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Buono pasto turno notturno: sì dalla Cassazione

Un’infermiera ha ottenuto il riconoscimento del diritto al buono pasto per i turni notturni svolti tra il 2001 e il 2008. La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto al buono pasto turno notturno sorge quando l’orario di lavoro supera le sei ore, poiché ciò genera la necessità di una pausa per il recupero psicofisico, indipendentemente dalla fascia oraria. La “particolare articolazione dell’orario” prevista dal CCNL Sanità va interpretata in relazione alla durata della prestazione e non a specifici orari di pranzo o cena.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Buono Pasto Turno Notturno: La Cassazione Conferma il Diritto

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo su una questione di grande importanza per migliaia di lavoratori turnisti: il diritto al buono pasto turno notturno. La Suprema Corte ha stabilito che tale diritto non è legato a specifiche fasce orarie tradizionalmente destinate ai pasti, ma alla durata complessiva della prestazione lavorativa che, superando un certo limite, genera la necessità di una pausa per il recupero delle energie.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla domanda di un’infermiera dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale. La lavoratrice chiedeva il riconoscimento del suo diritto a usufruire del buono pasto anche per i turni di lavoro notturni, svolti dalle ore 20:00 alle ore 8:00, per il periodo compreso tra il 2001 e il 2008.

Inizialmente, il Tribunale aveva respinto la sua richiesta. Successivamente, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione, accogliendo le ragioni dell’infermiera. L’Azienda Sanitaria ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione delle norme contrattuali e degli accordi sindacali.

Il Diritto al Buono Pasto per Turno Notturno secondo la Legge

Il fulcro della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 29 del CCNL Sanità del 2001. Questa norma riconosce il diritto alla mensa (o al buono pasto sostitutivo) in relazione alla “particolare articolazione dell’orario di lavoro”. L’Azienda Sanitaria sosteneva che, in base a vecchi accordi aziendali, il diritto fosse limitato a chi lavorava nella fascia 12:30/14:30.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha sposato una lettura differente, in linea con la normativa generale e con la sua consolidata giurisprudenza. Il diritto alla pausa, previsto dall’art. 8 del D.Lgs. 66/2003, scatta quando l’orario di lavoro giornaliero eccede il limite di sei ore. Questa pausa è finalizzata al recupero delle energie psicofisiche e, se previsto, alla consumazione del pasto. Di conseguenza, il diritto al buono pasto è strettamente connesso a questa esigenza di pausa, che sorge a causa della durata della prestazione lavorativa e non del suo collocamento in una specifica fascia oraria.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili e infondati i motivi di ricorso dell’Azienda Sanitaria. In primo luogo, ha ritenuto inammissibile l’eccezione di prescrizione, poiché l’azienda non aveva contestato la statuizione della Corte d’Appello che aveva accertato l’esistenza di atti interruttivi della prescrizione.

Nel merito, ha rigettato l’interpretazione restrittiva del CCNL. Secondo gli Ermellini, la “particolare articolazione dell’orario” che dà diritto al buono pasto è proprio quella che, per la sua lunghezza (in questo caso, un turno continuativo di 12 ore), genera la necessità di una pausa. È irrilevante che il turno si svolga di notte.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di tutela del benessere del lavoratore. Il buono pasto non è un elemento retributivo, ma un’agevolazione di carattere assistenziale. Il suo scopo è conciliare le esigenze del servizio con quelle quotidiane del dipendente, garantendogli il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa. Un turno di 12 ore, sia esso diurno o notturno, impegna il lavoratore per un tempo prolungato e richiede necessariamente un intervallo per ristorarsi. Limitare questo diritto solo a chi lavora nell’orario del pranzo sarebbe contrario alla logica della norma, che è quella di tutelare il lavoratore in relazione alla durata e all’impegno della sua prestazione. La Corte ha ribadito che la fruizione del pasto è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato, e un turno di 12 ore genera inequivocabilmente il diritto a tale intervallo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un importante principio a favore dei lavoratori turnisti. Le aziende, in particolare nel settore pubblico e sanitario, non possono negare il buono pasto ai dipendenti che effettuano lunghi turni notturni basandosi su interpretazioni restrittive o su accordi aziendali superati. Il diritto al buono pasto è legato indissolubilmente al diritto alla pausa, che a sua volta dipende dalla durata della giornata lavorativa. Se si lavora per più di sei ore, sorge l’esigenza di recuperare le energie, e con essa il diritto al beneficio della mensa o del buono pasto, a prescindere che fuori ci sia il sole o la luna.

A quali condizioni un lavoratore ha diritto al buono pasto?
Secondo la sentenza, il diritto al buono pasto sorge quando l’orario di lavoro giornaliero è così lungo da superare le sei ore, generando la necessità di una pausa finalizzata al recupero delle energie psicofisiche. Il diritto è quindi legato alla durata della prestazione e non alla sua collocazione in una specifica fascia oraria.

Il diritto al buono pasto spetta anche a chi lavora di notte?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che un turno di lavoro lungo e continuativo, come quello notturno di 12 ore (20:00-8:00), rientra a pieno titolo nella “particolare articolazione dell’orario di lavoro” che dà diritto al buono pasto, poiché supera ampiamente la soglia delle sei ore lavorative consecutive.

Un accordo aziendale può limitare il diritto al buono pasto solo a determinate fasce orarie?
No. Se il Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) e la legge legano il diritto alla pausa e al conseguente buono pasto alla durata della prestazione lavorativa, un accordo aziendale non può restringere tale diritto limitandolo solo a specifiche fasce orarie (es. l’orario di pranzo), perché ciò andrebbe contro il principio di tutela del benessere psicofisico del lavoratore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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