Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35134 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35134 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 10348-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4191/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/11/2022 R.G.N. 174/2020;
Oggetto enpals pensione
R.G.N. 10348/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 18/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
CONSIDERATO CHE
1. La Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame proposto da INPS avverso la sentenza di primo grado che, nel ricalcolo della quota di pensione richiesto da COGNOME NOME, lavoratore dello spettacolo in pensione da ottobre 1997, aveva ritenuto di applicare, sui supplementi di pensione con decorrenza 1/10/2002, 1/11/2007, 1/11/2012, differenze sui trattamenti rideterminati su una diversa base di calcolo per la quota B (inerente alle anzianità maturate successivamente dal 31/12/1992) in applicazione del criterio previsto dall’art. 4 del d.lgs. 182/97; aveva altresì respinto l’eccezione di decadenza sui primi due supplementi e non sul terzo stante la non retroattività della disposizione dell’ultimo comma dell’art. 47 d.l. 98/2011 conv. in L.111/2011 in relazione alla data di deposito del ricorso giudiziale del 26/3/2019, ed aveva accolto l’eccezione di prescrizione ex art. 47 -bis DPR 639/70 maturata nel periodo ultraquinquennale antecedente alla domanda amministrativa di ricostituzione di ciascun supplemento pensionistico del 1/5/2018 (ossia da ottobre 2002 ad aprile 2013). La Corte territoriale, premesso che sulla questione di prescrizione si era formato il giudicato interno per mancanza di censura in appello e che la decadenza introdotta dall’art. 38 comma 1 lett.d) del DL 98/2011 non si applica alle prestazioni pensionistiche liquidate prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina del 6/7/2011, ha richiamato il proprio indirizzo interpretativo sul tema della applicazione in quota B, per i lavoratori che alla data del 31/12/1995 abbiano un’anzianità assicurativa e contributiva inferiore a 18 anni, del criterio di calcolo di cui all’art. 4 d.lgs. 182/97 contenente al comma 8
l’espresso riferimento all’aliquota di rendimento annuo del 2% applicata alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile in vigore tempo per tempo nell’AGO diviso 312, piuttosto che il criterio di calcolo di cui all’art. 12 comma 7 del DPR 1420/71 che prevede il tetto retribuivo massimo di Lire 350.000. Enunciato il quadro normativo di riordino del sistema previdenziale ai sensi del d.lgs. 503/1992, rammentato il sistema del pro-quota nella liquidazione della pensione per le anzianità assicurative e contributive maturate prima del 31/12/1995, e richiamata la disciplina del d.lgs. 182/97 per i lavoratori dello spettacolo iscritti all’ex ENPALS, la Corte territoriale ha ritenuto di rico ndurre il caso in esame nell’ambito del secondo comma dell’art. 3 del citato decreto legislativo, escludendo che potesse trovare ancora applicazione la disciplina dell’art. 12 comma 7 del DPR 1420/1971 la cui legittimità costituzionale era stata affermata con sentenza Corte Cost. n.202/2008 senza tuttavia precisare se tale normativa si applichi unicamente alla quota A ovvero anche alla quota B.
L’Istituto ricorrente impugna la sentenza affidandosi a due motivi, a cui l’intimato interpone rituale controricorso.
La Corte, discussa la causa nell’adunanza camerale del 18 ottobre 2024, si è riservata di decidere.
RILEVATO CHE
1.1 Con il primo motivo di gravame l’INPS denuncia la violazione dell’art. 12 DPR 1420/1971 e dell’art. 4 d.lgs. 182/97, in relazione all’art. 360 primo comma n.3 c.p.c., dovendosi ritenere che il massimale annuo pensionabile
previsto dal comma 7 del citato art. 12, come modificato dall’art. 1 co.10 d.lgs. 182/97, rilevi anche ai fini della liquidazione delle quote di pensione RAGIONE_SOCIALE riferita ad anzianità contributive maturate dopo il 31/12/1992 (cd. quota B); a sostegno di tale tesi richiama il principio di diritto sancito in giurisprudenza di legittimità con sentenze n.36056, 36641, 36644, 36646 del 2022 secondo cui nella determinazione della quota B per le anzianità maturate successivamente al 31/12/1992 dai lavoratori iscritti al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo non si prendono in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite fissato dall’art. 12 co . 7 DPR 1420/71, come mod. dall’art. 1 co .10 del d.lgs. 182/97, limite non abrogato per incompatibilità dall’art. 4 co.8 cit. d.lgs. Inoltre evidenzia che nessuna norma aveva abolito il predetto massimale né l’art. 4 comma 8 l’aveva implicitamente abrogato, incidendo s oltanto sull’individuazione delle aliquote di rendimento e senza dettare regole nuove ed autosufficienti sulle modalità di calcolo della quota B, né il massimale si intendeva abolito in forza della armonizzazione del regime dell’ENPALS con quello dell’AGO rientrante nelle previsioni della legge 335/95.
