Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21480 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21480 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
1.La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva condannato l’RAGIONE_SOCIALE, ex RAGIONE_SOCIALE, al pagamento della somma di € 41.441,64 in favore di NOME COGNOME a titolo di differenze sul trattamento di fine servizio al medesimo spettante al termine del rapporto lavorativo alle dipendenze del Comune di Napoli dal 2.6.1984 al 1.7.2009 (con attribuzione di incarichi dirigenziali a tempo determinato a partire dal 2004).
Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza di un unico rapporto lavorativo con attribuzione, a partire dal 2004, di incarichi dirigenziali a tempo determinato.
La Corte territoriale ha rilevato che l’COGNOME, ‘funzionario architetto’ inquadrato nella cat. D del CCNL Enti Locali, non era mai stato incardinato nei ruoli dei dirigenti dipendenti del Comune di Napoli; ha in particolare evidenziato che dal 2004 al 2009 gli incarichi dirigenziali erano stati conferiti di volta in volta con decreti sindacali all’COGNOME, collocato in aspettativa senza assegni, ed erano stati seguiti dalla stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, ai sensi dell ‘art. 110, comma 1, del d. lgs. n. 267/200 0.
Il giudice di appello ha osservato che se non fosse stato posto in quiescenza, al termine dell’espletamento degli incarichi dirigenziali l’COGNOME sarebbe dovuto rientrare nel proprio ruolo di funzionario inquadrato nella categoria D.
Ha pertanto ritenuto corretta la liquidazione del TFR da parte dell’RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) con riferimento al periodo lavorativo fino al 2004 e del TFR, previsto per i rapporti di lavoro a tempo determinato in favore delle Pubbliche Amministrazioni, per il periodo dal 2004 al 2009.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’COGNOME, prospettando due motivi, illustrati da memoria.
L’RAGIONE_SOCIALE ha depositato mandato.
DIRITTO
1.Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.
Deduce che, contrariamente a quanto accertato dalla Corte territoriale, la nomina dirigenziale del dicembre 2004 era avvenuta all’esito di una procedura selettiva comparativa, e dunque di un pubblico concorso.
Evidenzia che in caso contrario, le mansioni superiori nel caso di vacanza del posto in organico avrebbero dovuto avere una durata massima di 6 mesi, prorogabili a 12 qualora vengano avviate le procedure per la copertura del posto vacante.
Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorso denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro; inesistente interruzione del rapporto di lavoro e illegittimità della corresponsione di due liquidazioni di fine rapporto.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui il temporaneo incremento del trattamento economico dovuto all’espletamento dell’incarico dirigenziale nello svolgimento di mansioni superiori non rientra tra le indennità utili alla determinazione della buonuscita o del TFS.
Evidenzia che non possono coesistere due rapporti di lavoro subordinato, tornando a sostenere che l’COGNOME, assunto a tempo indeterminato nel 1984, aveva ottenuto una progressione di carriera ‘verticale’ con la nomina a dirigente nel 2004 attraverso incarichi dirigenziali che si erano innestati sul preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza soluzione di continuità.
Deduce che a partire dal 2004 all’COGNOME era stato attribuito il ruolo dirigenziale (come implicitamente riconosciuto dalla Corte territoriale ancorché erroneamente indicato quale rapporto di lavoro a termine); precisa che il
rapporto di lavoro a tempo indeterminato non si era interrotto con il pagamento delle relative spettanze.
Aggiunge che il collocamento in aspettativa non è un elemento qualificabile come causa di estinzione del rapporto di lavoro.
Sostiene che anche in assenza di un concorso pubblico, la nomina dirigenziale avrebbe mantenuto i connotati della scelta fiduciaria attinente al potere privatistico dell’ente, che tale scelta era ormai cristallizzata mediante un atto formale di inquadramento e non più impugnabile innanzi all’autorità giudiziaria, essendo spirato il termine utile.
I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione logica, sono inammissibili.
Le censure si fondano sulla circostanza, nemmeno implicitamente risultante dalla sentenza impugnata, che dal 2004 al l’COGNOME è stato attribuito il ruolo dirigenziale.
La Corte territoriale ha invece accertato che l’COGNOME (al quale dal 2004 al 2009 erano stati di volta in volta conferiti incarichi dirigenziali, seguiti dalla stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, ai sensi dell’art. 110, comma 1, del d. lgs. n. 267/2000) non era mai stato incardinato nei ruoli dei dirigenti dipendenti del Comune di Napoli.
Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi argomenti di fatto dedotti (Cass SU n. 19874/2018).
Pertanto, nel caso in cui il ricorrente per cassazione proponga una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e che non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del
ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, per dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura (hanno richiamato Cass. n.1273/2003; Cass. n. 6542/2004; Cass. n. 3664/2006; Cass. n. 20518/2008; Cass. n. 2190/2014; Cass. n. 18719/2016).
Il ricorso, che non denuncia l’omessa pronuncia, difetta di autosufficienza, in quanto non indica in quali atti del giudizio di primo grado e di appello è stata dedotta la circostanza che l’COGNOME è stato nominato dirigente all’esito di una procedura selettiva comparativa.
Questa Corte ha inoltre chiarito che l’art. 110, comma 1, del d. lgs. n. 267/2000 non prevede la risoluzione di diritto del rapporto di lavoro, ma una forma di aspettativa del soggetto cui è stato conferito un incarico dirigenziale a tempo determinato (Cass. n. 27547/2020).
Si è inoltre precisato che la retribuzione contributiva, alla quale si commisura l’indennità premio di servizio per i dipendenti degli gli enti locali, è costituita, a norma dell’art. 4 della l. n. 152 del 1968, dai soli emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, comma 5, legge cit., la cui elencazione ha carattere tassativo e il cui riferimento allo “stipendio o salario” richiede un’interpretazione restrittiva, attesa la specifica ed esclusiva indicazione, quali componenti di tale voce, degli aumenti periodici della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura, con la conseguenza che non rientra nel computo rilevante a tal fine la retribuzione percepita da un funzionario comunale al quale sia stato conferito, ex art. 110 del d. lgs. n. 267 del 2000, un incarico dirigenziale a tempo determinato (Cass. n. 27547/2020 e Cass. n. 30993/2019).
La Corte territoriale, che ha disatteso la pretesa dell’COGNOME dell’unificazione del rapporto ai fini della liquidazione di un TFS commisurato alla qualifica dirigenziale, è dunque conforme a tali principi.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione va adottata sulle spese di lite, in quanto l’RAGIONE_SOCIALE non ha svolto attività difensiva.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali
dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte