uno strumento di stabilità che protegge lavoratori e imprese da vuoti normativi tra la scadenza di un CCNL e il suo rinnovo. Il singolo datore di lavoro non può decidere arbitrariamente di sottrarsi a un contratto collettivo che la contiene; dovrà attendere la sua naturale scadenza, che coincide con l’entrata in vigore del nuovo accordo collettivo. Qualsiasi disdetta unilaterale prima di tale momento è inefficace. Inoltre, le azioni concrete di un’azienda, come continuare ad applicare un contratto, hanno un peso legale significativo e possono creare obblighi contrattuali anche in assenza di un’adesione formale, confermando il principio che nel diritto del lavoro la sostanza prevale sulla forma.

Qual è l’effetto di una clausola di ultrattività in un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL)?
Una clausola di ultrattività prolunga l’efficacia di un CCNL oltre la sua data di scadenza formale, fino alla stipulazione di un nuovo contratto. Secondo la Corte, questo non lo rende un contratto a tempo indeterminato, ma un contratto a termine con una scadenza certa nel suo verificarsi anche se incerta nella data (il rinnovo).

Un singolo datore di lavoro può recedere unilateralmente da un CCNL che contiene una clausola di ultrattività?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il singolo datore di lavoro non può recedere unilateralmente da un CCNL in corso di validità, inclusa la sua fase di ultrattività. La facoltà di disdetta spetta unicamente alle parti stipulanti originarie, cioè le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali.

Cosa succede se un datore di lavoro continua ad applicare un CCNL anche dopo il suo rinnovo, pur avendo dichiarato di volerlo cambiare?
Se un datore di lavoro continua ad applicare un CCNL rinnovato per un periodo di tempo significativo, questo viene considerato un ‘comportamento concludente’. Tale comportamento equivale a un’accettazione tacita del nuovo contratto, che diventa quindi vincolante per l’azienda, anche se questa non è più iscritta all’associazione datoriale che ha firmato il rinnovo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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