Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3506 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3506 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/02/2024
INDIRIZZO
-intimata –
Avverso la sentenza n. 3975/2022, resa dalla Corte d’Appello di Milano, Sez. II civile, pubblicata e comunicata il 15/12/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME;
Rilevato che:
Oggetto: Chiamata del terzo iussu iudicis Inottemperanza – Estinzione immediata del processo – Esclusione – Previa cancellazione della causa dal ruolo – Necessità.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13197/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso il loro indirizzo PEC e presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente – contro
1. Con atto di citazione notificato il 7 giugno 2018, l’AVV_NOTAIO convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, INDIRIZZO, chiedendone la condanna al pagamento della somma di € 12.402,52, oltre interessi legali e rivalutazione, nonché le spese del giudizio, per l’attività professionale stragiudiziale resa in suo favore a far data dall’aprile 2016, deducendo di averla assistita nella controversia relativa al risarcimento per un sinistro stradale avvenuto il 15 Aprile 2016 e di averle consentito di conseguire dalla RAGIONE_SOCIALE il pagamento di € 92.768,00 , senza che la predetta, benché richiesta in tal senso, provvedesse a pagargli il compenso nella misura pattuita di € 13.500,00 , oltre accessori, ma solo nella minor somma di € 7 .295,60 al lordo degli accessori.
Costituitasi in giudizio, INDIRIZZO chiese il rigetto della domanda, evidenziando che aveva ricevuto meno di quanto promessole e che comunque l’importo indicato dall’attore comprendeva anche le spese già corrisposte.
Con ordinanza del 16 ottobre 2019, il giudice adito ordinò la chiamata in giudizio, a norma dell’art. 107 cod. proc. civ., dei terzi assicuratori RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e, non risultando notificato alcun atto di chiamata in causa, fissò l’udienza per la precisazione delle conclusioni sulla questione preliminare di cui all’art. 307 cod. proc. civ., all’esito della quale, dopo aver respinto l’istanza di revoca dell’ordinanza e la richiesta di rimessione in termini, emise, in data 16 luglio 2021, la sentenza n. 6229/2021, con la quale dichiarò, ai sensi dell’art. 307 cod. proc. civ., l’estinzione del processo per mancata integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 107 cod. proc. civ..
Il giudizio d’appello, incardinato dal medesimo COGNOME con atto notificato il 11 Febbraio 2022, si concluse, nella resistenza
dell’appellata, con la sentenza n. 3975/2022 del 15 dicembre 2022, con la quale la Corte d’Appello di Milano rigettò il gravame. 2. Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. NOME COGNOME è, invece, rimasta intimata.
Considerato che :
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 107, 307, terzo comma, e 163bis , cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito confermato la declaratoria estintiva pronunciata in primo grado, benché, in quella sede, l’ordinanza del 16/10/2019 avesse disposto la sola chiamata in giudizio della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE senza fissare il termine perentorio entro il quale provvedere alla notifica dell’integrazione del contraddittorio ex art. 107 cod. proc. civ., mentre soltanto con la sentenza era stato richiamato il termine di cui all’art. 163 -bis , cod. proc. civ. sul presupposto che questo fosse stato assegnato all’udienza del 11/3/2020. Ad avviso del ricorrente, i giudici del gravame, nell’affermare che i termini non erano stati rispettati, richiamando all’uopo l’art. 163 -bis , cod. proc. civ., e giustificando la mancata concessione della rimessione in termini, non aveva considerato che quest’ultima disposizione e l’art. 307, terzo comma, cod. proc. civ., rispondevano a finalità diverse, posto che il primo prevedeva un termine dilatorio a tutela delle garanzie difensive e il secondo assolveva a finalità sollecitatorie volte a stimolare le parti ad ottemperare all’ordine del giudice, sicché, al fine di comminare una sanzione così grave come quella dell’estinzione del processo, si sarebbe dovuta verificare, come dato essenziale, la precisa indicazione del termine entro cui provvedere all’adempimento, non essendo automaticamente applicabile l’art. 163 -bis cod. proc. civ.
