Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2594 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2594 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30448-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 361/2021 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 01/06/2021 R.G.N. 105/2020;
Oggetto
R.G.N. 30448/2021
COGNOME
Rep.
Ud.20/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con sentenza del giorno 1.6.2021 n. 361, la Corte d’appello di Torino, in sede di rinvio, accoglieva parzialmente il gravame proposto dall’Inps (appellante nell’originario giudizio di secondo grado) avverso la sentenza del tribunale di Torino che aveva accolto il ricorso di COGNOME NOME volto ad impugnare il provvedimento di liquidazione della pensione del 25.9.12, con il quale il rateo era stato quantificato in € 13.740,97, sostenendo, in primo luogo, che il criterio di liquidazione pro rata, sancito dall’art. 42 comma 3 della legge n. 189/02 non fosse applicabile nei suoi confronti, non essendo iscritto all’Inpdai alla data di soppressione dell’Istituto ed, inoltre, in applicazione della clausola di garanzia già prevista per le pensioni Inpdai, chiedendo la riliquidazione della propria pensione in misura non inferiore a quella risultante applicando la più favorevole disciplina del FPLD.
Il tribunale ha ritenuto inapplicabile il principio del calcolo pro rata dei contributi maturati dal ricorrente presso la gestione Inpdai (rispetto a quelli maturati presso la gestione Inps, presso cui il ricorrente era transitato, prima del 31.12.2002, per aver svolto un diverso rapporto lavorativo), ai sensi dell’art. 42 comma 3 della legge n. 289/02, a coloro che -come il ricorrente -non erano più iscritti all’Inpdai alla data della sua soppressione, il 31.12.2002, ed ha dichiarato il diritto del Curcuruto al calcolo della pensione con integrale applicazione dei criteri stabiliti dall’AGO, condannando l’Inps a liquidare la pensione in conformità.
La Corte d’appello di Torino confermava, a seguito di gravame proposto dall’Inps, la sentenza di primo grado.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 2851/20), adita dall’Inps ne accoglieva l’impugnazione, rinviando alla Corte di appello di Torino, stabilendo che, ‘(…) dal momento che la L. n. 289 del 2002, ha operato il trasferimento dei contributi dall’INPDAI all’INPS mediante iscrizione “con evidenza contabile separata”, ossia in carenza di un’unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal D.P.R. n. 58 del 1976, l’art. 42, comma 3, prima parte, della legge citata, disponendo che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1 gennaio 2003, ha introdotto un principio di carattere generale, senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002 (…)’.
Riassunto il giudizio in sede di rinvio, la Corte d’appello di Torino ha ritenuto, in ragione del dictum della sentenza rescindente, che il meccanismo del pro rata di cui all’art. 42 comma 3 della legge n. 289/02 fosse espressione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, in considerazione della diversità dei sistemi di calcolo adottati per ciascuno di essi, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo autonomi criteri.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, resa in sede di rinvio, l’Inps ha proposto ricorso in Cassazione, sulla base di due motivi, mentre COGNOME NOME ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso, l’istituto previdenziale deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 42 della legge n. 289/02 e dell’art. 5 della legge n. 44/73, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché, erroneamente, in accoglimento della domanda subordinata, la Corte del merito aveva ritenuto che le anzianità contributive maturate presso l’AGO Inps e poi trasferite gratuitamente all’Inpdai, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 44/73, dovevano essere valutate in ta applicazione della ‘clausola di salvaguardia’ di cui all’art. 3 comma 4 del d.lgs. n. 181/97, secondo le regole asseri proprie dell’AGO Inps e non già secondo quelle dell’Inpdai.
Con il secondo motivo di ricorso, in via subordinata, l’istituto previdenziale deduce violazione di legge, in particolare, degli artt. 3 e 13 del d.lgs. n. 503/92, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché anche a voler liquidare con i criteri propri dell’AGO Inps la quota di pensione relativa alle anzianità contributive del ricorrente trasferite nell’Inpdai, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 44/73, la retribuzione pensionabile non era stata, comunque, determinata in conformità a diritto, perché il consulente d’ufficio, in sede di rinvio , aveva considerato come base imponibile le retribuzioni percepite nelle ultime 260 settimane e non nelle ultime 520 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione, come previsto dall’art. 3 comma 2 del d.lgs. n. 503/92, con conseguente adeguamento dei criteri di calcolo ivi previsti: pertanto, secondo l’Inps, per i trattamenti liquidati a far data dal gennaio 1993 (come nella specie), la retribuzione pensionabile non si determina più tenendo conto solo delle ultime 260 settimane di contribuzione anteriori alla decorrenza della pensione (come prevedeva l’art. 3 della legge n. 297/82), bensì tenendo conto del periodo, come sopra incrementato.
Il controricorrente, da parte sua, solleva questione di legittimità costituzionale subordinata all’accoglimento del ricorso (v. pp. 33 e ss. del controricorso), dell’art. 42 comma 3 della legge n. 289/02, per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione, perché, se interpretata nel senso prospettato dall’Inps, la disciplina in esame si porrebbe in contrasto con le richiamate disposizioni costituzionali, per la negata applicazione ai lavoratori ex Inpdai confluiti nell’Inps della clausola di salvaguardia (in rapporto al trattamento AGO), già prevista dalla disciplina Inpdai. Una simile interpretazione della norma in esame darebbe luogo ad una disparità di trattamento (in violazione dell’art. 3 Cost.) rispetto agli iscritti Inpdai che hanno avuto accesso al trattamento pensionistico prima della riforma, alla cui pensione, liquidata secondo la sola disciplina Inpdai, è sempre stata applicata la detta garanzia di trattamento minimo, nonché ad una consistente decurtazione del trattamento pensionistico (in viol azione dell’art. 38 Cost.). Ulteriore violazione degli artt. 3 e 38 Cost. si avrebbe per la disposta applicazione della disciplina Inpdai ai periodi di contribuzione Inps, oggetto di trasferimento ex art. 5 della legge n. 44/73, nella vigenza della precedente disciplina.
