Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13686 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13686 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11945-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1147/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/03/2023 R.G.N. 1444/2021;
Oggetto
Licenziamento individuale
R.G.N. 11945/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda, proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) diretta ad ottenere l’accertamento della violazione della normativa di cui all’art. 226 CCNL di categoria ( Commercio -Pubblici Esercizi) con conseguente ordine alla società resistente, cessionaria del servizio di appalto mensa presso la Caserma della Guardia di Finanza di Napoli, di costituire, con essa ricorrente, il rapporto di lavoro dal marzo 2020 e di pagarle le retribuzioni medio tempore maturate.
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 1147/2023, in accoglimento del gravame proposto dalla COGNOME e in riforma della impugnata pronuncia, ha dichiarato il diritto alla riassunzione della lavoratrice alle dipendenze della società dal primo marzo 2020 e ha condannato quest’ultima a corrispondere le retribuzioni che la dipendente avrebbe percepito dalla predetta data alla ricostituzione del rapporto di lavoro, oltre accessori.
I giudici di seconde cure hanno rilevato che anche il capo gruppo mensa, che era il compito svolto dalla COGNOME, rientrava tra quelli che, in base all’art. 226 CCNL di categoria, giustificava il passaggio alle dipendenze della società subentrata nell’a ppalto mensa presso l’impianto interessato (INDIRIZZO della Guardia di Finanza di Napoli), potendo essere equiparata a quella di capo squadra e non a quella di responsabile del coordinamento tecnicofunzionale che faceva, invece, capo al responsabilità di impianto; ne conseguiva, inoltre, che l’unico requisito a cui era subordinata la riassunzione era quello della preposizioni da almeno sei mesi all’impianto contestato che risultava, nonostante la contestazione della società, documentalmente dimostrato.
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 226 del CCNL di categoria censurando l’interpretazione della disposizione, fornita dalla Corte di appello, secondo cui i lavoratori con mansioni di capo gruppo mensa, inquadrati nel 4° livello del CCNL, non potevano essere legittimamente esclusi dall’assunzione, da parte della gestione subentrante. Parte ricorrente sostiene che era indubbio che il personale con mansioni di capo gruppo mensa svolga funzioni di direzione esecutiva, di coordinamento e controllo dell’impianto e, quindi, correttamente la COGNOME era stata esclusa dall’assunzione, a differenza di altri due dipendenti che invece svolgevano le mansioni di cuoco e di aiuto cuoco. Inoltre, deduce che erroneamente i giudici di seconde cure avevano accertato la preposizione della COGNOME all’impianto interessato dalla cessione da almeno sei mesi, come emergeva chiaramente dall’esame del Libro Unico del Lavoro (LUL).
Il motivo non è fondato.
L’art. 226 del CCNL (Commercio -Pubblici Servizi) testualmente recita: «La gestione subentrante assumerà tutto il personale addetto, in quanto regolarmente iscritto da almeno sei mesi al LUL (Libro Unico del Lavoro), riferiti all’unità produttiva interessata, con facoltà di esclusione del personale che svolge funzioni di direzione esecutiva, di coordinamento e controllo dell’impianto nonché dei lavoratori di concetto e/o degli specializzati provetti con responsabilità di coordinamento tecnico funzionale nei confronti dei lavoratori» .
Orbene, la Corte territoriale, dopo avere riportato le declaratorie dei primi tre livelli di inquadramento, in cui il personale ivi collocato sicuramente era escluso dalla assunzione, ha precisato quella del quarto livello, ove invece ha ritenuto che rientrassero coloro
che svolgevano le mansioni di capo gruppo mensa: livello in cui è testualmente specificato che sono ivi compresi quei lavoratori i quali ‘in condizioni di autonomia esecutiva, anche preposti a gruppi operativi, svolgono mansioni specifiche di natura amministrativa, tecnico-pratica o di vendita e relative operazioni complementari, che richiedono il possesso di conoscenze specialistiche comunque acquisite’ .
I giudici di seconde cure hanno, poi, rilevato, con un accertamento di fatto esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, che il capo gruppo mensa al più poteva essere considerato un capo squadra di brigata, preposto al gruppo di lavoro con compiti di referente del gruppo ed autonomia esecutiva, ma non certo con funzioni di direzione esecutiva, coordinamento e controllo dell’impianto, che sono invece mansioni tipiche dei lavoratori appartenenti al secondo livello (‘i lavoratori che svolgono mansioni che comportano sia iniziativa che autonomia operativa nell’ambito ed in applicazione delle direttive generali ricevute, con funzioni di coordinamento e controllo o ispettive di impianti, reparti, uffici, per le quali è richiesta una particolare competenza professionale’), tra cui rientra il capo impianto mensa.
Nei compiti del capo gruppo mensa non rientra alcuna attività di coordinamento e di controllo dell’impianto: si tratta, in verità, di una figura di mero coordinamento del personale addetto alla mensa, che si avvicenda nei vari turni, in relazione alle mansioni operative da questo svolte e senza avere certo una particolare competenza professionale sugli impianti della mensa ovvero la responsabilità di un intero reparto.
Né vi è stata la dimostrazione, in punto di fatto, di una diversa modulazione dell’organigramma societario in relazione a tale aspetto.
Quanto, poi, al secondo requisito (appartenenza all’appalto ceduto da almeno sei mesi come risultante dal Libro Unico del Lavoro), deve essere ugualmente condivisa l’interpretazione della disposizione contrattuale operata dalla Corte distrettuale che, in una situazione di contrasto tra le risultanze del LUL e delle buste paga, da
un lato, e la attestazione proveniente dal Brigadiere della Guardia di Finanza responsabile dell’Ufficio Vitto e M.O.S. (Mensa Obbligatoria di Servizio) del 26.2.2020 e di ulteriore documentazione circa la presenza della COGNOME nell’appalto ceduto, dall’altro, ha privilegiato una lettura in senso sostanziale della clausola.
Correttamente, infatti, è stato privilegiato il profilo della effettiva e reale presenza della lavoratrice e non quella formale, in un contesto certamente patologico di non corrispondenza tra le risultanze del LUL e le attestazioni del militare responsabi le dell’appalto ceduto, i fogli di presenza e l’elenco fornito dall’azienda uscente che aveva, invece, inserito la COGNOME regolarmente tra gli addetti alla mensa aventi diritto al passaggio di cantiere, unitamente alla comunicazione UNILAV di cessazione del rapporto di lavoro per fine commessa, con il successivo licenziamento.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 febbraio 2025