1.2 Con il secondo motivo l’INPS denuncia la violazione dell’art. 47 DPR 639/70, novellato dall’art.38 co.1 lett. D, n.1, del D.L. 98/2011 conv. in L. 111/2011, in relazione all’art. 360 co.1 n.3, c.p.c., per avere il giudice d’appello limitato l’operati vità della decadenza alle sole prestazioni liquidate ed aventi decorrenza dopo il 6/7/2011, data di entrata in vigore dell’art. 38 del D.L. n.98/2011 che aveva introdotto il sesto comma dell’art. 47 del DPR 639/1970 sulla decadenza triennale decorrente dal riconoscimento parziale della prestazione o dal
pagamento della sorte, applicabile anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del citato D.L., né era di ostacolo l’art. 252 disp. att. c.p.c. secondo il quale, quando per l’esercizio di un diritto una norma stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente ed ai termini in corso, ma decorre dalla data di entrata in vigore della norma; di conseguenza, doveva ritenersi estinto per decadenza il diritto alle differenze ad ogni titolo dovute sui ratei anteriori al 26/3/2016 (epoca antecedente al triennio che precede la domanda giudiziale del 26/3/2019).
Nel controricorso la parte privata chiede un ripensamento dell’orientamento di legittimità espresso con le pronunce del 2022, e se non dovesse applicarsi l’art. 4 co.8 d.lgs. 182/97 si porrebbe un problema di legittimità costituzionale per violazione della delega (art. 76 Cost.) e dissente dall’interpretazione circa la non autosufficienza della predetta norma avulsa da quella preesistente (art.12 co.7); evidenzia che la riforma COGNOME individuava una normativa transitoria per il calcolo pensionistico valevole per i regimi sostitutivi di AGO, di poi la nuova disciplina aveva innalzato il numero delle migliori retribuzioni da utilizzare per il calcolo di retribuzione media giornaliera, mentre la riforma Dini era globale ed era diretta alla ‘ armonizzazione al regime dell’AGO ‘ ed all’allineamento fra retribuzione pensionabile ed imponibile; prospetta quindi una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 co.8 come interpretato dalla Corte di cassazione per contrasto con art. 76 Cost. sull’esercizio dei poteri legislativi delegati. E sul secondo motivo, insiste per la non applicazione retroattiva della decadenza.
Nelle memorie illustrative l’istituto ricorrente conclude per l’ accoglimento del primo motivo, in esso assorbito il secondo, e richiama precedenti pronunce di questa Corte (ord. n.24524/23 e 21010/23) sulla questione di legittimità costituzionale.
4. Il ricorso è fondato e va accolto.
4.1 – Va in primo luogo definito il perimetro della controversia avente ad oggetto il regime pensionistico in Quota B per i lavoratori dello spettacolo; la tematica centrale attiene al criterio di calcolo del sistema retributivo per coloro che prima del 31/12/1995 abbiano maturato un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni, ed in particolare al criterio di calcolo della retribuzione giornaliera pensionistica per il periodo successivo al 31/12/1992 (per il periodo antecedente, la quota A è calcolata sulla media delle più elevate retribuzioni negli ultimi anni). Le parti sostengono due tesi contrapposte: se debba essere applicato l’art. 12 co. 7 DPR 1420/1971 sostituito dall’art. 1 co. 10 d.lgs. 182/97 -come richiesto dall’INPS già soccombente in appello-, con individuazione di un limite massimo giornaliero di Lire 315.000 rivalutato dal 1998, oppure l’art. 4 co. 8 d.lgs. 182/97 -come argomentato nell ‘impugnata pronuncia di accoglimento dell ‘ istanza del pensionato per la riliquidazione delle prestazioni pensionistiche e sostenuto in controricorso-, ossia con individuazione del massimale annuo pensionistico diviso 312.
