Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13849 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13849 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1498-2022 proposto da
RAGIONE_SOCIALE ED ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura rilasciata in calce al ricorso, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori, in ROMA, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al controricorso, da ll’ avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocata NOME COGNOME, in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 26 del 2021 del la CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 5 luglio 2021 (R.G.N. 291/2020).
R.G.N. 1498/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 28/2/2025
giurisdizione Pensioni erogate dalla Cassa commercialisti. Applicazione del pro rata .
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con sentenza n. 26 del 2021, depositata il 5 luglio 2021, la Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti (d’ora innanzi, denominata Cassa commercialisti) e ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede, che aveva accolto la domanda del dottor NOME COGNOME volta a ottenere il calcolo della quota pensionistica retributiva, concernente le anzianità contributive sino al 31 dicembre 2003, secondo le più favorevoli modalità di calcolo antecedenti al Regolamento approvato il 14 luglio 2004.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che il dottor NOME COGNOME è titolare di un trattamento pensionistico decorrente dal primo luglio 2005 e dunque sottratto all’applicazione delle modifiche peggiorative intro dotte nel 2004. In tal senso militano i princìpi enunciati da Cass., S.U., 8 settembre 2015, n. 17742, che conferiscono rilievo al discrimine temporale del primo gennaio 2007, quanto alla necessità di applicare in termini rigorosi il principio del pro rata e all’illegittimità di eventuali mutamenti in peius , per quel che concerne le pensioni con decorrenza anteriore.
Secondo i princìpi affermati dalla medesima pronuncia delle Sezioni Unite, il diritto alla riliquidazione soggiace alla prescrizione decennale e, pertanto, dev’essere disattesa l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalla Cassa, in difetto dei presupposti della liquidità e dell’esigibilità del credito.
-La Cassa commercialisti impugna in sede di legittimità la sentenza d’appello , articolando due motivi di censura.
-Il dottor NOME COGNOME resiste con controricorso.
-Il Consigliere delegato, ravvisando la manifesta infondatezza del ricorso, ha formulato una sintetica proposta di definizione del giudizio (art. 380bis , primo comma, cod. proc. civ.).
-La parte ricorrente ha chiesto la decisione (art. 380bis , secondo comma, cod. proc. civ.).
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
-All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2 del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, degli artt. 10 e 12 del regolamento di disciplina della Cassa, dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione.
Avrebbe errato la Corte territoriale nel reputare le disposizioni regolamentari della Cassa distoniche rispetto al l’originaria formulazione dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995. A tale riguardo, la motivazione sarebbe «palesemente insufficiente, oltre che errata e contraddittoria» (pagina 14 del ricorso per cassazione), in quanto non spiegherebbe per quali ragioni le modalità di calcolo del pro rata definite nel regolamento confliggano con le previsioni di legge.
Al pensionato sarebbe stato erogato un trattamento previdenziale composto di due quote, l’una calcolata secondo il metodo contributivo , per le anzianità maturate dopo il primo gennaio 2004, e l’altra, per le anzianità precedenti, calcolata secondo il metodo ‘reddituale’ vigente all’entrata in vigore del Regolamento del 2004. L’incremento del numero di annualità da computare per la determinazione della media reddituale non implicherebbe alcuna violazione del principio del pro
rata , che non si sostanzierebbe nell’immutabilità dei sistemi di calcolo delle pensioni. La pronuncia delle Sezioni Unite, richiamata dalla decisione d’appello, riguarderebbe il diverso tema del massimale pensionistico.
1.1. -Le censure non colgono nel segno, in entrambi i profili in cui si articolano.
1.2. -In primo luogo, si deve osservare che la Corte di merito, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha esposto in modo intelligibile e coerente le ragioni della decisione, senza presentare le contraddizioni e le lacune denunciate dalla ricorrente, che attengono a vizi di ‘insufficienza’ della motivazione, oggi non più sindacabili in sede di legittimità (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Mediante il diffuso richiamo a un precedente pronuncia, relativa a una vicenda in larga parte affine, i giudici d’appello hanno offerto una spiegazione plausibile sull’infondatezza delle doglianze formulate dalla Cassa commercialisti.
Non si riscontrano, dunque, quelle anomalie radicali (assenza della motivazione come segno grafico, contraddittorietà insanabile, perplessità, apparenza), che si tramutano in violazione dell’obbligo costituzionale di motivare i provvedimenti giurisdizionali (art. 111, sesto comma, Cost.), la sola deducibile dinanzi a questa Corte (Cass., S.U., sentenza n. 8053 del 2014, cit.).
