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Cessione ramo d’azienda: doppio stipendio legittimo

La Corte di Cassazione, con ordinanza, ha stabilito un principio fondamentale in materia di cessione ramo d’azienda dichiarata illegittima. Se il datore di lavoro originario (cedente) non riammette in servizio il lavoratore, quest’ultimo ha diritto alla retribuzione completa, anche se nel frattempo ha lavorato e percepito uno stipendio dal nuovo datore (cessionario). La Corte ha chiarito che si creano due rapporti di lavoro distinti: uno ‘de iure’ con il cedente, che deve lo stipendio a causa del suo rifiuto illegittimo, e uno ‘de facto’ con il cessionario, che paga per la prestazione effettivamente ricevuta. Pertanto, le somme percepite dal cessionario non possono essere detratte da quanto dovuto dal cedente.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Cessione Ramo d’Azienda Illegittima: Sì al Doppio Stipendio per il Lavoratore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in tema di cessione ramo d’azienda dichiarata illegittima, confermando il diritto del lavoratore a percepire una doppia retribuzione. Questo accade quando il datore di lavoro originario (cedente) si rifiuta di riammettere in servizio il dipendente, mentre quest’ultimo continua a lavorare per l’azienda che ha acquisito il ramo (cessionaria). La decisione chiarisce la natura dei due distinti rapporti di lavoro che vengono a coesistere e le relative conseguenze economiche.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un dipendente di una grande società tecnologica, il cui rapporto di lavoro era stato trasferito a un’altra azienda nell’ambito di una cessione di ramo d’azienda. Tale operazione era stata successivamente dichiarata illegittima dal Tribunale, con ordine di riammissione del lavoratore presso la società originaria. Di fronte al rifiuto di quest’ultima di ottemperare all’ordine, il lavoratore aveva continuato a prestare la sua attività per la società cessionaria, ottenendo nel contempo un decreto ingiuntivo per le retribuzioni non corrisposte dalla sua datrice di lavoro ‘de iure’. La società cedente si era opposta, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al lavoratore. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La questione della Cessione Ramo d’Azienda e la duplicità dei rapporti

Il fulcro del ricorso della società si basava su diversi motivi, tra cui la presunta violazione del principio del ‘giudicato’ e, soprattutto, l’errata interpretazione delle norme sulla mora credendi e sull’adempimento del terzo. L’azienda sosteneva che, avendo il lavoratore già percepito uno stipendio dalla società cessionaria, nulla gli fosse più dovuto. A suo avviso, tale pagamento avrebbe dovuto liberarla dal proprio obbligo retributivo.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo motivazioni chiare e in linea con il suo consolidato orientamento. I giudici hanno spiegato che, a seguito della dichiarazione di illegittimità della cessione ramo d’azienda, si vengono a creare due rapporti di lavoro distinti e autonomi:

1. Un rapporto ‘de iure’ (di diritto): Questo rapporto viene legalmente ricostituito con il datore di lavoro originario (cedente) per effetto della sentenza. Se il cedente non ottempera all’ordine di riammissione e rifiuta la prestazione lavorativa offertagli dal dipendente, si trova in una situazione di mora credendi. Di conseguenza, è tenuto a corrispondere l’intera retribuzione, poiché la mancata prestazione lavorativa è imputabile esclusivamente alla sua condotta.

2. Un rapporto ‘de facto’ (di fatto): Questo è il rapporto che prosegue con il datore di lavoro cessionario, presso cui il lavoratore continua a svolgere concretamente la sua attività. La retribuzione versata dal cessionario è il corrispettivo per il lavoro effettivamente prestato, secondo quanto previsto dall’art. 2126 del codice civile.

La Corte ha specificato che la somma percepita dal lavoratore dal cessionario (aliunde perceptum) non può essere detratta dallo stipendio dovuto dal cedente. Il concetto di aliunde perceptum si applica al risarcimento del danno, mentre in questo caso l’obbligo del cedente ha natura retributiva e non risarcitoria. Inoltre, il pagamento effettuato dal cessionario non costituisce ‘adempimento del terzo’ (art. 1180 c.c.), poiché il cessionario non sta pagando un debito altrui, ma sta adempiendo a un proprio obbligo derivante dal rapporto di lavoro di fatto.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza la tutela del lavoratore coinvolto in una cessione ramo d’azienda illegittima. Il principio affermato è netto: il datore di lavoro che non rispetta un ordine giudiziale di reintegra non può beneficiare del fatto che il lavoratore abbia trovato un’altra occupazione, neppure se questa è la prosecuzione dell’attività presso il cessionario. La duplicità dei rapporti di lavoro giustifica la duplicità delle retribuzioni. Questa pronuncia serve da monito per le aziende, sottolineando le significative conseguenze economiche derivanti dal mancato rispetto delle decisioni giudiziarie in materia di rapporti di lavoro.

In caso di cessione di ramo d’azienda dichiarata illegittima, il lavoratore ha diritto a due stipendi?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che si creano due distinti rapporti di lavoro: uno giuridico con il datore di lavoro originario (cedente), che deve la retribuzione perché rifiuta illegittimamente la prestazione, e uno di fatto con il nuovo datore (cessionario), che paga per il lavoro effettivamente svolto. Questo giustifica il diritto a entrambe le retribuzioni.

Lo stipendio ricevuto dal nuovo datore (cessionario) può essere detratto da quanto dovuto dal vecchio datore (cedente)?
No. Secondo la Corte, le somme percepite dal cessionario non possono essere detratte. Questo perché non si tratta di un risarcimento del danno (a cui si applicherebbe il principio dell’aliunde perceptum), ma di due obblighi retributivi distinti nascenti da due rapporti di lavoro autonomi.

Perché il pagamento dello stipendio da parte del cessionario non è considerato un ‘adempimento del terzo’ che libera il cedente?
Perché il cessionario, pagando la retribuzione, adempie a un proprio debito sorto dal rapporto di lavoro di fatto e non sta pagando un debito altrui (quello del cedente). I due obblighi retributivi sono distinti e fanno capo a soggetti diversi per titoli diversi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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