4.2 Riguardo alla perdurante vigenza applicativa dell’art. 12 co.7 DPR 1420/1971, va osservato che l’art. 4 co .8 del d.lgs. 182/97, riferito al calcolo dei trattamenti pensionistici aventi decorrenza successiva alla data di entrata in vigore del decreto, non abroga né sostituisce il criterio di calcolo ivi previsto, limitandosi ad integrarlo sotto il profilo dell’a pplicazione
dell’aliquota di rendimento del 2% sulla retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso 312, mentre per la parte di quota di retribuzione giornaliera pensionabile eccedente il predetto limite, il computo è effettuato secondo le aliquote di rendimento previste dall’art. 12 del d.lgs. 503/1992. La norma in esame fornisce un criterio determinativo dell’aliquota di rendimento a pplicabile in misura fissa per una prima parte di retribuzione giornaliera pensionabile, ed in misura variabile decrescente per una seconda parte; non si introduce, dunque, una nuova nozione di retribuzione giornaliera pensionabile per i lavoratori dello spettacolo che al 31/12/1995 abbiano già maturato un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, né si deroga al criterio del pro-quota per le anzianità maturate dopo il 31/12/1992 (criterio retributivo in quota B), e va osservato che il rinvio alla retribuzione annua pensionabile diviso 312 costituisce il parametro (‘limite massimo’) di retribuzione giornaliera pensionabile (‘corrispondente’) al quale applicare l’aliquota di rendimento del 2%, destinata a decrescere per le quote retributive eccedenti il pr edetto limite secondo gli scaglioni dell’art. 12 del d.lgs. 503/92. Si aggiunga che il criterio di calcolo della retribuzione giornaliera è connaturato alle prestazioni dei lavoratori dello spettacolo, e che il tetto di retribuzione giornaliera pensionabile del settimo comma (di Lire 315mila) è rimasto inalterato nella sua astratta oggettività, fatta salva la rivalutazione annua in base ISTAT a decorrere dal 1/1/1998 come novellato dall’art. 1 co .10 d.lgs. 182/97. Infine, alcuna incidenza ha, ai fini di una diversa determinazione della base di calcolo nel caso in esame, il successivo comma 11 dell’art. 1
del d.lgs. 182/97, riferito al ‘personale di cui al comma 1, nonché a coloro che esercitano la facoltà di opzione ai sensi dell’art. 1 comma 23 della Legge 8 agosto 1995 n.355’, ossia a coloro che sono sottoposti al regime contributivo, puro o opzionato.
4.3 Resta fermo, pertanto, il criterio di calcolo dell’art. 12 co .7 DPR 1420/1971 come corretto dall’art. 1 co .10 d.lgs. 182/97. Anche sul punto si rimanda a recenti pronunce di questa sezione; in particolare, con l’ordinanza n. 23988 dell’11/7/2024 è stato affermato quanto segue: ‘ Sulla questione è recentemente intervenuta questa Corte (v. Cass. 36056/22, seguita da altre, tra cui Cass. 38018/22, Cass. 870/23, Cass. 1775/23), affermando che nella determinazione della ‘quota B’ non si prendono in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite fissato dall’art. 12, co.7 d.P.R. n.1420/71, come modificato dall’art.1, co.10, d.lgs. n.182/97. Tale limite -si è spiegato- non è stato abrogato né espressamente dai successivi interventi legislativi, né per incompatibilità dall’art. 4, co.8, del medesimo d.lgs., dovendosi ritenere che la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile, contribuendo a comporre i diversi interessi di rilievo costituzionale, sia coessenziale alla disciplina, in quanto si colloca in un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, in ordine all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’Inps. ‘
Questa Corte, con ordinanza n. 21010/23, si è anche pronunciata sul rilievo di costituzionalità per ipotizzata violazione della legge delega, e l’agevole richiamo alle
argomentazioni ivi espresse ne evidenzia, anche in questa sede, la manifesta infondatezza: « Sostiene parte controricorrente che l’interpretazione adottata da questa Corte dell’art.4, co.8 d. lgs. n.182/97 sarebbe in contrasto con la legge delega (art.2, co.22, lett. a) n.335/95), laddove prevede, come criterio direttivo, la ‘commisurazione delle prestazioni’ pensionistiche agli oneri contributivi sostenuti’. L’interpretazione adottata verrebbe invece a commisurare la retribuzione massima giornaliera a 315.000 lire a fronte dell’onere contributivo sostenuto sulla retribuzione massima giornaliera pari a 1.000.000 lire. Ora, nelle citate sentenze si è richiamata C. Cost. n.202/08 che, proprio riguardo al divario tra la retribuzione sottoposta a contribuzione piena (lire 1.000.000) e la retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione (lire 315.000), ne ha escluso il contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza e di adeguatezza e di proporzionalità della tutela previdenziale, «purché una certa proporzionalità venga assicurata e, soprattutto, non sia compromessa la realizzazione delle finalità di cui all’art. 38 della Costituzione» (punto 2 del Considerato in diritto). Si è poi ricordato che la Carta fondamentale non richiede una «necessaria corrispondenza tra i contributi versati e le prestazioni erogate», in quanto l’adempimento dell’obbligo contributivo trascende l’interesse del singolo soggetto protetto e non obbedisce a una logica meramente corrispettiva (C. Cost. n.173/86, punto 10 del Considerato in diritto). Dunque, la ‘commisurazione’ delle prestazioni agli oneri contributivi, di cui all’art.2, co.22 lett. a) l. n.335/95, una volta letta non nella rigorosa accezione di ‘necessaria corrispondenza’ cui si riferisce parte controricorrente, è rispettata dall’interpretazione qui accolta. Si deve aggiungere che, come ricordato ancora da
C. Cost. n.202/08, la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile si colloca in «un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, quanto all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’INPS; di talché non è possibile lamentare il semplice dato della diversità esistente tra retribuzione soggetta a prelievo contributivo e retribuzione pensionabile senza tenere presente l’intero sistema previdenziale in cui detta previsione si inserisce» (punto 3 del Considerato in diritto) ».
6. Le tematiche della armonizzazione al regime dell’AGO e del ripensamento della interpretazione fornita in sede di legittimità vanno esaminate congiuntamente: l’oggetto della delega è la disciplina e la riforma dei regimi pensionistici sostitutivi dell’AGO , e la finalità di armonizzazione non è volta ‘ al ‘ regime dell’AGO, ma è ‘ dei ‘ regimi sostitutivi, ossia fra di loro i regimi sostitutivi come sarebbero stati poi disciplinati nei rispettivi decreti legislativi governativi, nel rispetto dei principi cardine, fra i quali la previsione dei due sistemi retributivo/contributivo, la disciplina degli oneri contributivi, la commisurazione ad essi della prestazione contributiva, la previsione di massimali; e la questione di legittimità costituzionale come prospettata in relazione all’interpretazione giurisprudenziale è anche irrilevante perché ove la Corte intendesse deviare dal diritto vivente, al consolidato orientamento di legittimità, rileverebbe un contrasto interpretativo decidendo nel senso di rigetto del ricorso (così accogliendo le ragioni di controricorrente) oppure attiverebbe le modalità processuali per dirimere il contrasto interpretativo (che si risolverebbe quindi internamente, in ambito nomofilattico). Nella questione in esame le pronunce già rese hanno considerato di contemplare profili di contenimento
di risorse finanziarie disponibili, di lettura unitaria dell’intero sistema previdenziale, di specialità del regime previdenziale in materia, di giustificazione del permanere del limite per evitare irragionevoli disparità tra il calcolo delle due quote dando luogo a criteri più favorevoli per la quota B rispetto alla quota A, di rischio di perdita di equilibrio delle gestioni previdenziali coerente con la legge di delegazione- in caso di indiscriminato superamento del massimale della retribuzione giornaliera pensionabile; su tutto, si vedano pure Cass. n. 24526/23, 24524/23.
Il secondo motivo di ricorso è anch’esso fondato. La decadenza di cui al comma sesto dell’art. 47 DPR 639/1970, nel testo come novellato dall’art. 38 co.1 lett. d n.1 del d.l. 98/2011, è specificamente rivolta alle prestazioni corrisposte non nella loro integrità, con decorrenza del termine dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte, ed è impedita dalla presentazione della doman da giudiziale; il termine di decadenza introdotto dall’art. 38 trova applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate ma solo a decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione (6/7/2011) e, come già ritenuto dalla sentenza n.28416/20, è evitata dalla propo sizione dell’ azione giudiziaria, non anche dalla domanda amministrativa, stante il tenore letterale del primo comma dell’art. 47. Ciò si pone in linea con l’ art. 2966 c.c. a mente del quale la decadenza non è impedita se non dal compimento dell’ atto previsto dalla legge, e nella fattispecie l ‘atto previsto dalla legge è l’ azione giudiziaria; trattasi di un atto il cui compimento va effettuato nel termine previsto dalla legge, ossia entro il termine del sesto comma dell’art. 47, dal pagamento della sorte o dal riconoscimento parziale della prestazione. La ‘nuova’ decadenza dell’azione
giudiziaria per ottenere l’esatto adempimento prescinde dalla domanda amministrativa, a differenza del riconoscimento del diritto a pensione, come già osservato da questa Corte in ord. n. 22820/21 (ivi: ‘ 14. Del resto, a differenza di quanto avviene per l’iniziale riconoscimento del diritto a pensione, dove il termine iniziale della decadenza opera una volta esaurito il procedimento amministrativo, nel caso di domanda volta ad ottenere la riliquidazione di prestazione già parzialmente riconosciuta, la domanda amministrativa resta del tutto estranea anche in ordine al decorso del termine di decadenza, ancorato nel dies a quo alla data del riconoscimento della prestazione parziale o di pagamento della sorte, e non ad atti diversi del procedimento ‘).
