Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25527 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25527 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16035-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
ASL – AZIENDA SANITARIA LOCALE INDIRIZZO LANCIANO-COGNOME, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 131/2024 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 05/03/2024 R.G.N. 167/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
R.G.N. 16035/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 03/06/2025
CC
Il ricorrente, dirigente medico alle dipendenze della ASL n°2 LANCIANO -VASTO -CHIETI, ha agito in giudizio per ottenere la condanna dell’Azienda al risarcimento del danno cagionato dal mancato godimento del diritto alla mensa sul presupposto dello svolgimento di un orario di lavoro articolato su 6,20 ore giornaliere in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto, ma con preclusione di consumarlo all’interno del presidio aziendale stante l’assenza del servizio mensa. A fondamento della domanda il lavoratore ha invocato il contenuto dell’art. 24 CCNL dirigenza medica del 2004 come modificato dall’art. 18 CCNL dirigenza medica del 2008.
Il Tribunale ha respinto il ricorso.
La C orte di Appello di L’Aquila, confermando la sentenza di primo grado, ha rigettato il gravame sul presupposto che i dirigenti medici assicurano la propria presenza articolando l’impegno di servizio in modo flessibile al fine di correlarlo alle esigenze della struttura cui sono preposti ed agli obiettivi e programmi da realizzare. In particolare, sulla base del Regolamento relativo all’orario di lavoro dei dirigenti medici della ASL n°2, è stabilito che l’effettivo orario di lavoro dei dirigenti venga definito dal direttore dell’Unità O perativa di appartenenza con diritto alla fruizione di pausa qualora l’orario di lavoro ecceda le 8 ore continuative.
Il Collegio ha precisato che all’attività del dirigente medico non siano applicabili i limiti orari previsti dal d.lgs. 66/2003 per il personale impiegatizio il quale, all’art. 8, stabilisce il diritto a fruire della pausa qualora l’orario di lavoro dovess e eccedere le sei ore. Ne deriva che, in assenza di censura sul punto, il regolamento aziendale che riconosce il diritto a fruire della pausa/buono pasto per orario di lavoro eccedente le sei ore, non
sia destinato a trovare applicazione per il personale dirigentemedico.
La Corte distrettuale, modificando sul punto la motivazione della sentenza di primo grado, ha precisato che, essendo pacifico che la ASL avesse istituito il servizio mensa per il presidio ospedaliero di Chieti, ciò costituisse automaticamente condizione sufficiente a fondare il diritto alla fruizione del buono pasto per i dipendenti della medesima Azienda destinati a prestare servizio in un presidio differente.
In conclusione, il Collegio ha stabilito che il lavoratore avesse diritto all’erogazione del buono pasto per le giornate lavorative in cui l’orario di lavoro in concreto prestato eccedeva le otto ore concludendo, però, con il rigetto della domanda avendo egli proposto domanda di risarcimento del danno e non domanda di adempimento in forma specifica stante la non monetizzabilità del pasto (così come statuito da Cass. 32113/2022) e la perdurante esistenza del rapporto contrattuale al momento della presentazione della domanda stessa.
Ricorre per cassazione il dipendente con due motivi cui resiste con controricorso l’amministrazione.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 commi I e II CCNL Dirigenza Medica e Veterinaria 2016/2018 come modificato dall’art. 18 CCNL Dirigenza Medica e Veterinaria del 6/5/2010 (diritto alla mensa) e di ogni altra norma di principio in materia di interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune e dei contratti in genere, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.
La Corte avrebbe erroneamente qualificato la domanda come finalizzata ad ottenere il valore del buono pasto come elemento
della retribuzione laddove la stessa andava interpretata come domanda risarcitoria per la mancata erogazione del servizio mensa anche con modalità sostitutiva.
Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 1218 c.c. e del d.lgs n. 66/2003 nonché dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c..
I motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione logico giuridica.
La Corte distrettuale pur riconoscendo il diritto del dipendente all’erogazione del buono pasto sostitutivo del servizio mensa per le giornate in cui l’orario di lavoro in concreto prestato abbia ecceduto le otto ore, ha respinto la domanda in quanto l’ori ginario ricorrente ha proposto domanda di risarcimento per equivalente, non riqualificabile in termini di risarcimento in forma specifica, stante la diversità di petitum e non avendo egli dedotto la sussistenza di danni da ritardato adempimento.
I motivi di censura sono fondati.
Va al riguardo precisato che il risarcimento del danno per equivalente costituisce una reintegrazione del patrimonio del creditore che si realizza mediante l’attribuzione, al creditore, di una somma di danaro pari al valore della cosa o del servizio oggetto della prestazione non adempiuta , e quindi si atteggia come la forma, per così dire, tipica di ristoro del pregiudizio subito dal creditore per effetto dell’inadempimento dell’obbligazione da parte del debitore, mentre il risarcimento in forma specifica, essendo diretto al conseguimento dell’ “eadem res” dovuta, tende a realizzare una forma più ampia e, di regola, più onerosa per il debitore, di ristoro del pregiudizio dallo stesso arrecato, dato che l’oggetto della pretesa azionata non è costituito da una somma di danaro, ma dal conseguimento, da parte del creditore danneggiato, di una prestazione del tutto
analoga, nella sua specificità ed integrità, a quella cui il debitore era tenuto in base al vincolo contrattuale. Ne consegue che costituisce una semplice “emendatio libelli” la richiesta di risarcimento per equivalente allorché sia stato originariamente richiesto, in giudizio, il risarcimento in forma specifica. (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 380 del 16/01/1997).
La Corte di Cassazione ha più di recente precisato che in tema di risarcimento del danno per lesione dei diritti reali – nella specie, del diritto di veduta – rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito (il cui mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità) attribuire al danneggiato il risarcimento per equivalente anziché quello in forma specifica, salvo il dovere, imposto dall’art.2933, secondo comma, cod. civ., di provvedere nel primo senso se la distruzione della cosa è di pregiudizio per l’economia nazionale. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 866 del 16/01/2007).
Più specificamente si è affermato che il risarcimento del danno in forma specifica, secondo il principio generale fissato dall’art. 2058 cod. civ., é applicabile anche alle obbligazioni contrattuali, costituendo rimedio alternativo al risarcimento per equivalente pecuniario. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15726 del 02/07/2010). Sulla scorta dei suesposti principi pienamente condivisi da questo Collegio è da rilevarsi che la domanda di risarcimento per equivalente come formulata non osta ad una pronuncia del giudice di merito in termini di risarcimento del danno da inadempimento finalizzata al ristoro per la mancata erogazione del servizio mensa anche con modalità sostitutiva e conseguente riconoscimento del controvalore economico costituito dai buoni pasto, presi solo a parametro, ai fini della quantificazione del risarcimento per inadempimento contrattuale.
La domanda di ristoro per inadempimento contrattuale, pertanto, va esaminata dal giudice di merito a prescindere dalla sua qualificazione in termini di domanda risarcitoria per equivalente ovvero in forma specifica.
Il ricorso, pertanto, va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia alla Corte di Appello di L’Aquila in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della sezione lavoro della Corte Suprema di Cassazione in data 3 giugno 2025.
Il Presidente NOME COGNOME