Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18947 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 18947 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 13837-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – e sul RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G. proposto da:
Oggetto
Trasferimento azienda
lavoro
R.G.N. 13837/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 16/04/2025
PU
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente successivo –
contro
COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME
– controricorrenti al ricorso successivo nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 1050/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/12/2022 R.G.N. 921/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME; NOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
uditi gli avvocati COGNOME NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 1050/2022, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto le domande dei lavoratori, già dipendenti di Intesa San Paolo Group Services scpa volte ad accertare l’inefficacia della cessione del ramo di azienda intervenuta tra Intesa San Paolo, quale incorporante della loro datrice di lavoro, ed RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, con conseguente inefficacia della cessione dei contratti di lavoro e con ripristino dei
rapporti presso Intesa Sanpaolo dalla data di cessione dei contratti medesimi.
I lavoratori avevano affermato di avere lavorato alle dipendenze di Intesa San Paolo Group Services fino al 29.11.2008, incardinati presso la macrostruttura definita Direzione Recupero Crediti, articolata in due sub-strutture (Servizio Recupero Crediti Territoriali e Servizio Recupero Crediti Specialistico) ed integrata da un Ufficio di Supporto Tecnico ed Amministrativo e dall’Ufficio Normativa e Strumenti; avevano riferito che nel novembre del 2018 la Intesa San Paolo Group Services aveva operato una scissione parziale dell’azienda conferendo a RAGIONE_SOCIALE il preteso ramo di azienda costituito dalla Direzione Recupero Crediti con esclusione dell’Ufficio Supporto Tecnico e Amministrativo, avevano precisato che, a seguito di tale operazione, RAGIONE_SOCIALE era divenuta RAGIONE_SOCIALE mentre Intesa San Paolo Group Services si era fusa con Intesa Sanpaolo e che non vi erano i presupposti per qualificare l’operazione come cessione diramo di azienda.
La Corte ambrosiana, premesso che la fattispecie in oggetto era caratterizzata da fatto che la cedente, per mezzo di contratti di appalto con la cessionaria, aveva poi continuato ad avvalersi, in modo pressoché esclusivo, delle prestazioni dei lavoratori ceduti, ha condiviso, in estrema sintesi, le conclusioni del giudice di primo grado, escludendo che dalle risultanze probatorie fossero stati dimostrati elementi idonei a provare sia l’autonomia funzionale che e la preesistenza del ramo ceduto, tanto al momento della cessione che successivamente.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposti separati ricorsi Intesa Sanpaolo SRAGIONE_SOCIALEpRAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE: la prima
società con due motivi e la seconda con tre motivi, cui hanno resistito con controricorso gli intimati.
Le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c., lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. a causa della motivazione solo apparente in ordine a punti decisivi della controversia nonché dell’art. 115 cpc per errore di ricognizione del contenuto oggettivo della prova, per non essersi la Corte territoriale confrontata con alcuni motivi di gravame e, quindi, per non avere spiegato le ragioni del rigetto degli appelli e per avere tratto dalle prove acquisite conclusioni logicamente incompatibili con le oggettive risultanze istruttorie.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non aver la Corte distrettuale correttamente interpretato, anche alla luce della direttiva 2001/23 e della giurisprudenza pron unciatasi sul punto, l’art. 2112 cod. civ. e per averne conseguentemente escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame.
Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, denuncia la violazione dell’art. 2112 cod. civ., l’erronea ricognizione della fattispecie astratta che: a) include tra i legittimi rami di azienda quelli aventi natura dematerializzata e b) non richiede che il ramo di azienda, per essere legittimo, debba essere necessariamente una unità produttiva autosufficiente.
Con il secondo motivo si eccepisce la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 112 cpc, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, per omessa pronuncia sul motivo di appello concernente il mandato di gestione formulato da RAGIONE_SOCIALE, non essendosi la Corte distrettuale pronunciata sui profili costituiti dalla sussistenza di necessarie interazioni tra cedente e cessionaria nonché dalla titolarità dei crediti gestiti, il cui trasferimento non era contemplato nell’ambito dei mandati di gestione.
Con il terzo motivo, si obietta la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per motivazione apparente e/o incomprensibile e/o contraddittoria in ordine al requisito della preesistenza del ramo ceduto.
Il primo motivo del ricorso di Intesa Sanpaolo S.p.a. ed il terzo motivo del ricorso di RAGIONE_SOCIALE.a (da qualificarsi quest’ultimo quale ricorso incidentale perché successivo, cfr. Cass. n. 27680/2021; Cass. n. 36057/2021), con i quali si denuncia la nullità della sentenza impugnata, non sono fondati.
La sentenza gravata riporta ampia motivazione (che infatti viene criticata negli altri motivi) e raggiunge il cd. minimo costituzionale (Cass. S.U. n. 8053/2014).
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile il controllo sul suo ragionamento (cfr. Cass. n. 9105/2017, n. 20921/2019); ipotesi non ricorrente nel caso in esame.
Inoltre, l’onere motivazionale può essere assolto anche mediante la condivisione delle valutazioni e del convincimento espressi dal Tribunale, sia pure attraverso il filtro dei motivi di gravame. Questi, tuttavia, ben possono essere rigettati proprio mediante quella tecnica motivazionale, senza dubbio legittima, qualora -come nella specie -il giudice del gravame abbia spiegato le ragioni di condivisione della decisione di primo grado.
Infine, la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. (Sez.3, 28.2.2017, n. 5009; Sez.2, 14.3.2018, n. 6231).
Nella fattispecie, invece, ciò che viene criticato non è il travisamento della prova, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in quanto le proposte doglianze riguardano la valutazione della prova (“demonstrandum”), e non la ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (“demonstratum”), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre: invero, ciò di cui si duole Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE.p.a. è l’affermazione della Corte territoriale secondo cui i poteri deliberativi in merito a vendite, rettifiche e accordi transattivi erano riconducibili in capo a ISP quando, di contro, tale conclusione era stata
smentita da un teste, ovvero che per potere rendere operativo il ramo ceduto fosse necessaria la significativa integrazione strutturale da parte del cessionario, avvenuta con la sottoscrizione di contratti di locazione di beni e servizi, sebbene tale assunto fosse stato espressamente impugnato.
Nella economia della gravata sentenza, si evince, invece, chiaramente che la Corte distrettuale ha svolto una valutazione su tutte le risultanze processuali giungendo alla conclusione che vi era stata una artificiosa creazione di un ramo di azienda, mai esistito in quei termini prima della cessione, privato di alcune funzioni rilevanti e connaturali al servizio di recupero crediti che, precedentemente, contemplava ogni attività (anche ancillare) necessaria alla completa gestione delle pratiche.
E’ opportuno precisare che è un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
Anche il secondo motivo del ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE è infondato.
A pag. 13 della sentenza impugnata la Corte d’Appello dà atto che RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato la mancata considerazione del mandato di gestione dei crediti, da cui -secondo la tesi difensiva della società appellante -erano derivate quelle interazioni fra cedente e cessionaria, a suo dire considerate erroneamente dal Tribunale ostative ad una legittima cessione di ramo d’azienda ed invece del tutto irrilevanti, proprio perché giustificate da quel mandato di gestione. Nello sviluppo della motivazione i giudici d’appello hanno preso in considerazione quel motivo e lo hanno rigettato sia pure implicitamente, affermando che al momento della cessione la struttura non era affatto autosufficiente e senza i coevi contratti di appalto (che avevano garantito l’u nica commessa ISP, fornendo gli strumenti informatici necessari per l’ordinaria operatività) e senza l’inserimento nella organizzazione di RAGIONE_SOCIALE (non essendo state passate le funzioni amministrative e di interfaccia) il presunto ramo di azienda non sarebbe stato in grado di operar nel libero mercato.
Dunque, l’asserita omessa pronunzia su un motivo di appello non sussiste.
Il secondo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale -da esaminare congiuntamente per la loro connessione, in quanto tutti diretti a censurare l’interpretazione dell’art. 2112 cod. civ. operata nel caso concreto dai giudici di merito -sono anche essi infondati.
Contrariamente all’assunto delle ricorrenti, la Corte territoriale ha riconosciuto in astratto legittima anche una cessione di ramo dematerializzato d’azienda, ma alla
condizione che il gruppo di dipendenti ceduti esprima una professionalità omogenea e coesa mediante uno specifico e peculiare know-how.
In concreto, tuttavia, a seguito di un accertamento di fatto -congruamente motivato e quindi sottratto al sindacato di legittimità -i giudici d’appello (richiamando la motivazione del Tribunale) hanno escluso che ciò sussistesse, evidenziando che difettavano gli elementi della preesistenza e dell’autonomia organizzativa ed economica finalizzata allo svolgimento di un’attività di produzione di beni e servizi, ossia la capacità dello stesso, già al momento dello scorporo del complesso cedente, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi e di svolgere autonomamente dal cedente, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzata nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione (richiamando pertinente giurisprudenza di legittimità sul punto). Hanno altresì sottolineato che i contratti di service dei programmi informatici e della logistica degli immobili costituivano specifici indicatori dell’assenza di autonomia e consistenza organizzativa propria in capo al complesso ceduto. Trattasi di un convincimento conforme a diritto, non essendovi stato alcun errore di sussunzione.
In proposito, va ricordato il pacifico orientamento di questa Corte, secondo cui il ramo d’azienda rilevante ex art. 2112 c.c. deve pur sempre rispettare la nozione di impresa e pertanto deve pur sempre avere quell’autonomia funzionale idonea a consentire lo svolgimento ex se dell’attività imprenditoriale (nella nozione data dall’art. 2082 c.c.) sul mercato, quindi anche verso terzi, e non solo verso la cedente.
In particolare, come ricordato nella sentenza appellata, questa Corte ha affermato che ai fini del trasferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 d. lgs. n. 276/2003, rappresenta elemento costitutivo della cessione l’autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi e quindi di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario – il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell’ambito dell’impresa cedente al momento della cessione. 16.
L’elemento costitutivo dell’autonomia funzionale va quindi letto in reciproca integrazione con il requisito della preesistenza, e ciò anche in armonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale l’impiego del termine “conservi” nell’art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva 2001/23/CE, “implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento” (sentenza 6 marzo 2014, C-458/12; sentenza 13 giugno 2019, C-664/2017) (Cass. n. 22249/2021).
In definitiva, il ramo ceduto deve essere in grado di svolgere attività di impresa indipendentemente dall’eventuale contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato fra cedente e cessionaria (Cass. n. 19034/2017: in quel giudizio questa Corte ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto integrato il trasferimento di ramo d’azienda nel caso di cessione di un call center, benché per la realizzazione dell’attività ceduta fosse necessaria una continua interazione con programmi
informatici rimasti nella proprietà esclusiva della cedente; nello stesso senso, Cass. n. 11247/2016).
La Corte territoriale ha fatto buon governo di tale orientamento, poiché ha verificato che in concreto, dopo la cessione del ramo d’azienda, l’attività della cessionaria era rimasta indissolubilmente legata, in termini di vera e propria dipendenza funzionale, ad alcune attività rimaste alla cedente.
Ne consegue la conformità a diritto della ritenuta esclusione della sussistenza nel caso concreto della fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c.
Alla stregua di quanto esposto, entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
Al rigetto segue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta i ricorsi. Condanna ciascuna società ricorrente al pagamento, in favore dei rispettivi controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.