7.1 – Ciò posto, la questione va risolta nel senso di ritenere valutabile il periodo di decadenza antecedente all’ultimo triennio che precede la proposizione del ricorso giudiziale (cfr. Cass. n. 24555/2023: ‘ può dunque affermarsi che, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza, in considerazione della natura della prestazione, si applichi solo alle differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale ‘). Si osservi pure che l’ulteriore aspetto della ipotizzata violazione dell’art. 252 disp. att. c.p.c. non è corretto dovendo rinvenirsi una soluzione bilanciata tra un diverso termine di decadenza introdotto dalla nuova normativa del 2011 (tre anni dal pagamento parziale del rateo e non un anno dalla domanda amministrativa) e l’effetto ablativo di una tutela non esercitata dall’entrata in vigore della novellata disposizione (quale conseguenza della prospettata doglianza dell’istituto ove si tenga con to della decorrenza della pensione dal ottobre 1997 , data anteriore all’entrata in vigore
della d.l. 98/2011). Il tema del bilanciamento di interessi e della tutela del nucleo essenziale di una prestazione costituzionalmente protetta produce riflessi sull’autonoma cadenza temporale della decorrenza del termine decadenziale riferito ai singoli ratei oggetto di lamentato parziale adempimento; ‘ l’applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all’intera pretesa del privato attua, del resto, un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l’obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell’integrazione dei ratei ultratriennali rispetto alla domanda giudiziale ‘ ( cfr. ord. n.24555/23), sicché l’ incidenza degli effetti decadenziali sui ratei pregressi non vanifica il diritto alla pensione. Sul punto si richiamino anche le ordinanze nn. 17382/23 e 17493/23, alle cui argomentazioni si intende dare continuità (‘ Una diversa interpretazione (che applicasse la decadenza all’intera pretesa di rideterminazione travolgendo i ratei futuri ed infratriennali) sarebbe del resto incompatibile con la Costituzione tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardi il nucleo essenziale della prestazione, come nel caso che solo una parte esigua della prestazione sia riconosciuta e pagata dall’ente previdenziale. Per tali casi, ritenere il diritto alle differenze pensionistiche perduto per decadenza comporterebbe di fatto la vanificazione del diritto alla pensione, in netto contrasto con l’art. 38 Cost. Sarebbe peraltro non agevole individuare (per ciascuna prestazione periodica), in difetto di criteri legali o costituzionali espliciti, quale sia il nucleo essenziale della prestazione pensionistica non comprimibile. L’applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei
pregressi oltre il triennio e non all’intera pretesa del privato attua, del resto, un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l’obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell’integrazione dei ratei ultratriennali rispetto alla domanda giudiziale. Per converso, alcun bilanciamento tra gli opposti interessi sarebbe assicurato dall’accoglimento della tesi opposta, che produrrebbe una pensione decurtata per sempre in modo contra legem, con effetto completamente ablativo del diritto alle differenze (a fronte di una situazione di ignoranza del pensionato in ordine all’esatto importo della prestazione, che potrebbe protrarsi per anni) e con incidenza normalmente rilevante su una situazione soggettiva costituzionalmente protetta. Può dunque affermarsi che, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguardi, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale ‘). Conformi, in tal senso, anche Cass. nn. 23988/24, 24245/23, 17353/23, 17430/21).
Quanto affermato in tali pronunce viene qui condiviso, pertanto, le doglianze del ricorrente sono fondate e ne consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si uniformerà ai menzionati principi espressi da questa Corte e provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione,