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Buono Pasto: Risarcimento anche senza richiesta specifica

Un dirigente medico si è visto negare il risarcimento per la mancata fruizione del servizio mensa. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso, stabilendo un principio fondamentale: la richiesta di risarcimento del danno per il mancato buono pasto è legittima anche se non formulata come richiesta di adempimento in forma specifica. Secondo i giudici, tale domanda va interpretata come una richiesta di ristoro per inadempimento contrattuale, utilizzando il valore del buono pasto come parametro per quantificare il danno subito dal lavoratore.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Buono Pasto: Legittimo il Risarcimento Anche se la Domanda è Generica

Il diritto al buono pasto rappresenta un tema di grande interesse nel diritto del lavoro, specialmente nel settore pubblico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un aspetto processuale cruciale: la domanda di risarcimento per la mancata erogazione del servizio mensa o del buono pasto sostitutivo è valida anche se non è formulata in termini di ‘adempimento in forma specifica’. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso

Un dirigente medico, dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale, ha citato in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere un risarcimento. Il medico svolgeva un orario di lavoro superiore alle sei ore giornaliere in una struttura priva di servizio mensa, ritenendo quindi di avere diritto a una compensazione per il mancato godimento del pasto.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua richiesta. In particolare, la Corte d’Appello, pur riconoscendo in astratto il diritto del lavoratore al buono pasto per i turni superiori alle otto ore, aveva respinto la domanda perché era stata qualificata come ‘risarcimento del danno’ anziché come ‘adempimento in forma specifica’. Secondo i giudici di secondo grado, le due richieste erano diverse e non interscambiabili.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, accogliendo il ricorso del medico. I giudici di legittimità hanno stabilito che la Corte d’Appello ha commesso un errore nell’interpretare in modo così restrittivo la domanda del lavoratore.

Il punto centrale della decisione è che una richiesta di risarcimento del danno ‘per equivalente’ (cioè una somma di denaro pari al valore del servizio non goduto) rappresenta una forma tipica e legittima di ristoro per l’inadempimento di un’obbligazione contrattuale. Non è necessario che il lavoratore chieda esplicitamente l’adempimento ‘in forma specifica’ (cioè la consegna materiale dei buoni pasto).

Le Motivazioni della Decisione: il diritto al buono pasto e la sua tutela

La Cassazione ha chiarito la distinzione tra le due forme di tutela:

* Risarcimento per equivalente: mira a reintegrare il patrimonio del creditore con una somma di denaro pari al valore della prestazione mancata.
* Risarcimento in forma specifica: ha lo scopo di far ottenere al creditore esattamente la stessa prestazione a cui aveva diritto.

Secondo la Corte, la richiesta di una somma di denaro a titolo di risarcimento per la mancata erogazione del servizio mensa non è altro che una domanda di ristoro per l’inadempimento contrattuale del datore di lavoro. È irrilevante la qualificazione formale data alla domanda. Il giudice di merito ha il dovere di esaminare la sostanza della pretesa, che in questo caso riguarda la violazione dell’obbligo di fornire il pasto o un servizio sostitutivo come il buono pasto.

Di conseguenza, la domanda del lavoratore non doveva essere respinta per un vizio di forma, ma analizzata nel merito. Il valore economico del buono pasto può essere legittimamente utilizzato come parametro per quantificare il danno subito dal dipendente.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza la tutela dei lavoratori in materia di diritto alla mensa. Stabilisce che l’importante è dimostrare l’inadempimento del datore di lavoro e il diritto alla prestazione, non la qualificazione giuridica esatta della domanda. I lavoratori che si vedono negare il servizio mensa o il buono pasto possono agire in giudizio chiedendo un risarcimento economico, e i giudici sono tenuti a valutare la richiesta nel merito, senza fermarsi a formalismi processuali. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato la causa alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata su questi principi.

È possibile chiedere un risarcimento in denaro per la mancata erogazione del buono pasto?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la domanda di risarcimento per equivalente (una somma di denaro) è una forma legittima di ristoro per l’inadempimento dell’obbligo del datore di lavoro di fornire il servizio mensa o il buono pasto.

Qual è la differenza tra risarcimento per equivalente e in forma specifica in questo caso?
Il risarcimento per equivalente consiste nell’ottenere una somma di denaro pari al valore del buono pasto non ricevuto. Il risarcimento in forma specifica, invece, mira a ottenere la prestazione stessa, cioè la consegna del buono pasto. La Corte ha chiarito che la prima richiesta è pienamente valida.

Se un lavoratore definisce la sua richiesta come ‘domanda di risarcimento’ invece che ‘domanda di adempimento’, può perdere la causa per questo motivo?
No. Secondo questa ordinanza, il giudice deve esaminare la sostanza della richiesta, che è il ristoro per un inadempimento contrattuale, a prescindere dalla qualificazione formale utilizzata. Respingere la domanda per questo motivo costituisce un errore di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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