Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24267 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24267 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 591-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– RAGIONE_SOCIALE –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controRAGIONE_SOCIALE –
avverso la sentenza n. 2804/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/06/2022 R.G.N. 1191/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO
Oggetto
RETRIBUZIONE
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 591/2023
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/07/2024
CC
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che, con sentenza del 22 giugno 2022, la Corte d’ Appello di Napoli, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, rigettava la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto l’accertamento del diritto dell’istante, dipendente della predetta ASL con mansioni di infermiere e rientrante nel personale turnista, ad usufruire, in relazione al periodo 1° febbraio 2002 – 31 dicembre 2008, del servizio mensa, nella modalità alternativa del buono pasto, anche in occasione dello svolgimento del turno di lavoro dalle ore 20.00 alle ore 8.00; che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto aver il primo giudice erroneamente valorizzato la dichiarazione contenuta nell’accordo aziendale del 16.12.2008 di riconoscimento del diritto alla mensa anche al personale in turno di servizio nella fascia notturna per cui a far data dall’1.1.2009 quel riconoscimento interveniva ‘a modifica del precedenti accordi’ ciò contrastando, non solo con il tenore complessivo dell’accordo medesimo ma soprattutto con il disposto dell’art. 29 CCNL comparto Sanità del 20 settembre 2000, ricollegando questo il diritto alla mensa non già e non solo alla quantità complessiva di prestazione oraria bensì alla “particolare articolazione dell’orario di lavoro”, ovvero al suo svolgersi con modalità orarie tali da generare l’esigenza tutelata mediante il riconoscimento del servizio o del buono mensa; che per la cassazione di tale decisione ricorre la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, il COGNOME;
che il controRAGIONE_SOCIALE ha poi depositato memoria;
CONSIDERATO
che , con l’unico motivo, la RAGIONE_SOCIALE, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 CCNL comparto Sanità del 20.9.2001, integrativo del CCNL del 7.4.1999,
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dell’accordo aziendale del 16.12.2008 e dell’art. 1362 c.c., imputa alla Corte territoriale, facendone discendere la nullità della sentenza impugnata, l’erronea interpretazione, in base ai criteri legali di ermeneutica contrattuale, dell’invocata disposizione del contratto collettivo nazionale, assumendo che il riferimento ivi contenuto alla particolare articolazione dell’orario valeva a rimettere ogni determinazione, quanto ai destinatari del diritto alla mensa, alla contrattazione aziendale che, per quel che riguarda la RAGIONE_SOCIALE, fino alla data dell’1.1.2009, quel diritto aveva escluso con riguardo ai lavoratori turnisti in servizio nel turno notturno, e l’irrilevanza ai fini in questione dell’art. 8, d.lgs. n. 66/2003;
che il motivo risulta infondato alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 5547/2021, ma già Cass. n. 31137/2019) per cui deve ritenersi correttamente interpretata la disposizione contrattuale di cui all’art. 29 del contratto integrativo del 20.9.2001 nel senso del collegamento del diritto alla mensa alla fruizione di un intervallo di lavoro, risultando tale collegamento operato anche in sede legislativa ai sensi dell’art. 8, d.lgs. n. 66/2003, ove l’intervallo è previsto per la consumazione del pasto ed è collocato oltre il limite delle sei ore di lavoro;
che, in particolare, con la citata sentenza si è evidenziato che: la fruizione del pasto -ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto che non ha natura retributiva ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale -è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato;
la «particolare articolazione dell’orario di lavoro» è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro;ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 8 aprile 2003 nr. 66, il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie
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psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro e, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo;
il diritto alla mensa si lega ad una obbligatoria sosta lavorativa ma le parti sociali non hanno espresso alcuna volontà che l’attività lavorativa che si collega la pausa sia prestata «nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto»;
una eventuale volontà delle parti sociali in tal senso avrebbe dovuto essere chiaramente espressa, con l’indicazione di fasce orarie di lavoro che danno diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, previste;
che la successiva giurisprudenza di legittimità ha confermato i principi già affermati da Cass., n. 5547 del 2021 ed, in particolare, Cass. n. 15629 del 2021, n. 32113 del 2022, n. 9206 del 2023, 25622 del 2023 hanno richiamato Cass. n. 5547 del 2021 e il principio dalla stessa affermato dandovi continuità: «In tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato» e, da ultimo, Cass.
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n. 25622 del 2023 ha ripercorso la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, condividendola;
che, peraltro, questa Corte con la sentenza n. 15614 del 2015 ha rigettato il ricorso proposto avverso sentenza della Corte d’Appello di Napoli che, in analoga fattispecie, con valutazione di merito non adeguatamente censurata, ha considerato i verbali del 13 dicembre 1996 e del 16 dicembre 2008 come ‘indici di comportamenti delle parti sociali deponenti nel senso di ritenere che un turno continuativo di dodici ore, svolto dalle 20.00 alle 8.00, integrasse quella “particolare articolazione dell’orario” di cui al citato art. 29 del CCNI’ e pertanto, ferma la disponibilità delle risorse (in ragione del richiamo di cui al comma 1 dell’art. 29 cit.), che tuttavia nella specie non viene in rilievo, l’Azienda non poteva restringere il campo degli aventi diritto a buono mensa rispetto alle stesse previsioni di cui alla clausola contrattuale in esame (art. 29 CCNI) ed alla ‘particolare articolazione dell’orario’ come interpretata da questa Corte nei termini sopra indicati;
che, ai condivisibili principi giurisprudenziali precedentemente richiamati la decisione impugnata risulta essersi pienamente conformata, nel momento in cui ha ritenuto, da un lato, che il diritto dell’odierna controRAGIONE_SOCIALE deve essere ricondotto allo s volgimento dell’attività lavorativa con modalità orarie tali da generare quell’esigenza di usufruire di una pausa nel lavoro, a propria volta tutelata mediante il riconoscimento del diritto ad una pausa per un pasto, e, dall’altro lato, che tale conclusion e trova riscontro in un accordo sindacale che aveva espressamente previsto il riconoscimento del buono pasto anche nel caso di svolgimento del turno di lavoro dalle 20.00 alle 8.00, peraltro proprio alla luce della decisione di questa Corte n. 5547/2021;
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che il ricorso va dunque rigettato e le spese che seguono la soccombenza sono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore del controRAGIONE_SOCIALE, antistatario;
che stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. S.U. Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso condanna parte RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 1.800,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge, con distrazione in favore del l’AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2024.
La Presidente NOME COGNOME