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Cessione d’azienda: diritti dei lavoratori protetti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15740/2024, ha ribadito la solidità delle tutele per i lavoratori in caso di cessione d’azienda. La Corte ha stabilito che gli accordi individuali che peggiorano le condizioni contrattuali dei dipendenti, eludendo l’articolo 2112 c.c., sono nulli. Inoltre, ha chiarito che il termine di decadenza per impugnare i licenziamenti non si applica quando i lavoratori chiedono il riconoscimento della continuità del rapporto con il nuovo datore di lavoro.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Cessione d’azienda: diritti dei lavoratori e nullità degli accordi peggiorativi

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso cruciale in materia di cessione d’azienda, riaffermando con forza la tutela prevista dall’articolo 2112 del Codice Civile a favore dei lavoratori. La pronuncia chiarisce importanti principi sulla continuità dei rapporti di lavoro, l’inefficacia dei termini di decadenza in specifici contesti e la nullità degli accordi individuali volti a eludere le garanzie legali. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti del Caso

Un gruppo di lavoratori si è rivolto al Tribunale per ottenere il riconoscimento della continuità del proprio rapporto di lavoro con una banca cessionaria, a seguito di un’operazione qualificata come trasferimento d’azienda. I dipendenti chiedevano anche la declaratoria di nullità di un accordo sindacale e degli accordi individuali successivi, che avevano peggiorato le loro condizioni normative e retributive. Inoltre, alcuni di loro rivendicavano il diritto a un inquadramento superiore, basato su precedenti intese sindacali.

Mentre il Tribunale di primo grado accoglieva solo parzialmente le domande, la Corte d’Appello ha respinto sia l’appello principale della banca che quello incidentale dei lavoratori (relativo al mancato riconoscimento dell’inquadramento superiore per tutti). La banca ha quindi proposto ricorso in Cassazione, e i lavoratori hanno risposto con un controricorso e un ricorso incidentale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato sia il ricorso principale della banca sia il ricorso incidentale dei lavoratori, confermando la sentenza della Corte d’Appello e consolidando principi fondamentali a tutela dei dipendenti coinvolti in operazioni di trasferimento aziendale.

Analisi della cessione d’azienda e continuità del rapporto

La Corte ha confermato che l’operazione in esame costituiva una vera e propria cessione d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. Questo articolo garantisce che il rapporto di lavoro continui con l’acquirente (cessionario) e che il lavoratore conservi tutti i diritti che ne derivano. La valutazione sull’esistenza di un trasferimento d’azienda è un accertamento di fatto riservato ai giudici di merito, che in questo caso era stato adeguatamente motivato sulla base del passaggio di beni, personale e attività.

Inapplicabilità del termine di decadenza

Uno dei motivi di ricorso della banca riguardava l’applicabilità del termine di decadenza previsto per l’impugnazione dei licenziamenti. La Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: tale termine non si applica quando il lavoratore non contesta la legittimità della cessione in sé, ma agisce per ottenere il corretto adempimento degli obblighi di legge, ovvero la prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario alle medesime condizioni.

La nullità degli accordi individuali peggiorativi

Il punto centrale della decisione riguarda la validità degli accordi individuali stipulati in sede assistita. La Corte ha stabilito che questi accordi, contenendo una cessione del contratto individuale di lavoro con una reformatio in peius (un peggioramento) del trattamento normativo e retributivo, avevano una finalità elusiva dell’art. 2112 c.c. Di conseguenza, sono stati dichiarati nulli per contrasto con una norma imperativa. La tutela dell’art. 2113 c.c., che regola le rinunce e transazioni del lavoratore, non si estende agli atti dismissivi di diritti futuri, che restano soggetti al più rigoroso regime della nullità.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su diverse e solide argomentazioni giuridiche:

1. Irrilevanza della revoca dell’autorizzazione bancaria: La banca ricorrente sosteneva che la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in capo alla cedente impedisse di configurare una cessione d’azienda. La Corte ha respinto questa tesi, chiarendo che l’autorizzazione amministrativa è un requisito soggettivo, legato all’impresa che opera, e non un bene immateriale dell’azienda trasferibile. Il cessionario deve essere provvisto di una propria, autonoma autorizzazione.

2. Natura non derogatoria dell’accordo sindacale: L’accordo sindacale del 06/06/2015 non poteva essere considerato un accordo derogatorio ai sensi dell’art. 47 della Legge 428/1990, in quanto mancava la partecipazione della parte cessionaria, requisito fondamentale per tali intese.

3. Diritto all’inquadramento: La Corte ha distinto la posizione di un lavoratore, per il quale il diritto all’inquadramento superiore era già perfezionato e quindi accoglibile, da quella degli altri. Per questi ultimi, le intese sindacali prevedevano solo l’avvio di un processo di valutazione che non si era mai concluso con un atto formale del Consiglio di Amministrazione. Di conseguenza, la loro pretesa non poteva essere accolta in quanto la fattispecie costitutiva del diritto non si era perfezionata.

Le Conclusioni

L’ordinanza 15740/2024 della Corte di Cassazione rafforza in modo significativo le tutele dei lavoratori nel contesto di una cessione d’azienda. Il principio cardine è che le garanzie previste dall’art. 2112 c.c. sono imperative e non possono essere aggirate tramite accordi individuali che comportino un peggioramento delle condizioni di lavoro, anche se stipulati in sedi protette. Questa pronuncia offre un’importante bussola interpretativa per lavoratori e aziende, sottolineando che la continuità del rapporto di lavoro e la conservazione dei diritti acquisiti rappresentano pilastri fondamentali del diritto del lavoro, protetti contro tentativi di elusione.

In caso di cessione d’azienda, un lavoratore può essere costretto ad accettare un nuovo contratto con condizioni peggiori?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che gli accordi individuali che portano a un peggioramento del trattamento normativo e retributivo (reformatio in peius), con lo scopo di eludere le tutele dell’art. 2112 c.c., sono nulli, anche se firmati in sede assistita.

Se un lavoratore non contesta la cessione d’azienda ma chiede solo di continuare a lavorare per il nuovo proprietario, deve rispettare i termini di decadenza previsti per i licenziamenti?
No. Secondo la sentenza, il termine di decadenza previsto dall’art. 32 della Legge 183/2010 non si applica in questo caso. L’azione del lavoratore non è un’impugnativa di un atto datoriale, ma una richiesta di accertamento della continuità del rapporto di lavoro come previsto dalla legge.

La revoca dell’autorizzazione bancaria alla società che cede l’azienda influisce sulla validità della cessione stessa?
No, è irrilevante. La Corte ha chiarito che l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria è un requisito legato al soggetto (l’impresa) e non all’oggetto (l’azienda). Non è un bene che viene trasferito. L’azienda può essere ceduta, ma l’acquirente dovrà essere munito di una propria autorizzazione per operare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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