1.3. -Le statuizioni della pronuncia impugnata non solo sono corroborate da un’argomentazione perspicua e logica, ma si rivelano , altresì, conformi a diritto.
Il giudizio verte sulle anzianità contributive anteriori al 31 dicembre 2003, acquisite dal dottor COGNOME titolare di pensione con decorrenza dal primo luglio 2005.
Alla fattispecie si attagliano i princìpi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte, nella già richiamata sentenza n. 17742 del 2015.
I trattamenti erogati dagli enti previdenziali privatizzati e maturati prima del gennaio 2007, come quello spettante al l’odierno controricorrente, sono sottoposti al regime originario dell’art. 3, comma 12, della legge n. 335 del 1995. Ne consegue che non si applicano le modifiche in peius adottate dalle Casse prima dell’attenuazione del principio del pro rata , disposta dall’art. 1, comma 763, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, secondo l’interpretazione delineata dall’art. 1, comma 488, della legge 27 di cembre 2013, n. 147.
L’integrale applicazione del principio del pro rata preclude le modifiche peggiorative, anche con riferimento ai criteri di calcolo delle pensioni, come quelli che attengono alla media dei redditi professionali da assumere a parametro (Cass., sez. lav., 6 novembre 2018, n. 28253, con affermazioni di portata generale).
In tal senso questa Corte si è pronunciata, sviluppando le indicazioni ermeneutiche offerte dalle Sezioni Unite e respingendo il ricorso della Cassa commercialisti contro la decisione d’appello che la pronuncia oggi impugnata menziona a supporto dell’applicazione del pro rata anche al calcolo della quota reddituale (Cass., sez. lav., 4 settembre 2023, n. 25737, punti 9 e 10 del Considerato ).
1.4. -Né la memoria illustrativa si cimenta con tale esegesi della disciplina vigente, prospettando argomenti decisivi che valgano a confutarla.
-Con la seconda censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., dell’art. 129 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e dell’art. 47 -bis del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639.
La sentenza d’appello sarebbe censurabile anche nella parte in cui ha escluso l’applicabilità della prescrizione quinquennale, che concerne
ogni pagamento da effettuare periodicamente. Tale interpretazione s’imporrebbe anche per ragioni sistematiche di coerenza con la disciplina apprestata dall’art. 47 -bis del d.P.R. n. 639 del 1970 per i ratei di pensione corrisposti dall’INPS, assoggettati a prescrizione quinquennale.
2.1. -Anche tale critica dev’essere disattesa.
2.2. -La prescrizione quinquennale, invocata dalla Cassa ricorrente, presuppone la liquidità e l’esigibilità del credito e tali caratteri difettano quando sia contestata in radice la pretesa dedotta in causa.
Da tali considerazioni discende che il diritto alla riliquidazione è soggetto alla prescrizione decennale.
2.3. -Da tali princìpi, espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 17742 del 2015, cit.) e rettamente applicati dai giudici d’appello, né il ricorso né la memoria illustrativa inducono, con argomenti persuasivi, a discostarsi.
La Cassa commercialisti si limita a perorare una interpretazione dei presupposti della prescrizione quinquennale, oramai contraddetta dal diritto vivente, e raffronta fattispecie eterogenee, che non si prestano a essere comparate al metro dell’art. 3 Cost.
-Alla luce di tali rilievi, il ricorso dev’essere , dunque, respinto.
-Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore della parte controricorrente, non essendo stata formulata nel presente grado (Cass., sez. VI-I, 18 giugno 2019, n. 16244) rituale richiesta di distrazione (cfr., a tale riguardo, le conclusioni rassegnate a pagina 20 del controricorso).
-Il rigetto del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo della ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
6. -Sono inapplicabili, infine, le disposizioni dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., richiamate dall’art. 380 -bis , terzo comma, cod. proc. civ.
Al rigetto del ricorso e alla conferma della pronuncia impugnata questa Corte è giunta sulla scorta di considerazioni diverse rispetto a quelle formulate nella proposta di definizione, che s’incardina sulle enunciazioni di principio riguardanti il distinto tema del contributo di solidarietà.
Non si configurano , dunque, i presupposti tipizzati dall’art. 380bis , terzo comma, cod. proc. civ., che contempla la sola ipotesi in cui il giudizio sia definito in conformità alla proposta e sia perciò omogeneo il percorso argomentativo che sorregge la proposta e la decisione adottata in seguito all’istanza della parte ricorrente (Cass., sez. II, 1° agosto 2024, n. 21668). Non si riscontrano, in definitiva, le condizioni indefettibili delineate dal legislatore con una norma che si deve ritenere di stretta interpretazione, per il carattere sanzionatorio che presenta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, in Euro 200,00 esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione