Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20306 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20306 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 25241-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 396/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 26/06/2023 R.G.N. 18/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Cessione ramo d’azienda dichiarata inefficace -conseguenze retributive
R.G.N. 25241/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 23/04/2025
CC
RILEVATO CHE
NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino a quando il suo rapporto di lavoro era stata ceduto unitamente al ramo d’azienda a RAGIONE_SOCIALE. La cessione del ramo d’azienda era stata dichiarata illegittima con sentenza del Tribunale di Milano n. 3341/2017, con cui era stata anche ordinata la riammissione in servizio presso RAGIONE_SOCIALE. Tale pronunzia era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 497/2019. Il lavoratore otteneva decreto ingiuntivo n. 2427/2021 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per la somma corrispondente alle retribuzioni non corrisposte dalla data della sentenza di primo grado al 31.12.2020.
RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione. Il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo opposto e riduceva il credito del lavoratore alle retribuzioni dalla data di costituzione in mora (22.7.2019).
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla società.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Il lavoratore ha resistito con controricorso.
In data 9.9.2024 il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione accelerata del ricorso, ravvisando l’inammissibilità del primo motivo relativo ad un asserito giudicato, a causa di un difetto di autosufficienza, nonché la manifesta infondatezza degli altri motivi, in quanto relativi a questioni già decise da plurimi arresti di questa Corte a partire da Cass. sez. un. n. 2990/2018.
La società ha proposto tempestiva istanza di decisione, motivata specificamente con riguardo all’ammissibilità del primo motivo del ricorso per cassazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Fissata l’adunanza camerale, in esito alla stessa il collegio si è riservata la motivazione.
CONSIDERATO CHE
Va premesso che questa Corte, in funzione nomofilattica, ha affermato che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149/2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, co. 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (Cass. sez. un. 9611/2024).
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3) e 4), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per avere la Corte territoriale rigettato l’eccezione di giudicato e il motivo che la conteneva.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza per la mancata trascrizione integrale degli atti di pertinenza, indispensabili a ritenere la formazione del giudicato sulla pretesa azionata. La sentenza impugnata ha ritenuto la diversità di causa petendi fra i due giudizi e tale affermazione non è validamente contrastata non risultando a tal fine sufficiente la trascrizione delle sole conclusioni del ricorso relativo al primo giudizio posto che la interpretazione del contenuto della originaria domanda deve avvenire sulla base anche della parte espositiva ( Cass. n. 17660/2006) nello specifico non trascritta.
Come osservato nella sentenza impugnata, il giudicato si è formato in ordine a domanda diversa rispetto a quella azionata nel presente giudizio, sia per petitum , sia per causa petendi . La causa petendi del giudizio presupposto consisteva sostanzialmente nell ‘accertamento dell’ illegittima cessione del rapporto da IBM, mentre quella del giudizio monitorio verte in ordine alla sottrazione di IBM all’adempimento dei propri obblighi retributivi dopo detto accertamento giudiziale. Del resto, l’offerta delle prestazioni, rifiutata da IBM, e quindi la messa in mora del vero ed effettivo datore di lavoro, è evento verificatosi successivamente al primo giudizio, non coprendo il giudicato le sopravvenienze successive.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 , co. 1, n. 3), c.p.c., la ricorrente lamenta violazione degli artt. 3 e 36 Cost., falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1208, 1217, 1256, 2094, 2099 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’intimazione scritta di ricevere la prestazione lavorativa fosse idonea a determinare una perdurante condizione di mora credendi della società.
Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte sulla duplicità dei rapporti, l’uno de iure ricostituito
dalla sentenza con cui la cessione di ramo d’azienda è stata dichiarata illegittima (o comunque inopponibile ai lavoratori ceduti), l’altro de facto proseguito alle dipendenze del cessionario, rilevante nei limiti di cui all’art. 2126 c.c.
7. Al riguardo questa Corte ha già affermato che, nel caso di illegittima cessione di ramo d’azienda, le prestazioni lavorative offerte al datore di lavoro cedente e da questi non ricevute senza giustificato motivo, producendo gli effetti della mora credendi , sono equiparate a quelle eseguite e generano la sua obbligazione retributiva corrispettiva, senza che da questa possa detrarsi quanto percepito dal lavoratore ceduto nell’ambito del diverso ed autonomo rapporto instaurato con il cessionario in via di mero fatto ex art. 2126 c.c., sia perché l’ aliunde perceptum attiene al risarcimento del danno, sia perché si è in presenza di due rapporti lavorativi, per i quali il principio di corrispettività giustifica il diritto a due retribuzioni (Cass. n. 14712/2024, n. 35982/2021, n. 21158/2019, n. n. 21160/2019).
8. Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1180, 2036 e 2126 c.c., 29, co. 2, d. lgs. n. 276/2003, 1676 e 2112, co. 6, c.c., falsa applicazione degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., sostenendo che erroneamente non sono stati applicati i principi dell’adempimento del terzo con effetti liberatori a favore del cedente che non ottemperi alla disposizione giudiziale di ripristino del rapporto col lavoratore passato alle dipendenze del cessionario, nonché per avere escluso la disciplina dell’appalto di cui all’art. 29, co. 2, d. lgs. n. 276/2003, omettendo di considerare che nel caso in esame la cedente aveva stipulato con la cessionaria un contratto di appalto, la cui esecuzione era avvenuta utilizz ando il ramo d’azienda ceduto.
Il motivo è infondato alla luce delle medesime ragioni esposte con riguardo al secondo motivo. In ogni caso non può applicarsi l’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, che attiene alla fattispecie del tutto diversa della solidarietà del committente e dell’appa ltatore per i crediti retributivi dei dipendenti di quest’ultimo maturati nell’ambito dell’unico rapporto di lavoro alle dipendenze dell’appaltatore. Il caso in esame, invece, attiene ai crediti retributivi vantati dai lavoratori nei confronti del cedente in relazione al rapporto di lavoro ripristinato de iure dalla declaratoria giudiziale di illegittimità ( rectius inopponibilità) della cessione del ramo d’azienda, che si affiancano ai diversi crediti vantati nei confronti del cessionario in virtù del distinto ed autonomo rapporto di lavoro rilevante ex art. 2126 c.c.
10. Con il quar to motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1180 e 2036 c.c., falsa applicazione degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., 27, co. 2, d.lgs. n. 276/2003 e 38, co. 3, d. lgs. n. 81/2015 per avere la Corte territoriale esclusa l’efficacia liberatoria del pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario del ramo d’azienda, ritenendo inapplicabile la disciplina dell’adempimento del terzo, finendo per violare i principi di diritto affermati da Cass. sez. un. n. 2990/2018.
11. Il motivo è infondato.
12. Nell’appalto illecito (o nella somministrazione irregolare) il datore di lavoro formale non utilizza la prestazione lavorativa, che viene resa unicamente per soddisfare l’interesse economico del committente (o dell’utilizzatore). Nella cessione di ramo d’a zienda dichiarata illegittima (o inopponibile al lavoratore), dopo la sentenza dichiarativa di quell’illegittimità il rapporto di lavoro viene ricostituito de iure alle dipendenze del cedente,
sicché il rapporto di lavoro che proseguisse di fatto alle dipendenze del cessionario è giuridicamente irrilevante in relazione al primo. Dunque, i rapporti di lavoro in tal caso sono due, sicché il cessionario che paga la retribuzione non adempie un debito altrui (ossia del cedente), bensì un debito proprio. Ne consegue l’inapplicabilità dell’adempimento del terzo (art. 1180 c.c.) e del m eccanismo satisfattivo delineato dall’art. 27, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, applicato da questa Corte (Cass. sez. un. n. 2 990/2018) limitatamente all’appalto illecito.
13. Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c., la ricorrente lamenta falsa applicazione degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., violazione degli artt. 2094 e 2099 c.c., 3, 23, 36, 41 e 111 Cost., nonché falsa applicazione dell’art. 614 bis c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il diritto del lavoratore alle retribuzioni svolga una funzione deterrente nei confronti del datore di lavoro che resti inottemperante all’ordine di riammissione in servizio.
14. Il motivo è infondato.
15. L’ astreinte di cui all’art. 614 bis c.p.c. è
16. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore dei difensori di parte controricorrente dichiaratisi antistatari.
17. L’esito decisorio della presente ordinanza è conforme alla proposta di definizione accelerata. Pertanto, vanno altresì pronunziate le condanne di cui all’art. 96, co. 3 e 4, c.p.c., visto l’espresso richiamo nell’art. 380 bis, ult. co., c.p.c., secondo le misure indicate nel dispositivo. Trattasi invero della codificazione, attraverso una valutazione legale tipica, di un’ipotesi di abuso del processo. E pur volendo darne un’interpretazione costituzionalmente compatibile (Cass. sez. un., n. 36069/2023), nel caso concreto non sussistevano ragioni che potessero giustificare l’istanza di decisione secondo un criterio ragionevole di prudenza, ferma la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.000, oltre € 200 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione ai difensori dichiaratisi antistatari.
Condanna la società ricorrente a pagare al controricorrente la somma di € 2.000 e alla Cassa delle ammende la somma di € 2.000.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 23 aprile 2025.