Col secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 107, 270 e 307 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere il giudice di merito fondato la decisione sulla base di un erroneo inquadramento normativo e processuale della fattispecie e una lacunosa applicazione delle norme processuali, atteso che il giudice di primo grado aveva disposto la chiamata in causa delle compagnie assicurative non già in quanto litisconsorti necessari, ma per meri motivi di opportunità legati al fatto che NOME avrebbe corrisposto somme alla convenuta e poteva quantificare quanto corrisposto e che ad NOME era ascrivibile la scelta dell’attore come difensore della stessa convenuta. In siffatti casi, la mancata ottemperanza all’ordine del giudice avrebbe imposto a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 270, secondo comma, cod. proc. civ., di cancellare la causa dal ruolo, consentendo alla parte la sua riassunzione nel termine perentorio di tre mesi a pena di estinzione del processo, adempimento questo che era stato del tutto disatteso dal giudice di primo grado, che aveva, invece, fissato l’udienza per la precisazione delle conclusioni e, quindi, dichiarato l’estinzione del giudizio.
Con il terzo motivo, infine, si lamenta, in via subordinata, la violazione degli artt. 91, primo comma, 307, terzo comma, e 310 cod. proc. civ., la violazione del principio della soccombenza e la nullità per motivazione apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello rigettato il motivo riguardante l’avvenuta condanna dell’appellante, da parte del giudice di primo grado, alle spese del giudizio, in contrasto col principio, affermato in caso di mancata integrazione del contraddittorio ex art. 102 cod. proc. civ., secondo cui tutte le parti sono tenute ad attivarsi, sicché, in caso di inottemperanza, non è possibile individuare quale sia
quella soccombente su cui far gravare le spese di lite. Nella specie, peraltro, la convenuta non soltanto non aveva provveduto alla citazione delle chiamate in causa, ma non aveva più partecipato ad alcuna udienza, mentre la pronuncia del giudice si era fermata alla fase preliminare, senza entrare nel merito della controversia, con la conseguenza che avrebbe dovuto trovare applicazione il principio previsto dall’art. 310 cod. proc. civ., secondo cui le spese del giudizio estinto vanno a carico delle parti che le hanno anticipate.
4. Il primo motivo è infondato.
Secondo l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, nell’ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia disposto la chiamata di un terzo in causa, nella ritenuta opportunità che il processo si svolga anche nei suoi confronti, stante la «comunanza» di lite, secondo l’ampia formula adottata nell’art. 107 cod. proc. civ., e quindi in assenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario di natura sostanziale, il relativo ordine determina una situazione di litisconsorzio processuale necessario, non rimuovibile per un diverso apprezzamento del giudice dell’impugnazione (v., tra le altre Cass., Sez. 1, 6/5/2016, n. 9131; Cass., Sez. 5, 17/2/2010, n. 3717; Cass., Sez. 1, 05/09/2008, n. 22419; Cass., Sez. L, 22/3/2002, n. 4129; Cass., Sez. 1, 28/01/1999, n. 739; Cass., Sez. 3, 17/07/1996, n. 6460; Cass., Sez L, 25/03/1996, n. 2628; Cass., Sez. 2, 22/06/1995, n. 7083; Cass., Sez. L, 10/05/1995, n. 5082; Cass., Sez. L, 29/05/1991 n. 6090; Cass., Sez. 1, 06/02/1987, n. 1175).
In tal caso valgono i principi affermati da questa Corte in tema di litisconsorzio necessario di natura sostanziale, i quali, come evidenziato da Cass., Sez. L, 5/11/2008, n. 26570, in questa parte non massimata, trovano applicazione anche in presenza di
un intervento iussu iudicis , come è avvenuto nella presente controversia, in virtù dei quali, anche quando non sia stato fissato il termine perentorio entro il quale la notificazione debba avvenire, detto termine può legittimamente individuarsi in quello indicato dall’art. 163bis cod. proc. civ., da rilevare in base alla data dell’udienza di rinvio, sempre che detto termine non sia inferiore ad un mese o superiore a sei mesi rispetto alla data del provvedimento di integrazione, giusta il disposto dell’art. 307, terzo comma, cod. proc. civ., ultimo inciso (così Cass., Sez. 1, 20/2/2002, n. 2431; Cass., Sez. 3, 27/7/2005, n. 15675; Cass., Sez. L, 5/11/2008, n. 26570; Cass., Sez. 2, 16/12/2009, n. 26401; Cass., Sez. 3, 12/3/2014, n. 5628; Cass., Sez. 2, 25/2/2020, n. 4965).
