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Buono pasto notturno: diritto se il turno è lungo

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto al buono pasto notturno sussiste per i dipendenti del comparto sanità il cui turno di lavoro superi le sei ore. La ‘particolare articolazione dell’orario’ che fonda il diritto non è legata a fasce orarie specifiche, ma alla necessità di una pausa. La Corte ha cassato la sentenza d’appello che negava il buono pasto a un’infermiera per i turni notturni.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Buono Pasto Notturno: La Cassazione Conferma il Diritto

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha consolidato un principio fondamentale per i lavoratori turnisti: il diritto al buono pasto notturno non dipende dalla fascia oraria, ma dalla durata della prestazione lavorativa. Se il turno supera le sei ore, il buono pasto, o il servizio mensa, spetta di diritto. Questa decisione chiarisce definitivamente l’interpretazione di norme contrattuali cruciali per il personale del comparto Sanità e, per estensione, per molti altri settori.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di un’infermiera professionale impiegata presso un’Azienda Sanitaria Locale. La lavoratrice chiedeva il riconoscimento del suo diritto a ricevere i buoni pasto per tutti i turni notturni svolti, dalle ore 20.00 alle 8.00, in un periodo compreso tra il 2001 e il 2008. La sua domanda era stata respinta sia in primo grado sia dalla Corte d’Appello, la quale aveva ritenuto validi alcuni accordi sindacali aziendali che limitavano l’erogazione dei ticket alla sola fascia oraria diurna (12:30-14:30). Secondo i giudici di merito, solo un accordo successivo, datato 2008, aveva esteso tale diritto anche al personale notturno, ma solo a partire dal 2009. Di conseguenza, per il periodo precedente, la richiesta non poteva essere accolta.

Il Diritto al Buono Pasto Notturno e l’Interpretazione della Norma

Il cuore della controversia risiedeva nell’interpretazione dell’articolo 29 del Contratto Collettivo Nazionale Integrativo (CCNI) del Comparto Sanità del 2001. La norma riconosce il diritto alla mensa a tutti i dipendenti in relazione alla “particolare articolazione dell’orario”. La questione era: cosa si intende esattamente con questa espressione? La Corte d’Appello l’aveva interpretata in senso restrittivo, ancorandola a vecchi accordi aziendali. La lavoratrice, invece, sosteneva che tale dicitura si riferisse a qualsiasi turno di lavoro che, per la sua durata, rendesse necessaria una pausa per il recupero delle energie psicofisiche, a prescindere che fosse diurno o notturno. Negare il buono pasto notturno avrebbe creato, a suo avviso, un’ingiustificata e discriminatoria disparità di trattamento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente la tesi della lavoratrice, cassando la sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito che il diritto alla mensa, o al buono pasto sostitutivo, non ha natura retributiva, ma assistenziale. Il suo scopo è garantire il benessere del dipendente, consentendogli di consumare un pasto durante una pausa obbligatoria.

Il presupposto per questo diritto è legato a un altro principio normativo fondamentale, stabilito dall’art. 8 del D.Lgs. 66/2003: quando l’orario di lavoro giornaliero eccede il limite di sei ore, il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa.

La “particolare articolazione dell’orario” menzionata dal contratto collettivo, quindi, non è altro che una prestazione lavorativa che, superando le sei ore, fa scattare il diritto a questa pausa. Non ha alcuna importanza se il turno si svolga di giorno, di pomeriggio o di notte. Il diritto alla pausa e il connesso beneficio assistenziale del pasto sono legati alla durata e all’intensità del lavoro, non all’orario in cui viene svolto.

La Corte ha ribadito, richiamando suoi precedenti consolidati (in particolare la sentenza n. 5547 del 2021), che gli accordi aziendali non possono restringere un diritto garantito dal contratto nazionale in modo da creare discriminazioni. Di conseguenza, escludere i lavoratori notturni dal beneficio del buono pasto è stato ritenuto illegittimo.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione non si è limitata ad annullare la decisione precedente, ma ha deciso la causa nel merito, accertando il diritto della ricorrente a ricevere i buoni pasto per il periodo richiesto. Ha quindi condannato l’Azienda Sanitaria al pagamento della somma dovuta, oltre a interessi e rivalutazione.

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche: rafforza la tutela dei lavoratori turnisti e stabilisce che il buono pasto è una misura di welfare legata alla salute e sicurezza sul lavoro. Le aziende non possono negarlo basandosi su interpretazioni restrittive o accordi locali superati, ma devono garantirlo a tutti i dipendenti che effettuano turni prolungati, assicurando parità di trattamento e rispetto dei diritti contrattuali.

Il diritto al buono pasto dipende dall’orario in cui si lavora (es. l’ora di pranzo)?
No, la Corte ha chiarito che il diritto non è legato a fasce orarie tradizionali come quella del pranzo, ma alla durata della prestazione lavorativa che, superando le sei ore, fa sorgere la necessità di una pausa.

Un turno di lavoro notturno dà diritto al buono pasto?
Sì, secondo la Corte, se il turno di lavoro, anche se notturno, supera la durata di sei ore, il lavoratore ha diritto alla pausa e, di conseguenza, al buono pasto o al servizio mensa quale misura assistenziale.

Un accordo aziendale può escludere il buono pasto per i turnisti notturni se il contratto nazionale lo prevede?
No, la Corte ha stabilito che l’azienda non può restringere il campo dei beneficiari del buono pasto in contrasto con le previsioni del contratto collettivo nazionale. Il diritto è legato alla “particolare articolazione dell’orario”, intesa come un turno superiore alle sei ore, e non può essere negato in modo discriminatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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