Il primo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘ in materia di trattamento pensionistico dei dirigenti già assicurati presso l’INPDAI e trasferiti, a seguito della soppressione di tale ente, nella gestione previdenziale dell’INPS, il principio del “pro rata”, contenuto nell’art. 42, comma 3, della l. n. 289 del 2002, impone di determinare l’ammontare delle quote relative a ciascun periodo di assicurazione secondo tutte le disposizioni vigenti nel corrispondente regime normativo; ne consegue che, per la quota corrispondente alle anzianità contributive acquisite
presso l’INPDAI fino alla sua soppressione, il calcolo va operato tenendo conto anche della cd. clausola di salvaguardia di cui all’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 181 del 1997, che, già prima della soppressione dell’INPDAI, escludeva che il trattamento pensionistico complessivo degli iscritti a tale ente potesse risultare inferiore a quello previsto dall’assicurazione generale obbligatoria’ (Cass. n. 22059/24, 23573/19, cfr. anche Cass. n. 17706/20, che ribadisce la legittimità della clausola di salvaguardia anche se, in fatto, il pensionato non aveva provato il pregiudizio subito per aver ricevuto un trattamento pensionistico con i criteri meno favorevoli rispetto a quelli dell’AGO) .
Pertanto, nella specie, l’assunto dell’Inps che auspicherebbe il calcolo delle quote di pensione del dirigente, secondo il criterio in vigore per la sola gestione Inpdai (meno favorevole), collide con la ‘clausola di salvaguardia’ di cui all’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 181 del 1997 che, già prima della soppressione dell’INPDAI, escludeva che il trattamento pensionistico complessivo degli iscritti a tale ente potesse risultare inferiore a quello previsto dall’assicurazione generale obbligatoria; inoltre, l’art. 42 comma 3, prima parte, della legge n. 289/02, prevede l’iscrizione nel FPLD, del lavoratore transitato dal soppresso Inpdai, ‘con evidenza contabile separata’, che significa, come precisato dalla sentenza rescindente che non c’è un’unificazione dei contributi assimilabile alla ricongiunzione, prevista dal d.P.R. n. 58 del 1976, ma il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio pro rata, a quello degli iscritti al FPLD (quindi, sulla base di calcolo distinti, per il periodo di iscrizione all’Inpdai e per il periodo di iscrizione al FPLD).
Il secondo motivo è fondato.
Ai sensi degli artt. 3 e 13 del d.lgs. n. 503/92, per i trattamenti liquidati a far data dal gennaio 1993, la retribuzione pensionabile non si determina più tenendo conto delle sole ultime 260 settimane anteriori alla decorrenza della pensione (come preved eva l’art. 3 della legge n. 297/82), bensì tenendo conto delle ultime 520 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione, con conseguente adeguamento dei criteri di calcolo ivi previsti.
Come si evince dai passaggi d ell’elaborato peritale riportati in ricorso, il trattamento pensionistico dell’odierno pensionato è stato invece determinato sulla base delle sole retribuzioni percepite nelle ultime 260 settimane di contribuzione anteriori alla decorrenza della pensione (in particolare quelle ricomprese fra il gennaio 2007 e l’agosto 2012) con evidente violazione delle norme indicate nella rubrica del motivo. Infatti, la Corte d’appello ha statuito che la quota a) della pensione, in violazione dell’art. 42 comma 3 della legge n. 289/02 venisse determinata, per i lavoratori transitati nell’AGO Inps prima della soppressione dell’Inpdai (come nel caso di specie), sulla base delle retribuzioni che sarebbero state utili nel caso di un’ipotetica liquidazione del trattamento pensionistico da parte dell’Inpdai, per il periodo a ritroso di 260 settimane, quando invece le norme vigenti alla data del pensionamento imponevano di calcolare un periodo a ritroso di 520 settimane, dalla data del pensionamento e nei limiti del massimale Inpdai.
La questione di legittimità costituzionale sollevata dal controricorrente si appalesa manifestamente infondata, come già sancito dalla pronuncia n. 17706/20, sollevata dal medesimo difensore: secondo tale pronuncia, va affermata la differenza di situazione di chi volontariamente ha chiesto il trasferimento dei contributi Inps goduti, rispetto a chi non si sia avvalso di tale
facoltà o di chi abbia versato interamente e sempre i contributi all’Inps o ancora con riferimento agli altri settori indicati dal ricorrente aventi una loro specifica disciplina. Inoltre, la diversità di trattamento non lede il principio uguaglianza quando si pone come mero fatto collegato al fluire del tempo. Infine, non è esposto sotto quale profilo vi sarebbe violazione dell’art. 38 Cost., non ravvisandosi lesione delle aspettative pensionistiche del ricorrente.
Ancora sui dubbi di legittimità costituzionale, con Cass. n. 35190/23, in relazione all’art. 3 Cost., va riaffermato che ciò che rileva, più che la qualità di iscritto (o meno) al momento della soppressione della gestione, sono le regole peculiari della gestione di determinazione del trattamento previdenziale.
Pertanto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Torino, affinché, alla luce di quanto sopra esposto, riesamini il merito della controversia, in riferimento al motivo accolto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20.12.24.