Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9445 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 9445 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12151-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME, COGNOME NOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che le rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1532/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2023 R.G.N. 1040/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 07/02/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, in riforma di sentenza del Tribunale della medesima sede, annullava il licenziamento intimato con missiva del 18.7.2019 alle lavoratrici in epigrafe, ordinava a RAGIONE_SOCIALE la reintegra delle stesse nel posto di lavoro, condannava la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 10 mensilità della retribuzione globale di fatto per ciascuna indicata e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione;
la domanda delle lavoratrici, operatrici di call center , addette all’appalto di servizi affidato da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE sino al 31.5.2019, licenziate a seguito di cambio appalto e rifiuto dell’assunzione da parte della società subentrante nell’appalto (ASAP), disponibile ad assumere il personale già impiegato in quel servizio di appalto con la società uscente, ma a condizioni ritenute deteriori dalle lavoratrici, era stata accolta dal Tribunale in esito alla fase sommaria e rigettata a seguito di opposizione della società;
con la sentenza qui gravata, la Corte di merito, in particolare, in accoglimento del reclamo, osservava che le norme di legge e collettiva (art.1, comma 10, legge n. 11/2016 e art. 53bis CCNL Telecomunicazioni) prevedevano la continuazione del rapporto di lavoro in caso di cambio appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center solo in caso di identico vincolo contrattuale e non, come nella fattispecie in esame, nel caso di richiesta di dimissioni e costituzione di nuovo rapporto di lavoro con perdita di anzianità e di stabilità; affermava, in difetto di identità dell’appalto e di mancato esercizio del diritto o opzione per l’assunzione, l’inapplicabilità dell’art. 7, D.L. n. 248/2007, la conseguente applicabilità della normativa sui licenziamenti
collettivi, e la violazione in concreto dei criteri di scelta, in quanto non riferiti all’intero complesso aziendale, e senza specifica indicazione di oggettive e verificabili esigenze aziendali, che non potevano, peraltro, coincidere con una generica necessità di formazione on the job ;
per la cassazione della sentenza d’appello la società propone ricorso affidato a nove motivi; resistono le lavoratrici con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposi to dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo di ricorso per cassazione, la società denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 7, comma 4 -bis , D.L. n. 248/2007 (convertito, con modifiche, in legge n. 31/2008) e dell’art. 1, comma 10, legge n. 11/2016), deducendo erroneità della sentenza nell’avere ritenuto non sussistente identità dell’appalto , perché i servizi affidati ad ALD sarebbero stati uguali, ma non identici a quelli erogati da RAGIONE_SOCIALE, in quanto sarebbe stato aggiunto un nuovo servizio (gestione chiamate sulle fatturazioni) ed eliminato un servizio precedentemente erogato da RAGIONE_SOCIALE (Servizi impianti);
il motivo è infondato;
ciò che rileva per le norme sopra richiamate, espressamente finalizzate a favorire la piena occupazione e a garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori sono le condizioni contrattuali per i lavoratori medesimi;
in questo senso la Corte di merito si è conformata alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, ove il contratto collettivo preveda, per l’ipotesi di cessazione
dell’appalto cui sono adibiti i dipendenti, un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto, detta tutela non esclude, ma si aggiunge, a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che ha intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso, non incidendo sul diritto del lavoratore di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario (Cass n. 29922/2018, n. 12613/2007);
con il secondo motivo, la società denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 7, comma 4 -bis , D.L. n. 248/2007 e del principio della certezza del diritto; sostiene che la mancata riassunzione delle lavoratrici è stata determinata non dalla volontà del fornitore subentrante e nemmeno dalla mancanza di un’offerta di assunzione da parte di quest’ult imo, bensì esclusivamente dal rifiuto, opposto dalle lavoratrici stesse, ad una proposta di assunzione concreta e reale formulata da ASAP;
6. il motivo non è fondato;
questa Corte ha chiarito che, in caso di licenziamento per cessazione dell’appalto, l’esclusione dell’applicazione della procedura di cui all’art. 24 della legge n. 223 del 1991, espressamente prevista dall’art. 7, comma 4bis , del d.l. n. 348 del 2007, introdotto dalla legge di conversione n. 31 del 2008, presuppone la necessaria riassunzione del lavoratore nell’azienda subentrante, a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, o a seguito di accordi collettivi con le predette organizzazioni (Cass. n. 22121/23016, n. 20772/2018, n.
9754/2023); poiché nel merito è stata esclusa l’invarianza delle condizioni economiche (deteriori e comunque con un nuovo contratto), il rifiuto delle lavoratrici al passaggio all’appaltatore subentrante risulta legittimo e la loro posizione tutelabile con l’impugnativa del licenziamento operato dall’appaltatore uscente in concreto azionata;
con il terzo motivo, la società denuncia (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’identità dei servizi oggetto di cambio appalto;
con il quarto motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 4 e n. 5, c.p.c.) nullità della sentenza, vizio di motivazione e violazione degli artt. 132 c.p.c., 111 Cost, 118 disp. att. c.p.c., sempre in relazione agli aspetti della vicenda di cui al motivo precedente, sotto altro profilo;
i motivi, connessi, sono inammissibili;
come osservato con riguardo al primo motivo, la questione controversa non è l’identità dei servizi oggetto di cambio appalto, ma il mancato rispetto dei principi di invarianza delle condizioni contrattuali per i lavoratori a tutela dell’occupazione a base della normativa;
detto percorso motivazionale è chiaramente esplicitato nella sentenza gravata, che resiste alle censure in esame, in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass. n. 20921/2019), restando il sindacato di legittimità sulla motivazione circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass. S.U. n. 8053/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019);
con il quinto motivo viene denunciata (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 24 Cost. e 115 c.p.c., deducendo la mancata ammissione di capitoli di prova proposti dalla società;
il motivo è inammissibile;
spettano al giudice di merito la selezione e valutazione delle prove a base della decisione, l’individuazione delle fonti del proprio motivato convincimento, l’assegnazione di prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, la facoltà di escludere, anche attraverso un giudizio implicito, la rilevanza di una prova, senza necessità di esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga non rilevante o di enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni, poiché il giudizio di Cassazione non è strutturato quale ulteriore grado di merito nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (tra le molte conformi, v. Cass. n. 15568/2020 e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021);
con il sesto motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 18 legge n. 300/1970; argomenta che eventuali irregolarità e incompletezze non potevano comportare l’applicazione del quarto comma della citata disposizione, bensì solo del quinto comma (tutela indennitaria);
il motivo non è fondato;
la Corte territoriale ha applicato i principi più volte ribaditi da questa Corte, in tema di violazione dei criteri di scelta, per la quale l’art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, come sostituito dall’art. 1, comma 46, della legge n. 92 del 2012, prevede l’applicazione del comma 4 dell’art. 18 novellato della legge n. 300 del 1970 (v. Cass. n. 18847/2016, n. 20502/2018, n. 1245/2022, n. 410/2023);
19.
con il settimo motivo, parte ricorrente denuncia (art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione o falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 223/1991; sostiene che la cessazione dell’appalto è, di per sé, circostanza idonea e sufficiente a determinare il perimetro en tro il quale l’imprenditore può individuare legittimamente i lavoratori da licenziare, senza che occorra fare ricorso ai criteri di scelta stabiliti dall’art. 5 cit., che soccorrono solo quando vi è la generica esigenza del datore di lavoro di riduzione di personale omogeneo e fungibile e non già quando il licenziamento del lavoratore è occasionato dalla cessazione di un appalto;
20. il motivo non è fondato;
la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale; tuttavia, poiché ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico- produttive dell’azienda, previsto dall’art. 5, legge n. 223/1991 per l’individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei, per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda, ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative (Cass. n. 13352/2022, n. 19105/2017, n. 203/2015, n. 9711/2011, n. 22824/2009, n. 13783/2006);
con l’ottavo motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360, n. 3, c.p.c.) per violazione dell’art. 41 Cost. e
dell’art. 3 legge. n. 604/1966 ; si sostiene che impedire al datore di lavoro di licenziare un proprio dipendente per motivi economici, imponendogli di intraprendere azioni che non avrebbe intrapreso e sostenere costi che non avrebbe sostenuto significa violare norme di diritto a tutela della libertà imprenditoriale;
il motivo non è meritevole di accoglimento;
la Corte territoriale ha rilevato, con accertamento in fatto congruamente motivato e dunque non sindacabile in sede di legittimità, che il livello di professionalità posseduto da ciascuna lavoratrice ne rendesse possibile l’utilizzo in altre commesse e che le competenze eventualmente acquisibili attraverso un normale periodo di formazione di riqualificazione on the job rientrassero comunque in un periodo produttivo e nella normale gestione del rapporto lavorativo di ciascun operatore di call center , atteso il non infrequente transito da una ad altra commessa, traendone conseguenze conformi alla giurisprudenza di legittimità;
con il nono motivo si denuncia (art. 360, n. 4, c.p.c.) vizio di motivazione e violazione degli artt. 132 c.p.c., 111 Cost, 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’accertamento che le condizioni economiche e normative del nuovo contratto di assunzione in ASAP fossero diverse, con conseguente esclusione del requisito della parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative previsto da ll’art. 7, comma 4 -bis D.L. 248/2007, senza sufficientemente motivare e chiarire il percorso logico seguito per giungere a tale conclusione, e in relazione alla prova della fungibilità delle mansioni;
il motivo risulta assorbito dal rigetto dei precedenti secondo e settimo, in materia di accertamento in fatto congruamente motivato del mancato rispetto del requisito dell’invarianza delle condizioni contrattuali per le lavoratrici odierne
contro
ricorrenti nella specifica vicenda di cambio appalto e della loro fungibilità con altri dipendenti in considerazione della professionalità complessiva;
27. si richiama, inoltre, quanto sopra espresso (§12) in ordine all’insussistenza di vizio di motivazione apparente o in contrasto con il principio del cd. minimo costituzionale della motivazione nel caso in esame;
28. parte ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 8.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 7 febbraio