Tale indirizzo si intende in questa sede ribadire, in quanto al termine fissato nella suddetta norma di rito è sottesa l’esigenza di garantire il convenuto cui si vuole assicurare un tempo ragionevole ed adeguato perché possa apprestare la propria difesa e in quanto l’indirizzo stesso trova conforto in un’interpretazione del dato normativo costituzionalmente orientata ai sensi dell’art. 111, secondo comma, Cost., norma che le Sezioni Unite (cfr. al riguardo Cass., Sez. U, 30/7/2008, n. 20604) hanno più volte indicato come indice parametrico per interpretare le singole disposizioni processuali, al fine di definirne gli spazi di operatività e di consequenziale compatibilità con un assetto ordinamentale volto a tutelare la ragionevole durata del processo (in questi esatti termini, tra le tante, Cass., Sez. 2, 25/2/2020, n. 4965; Cass., Sez. L, 5/11/2008, n. 26570).
Alla stregua di tali principi, deve allora ritenersi che la Corte d’Appello abbia deciso correttamente, allorché ha richiamato il disposto di cui all’art. 163 -bis cod. proc. civ., quale termine
ultimo imposto dalla legge per la notifica della chiamata del terzo, con conseguente infondatezza della censura.
Il secondo motivo è invece fondato.
Al riguardo, richiamato il principio secondo cui la chiamata iussu iudicis del terzo dà luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio processuale necessario, come già affermato nel paragrafo che precede, si osserva come le conseguenze della mancata ottemperanza all’ordine del giudice siano espressamente previste dall’art. 270, secondo comma, cod. proc. civ., secondo il quale a differenza di quanto disponeva il testo precedente alla riforma di cui alla legge n. 857 del 1950 – il processo non si estingue, ma la causa viene cancellata dal ruolo con ordinanza non impugnabile. Dall’ordinanza di cancellazione – assunta come presupposto per la successiva pronuncia di estinzione, ove beninteso ne ricorrano le condizioni -, decorre il termine trimestrale entro il quale la causa deve essere riassunta con la chiamata in causa del terzo, ai sensi dell’art. 307, primo comma, cod. proc. civ., altrimenti il processo si estingue.
Come già affermato da questa Corte, appare evidente che il legislatore del 1950 ha scelto la soluzione di una degradazione delle conseguenze dell’inottemperanza all’ordine di chiamata in causa del terzo, configurando la cancellazione della causa dal ruolo come una fase preliminare alla dichiarazione di estinzione e assumendo la riassunzione nel termine perentorio fissato dall’art. 307 nei confronti (anche) del terzo come rimedio alle conseguenze della precedente omissione (Cass., Sez. 3, 12/7/2023, n. 19974; anche Cass., Sez. 1, 28/1/1999, n. 739).
Il già ricordato carattere discrezionale dell’ordine di chiamata in causa, pronunciato dal giudice di primo grado, e la sua insindacabilità da parte del giudice di appello e del giudice di legittimità comportano che il giudice di appello non potesse far
derivare dalla mancata ottemperanza all’ordine di chiamata in causa la correttezza della declaratoria, da parte del giudice di primo grado, dell’estinzione del processo, senza verificare se fosse stata prima disposta la cancellazione della causa dal ruolo e se ad essa fosse seguita la mancata riassunzione del processo nei termini sopra specificati con integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo, come accaduto nella specie.
Ne consegue la fondatezza della censura.
Dall’accoglimento del motivo che precede, deriva l’assorbimento del terzo motivo, siccome afferente alla determinazione delle spese del giudizio.
In conclusione, affermata l’infondatezza del primo motivo, la fondatezza del secondo e l’assorbimento del terzo, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio, ai sensi degli artt. 383, terzo comma, e 354, secondo comma, cod. proc. civ., al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del