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Buoni pasto turnisti: il diritto spetta sempre

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto ai buoni pasto per una lavoratrice turnista di un’azienda ospedaliera. La sentenza stabilisce che il diritto alla mensa o a modalità sostitutive, come i buoni pasto turnisti, è legato alla durata del turno di lavoro superiore a sei ore e al conseguente diritto alla pausa, indipendentemente dal fatto che il turno si svolga nelle fasce orarie tradizionalmente destinate ai pasti. L’azienda è stata condannata al risarcimento del danno, quantificato in via equitativa.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Buoni Pasto Turnisti: Diritto Legato alla Durata del Lavoro, non all’Orario

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto chiarezza su un tema molto dibattuto nel mondo del lavoro, in particolare nel settore sanitario: il diritto ai buoni pasto turnisti. Con la decisione in esame, la Suprema Corte ha stabilito che il diritto alla mensa o a forme equivalenti scatta ogni volta che il turno di lavoro supera le sei ore, a prescindere dalle fasce orarie in cui si svolge la prestazione. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti di causa

Una dipendente di un’azienda ospedaliera, soggetta a turni di lavoro che coprivano l’intero arco della giornata (7-13, 13-20 e 20-7), si era vista negare il servizio mensa o alternative come l’erogazione di buoni pasto. La lavoratrice ha quindi adito il Tribunale per vedere riconosciuto il proprio diritto. Sia il giudice di primo grado che la Corte d’Appello le hanno dato ragione, condannando l’azienda.

L’ente sanitario, non soddisfatto della decisione, ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il diritto alla mensa, secondo il Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) Sanità, sarebbe legato a una “particolare articolazione dell’orario di lavoro” e non spetterebbe ai lavoratori che non prestano servizio nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione dei pasti (come la pausa pranzo tradizionale).

Il diritto ai buoni pasto turnisti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda ospedaliera, confermando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio. Gli Ermellini hanno fornito un’interpretazione chiara e definitiva delle norme contrattuali e legislative in materia.

Il punto centrale della decisione ruota attorno all’interpretazione dell’art. 29 del CCNL Sanità. La Corte ha spiegato che la “particolare articolazione dell’orario di lavoro”, che dà diritto alla mensa, non si riferisce a specifiche fasce orarie, ma è direttamente collegata al diritto alla pausa, previsto dall’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003. Questa norma stabilisce che ogni lavoratore il cui orario giornaliero ecceda il limite di sei ore ha diritto a un intervallo per pausa.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio logico e giuridico: la pausa serve al recupero delle energie psicofisiche e, eventualmente, alla consumazione del pasto. Questo bisogno non dipende dall’ora del giorno in cui si lavora, ma dalla durata della prestazione lavorativa. Un infermiere che lavora dalle 13 alle 20 ha la stessa necessità di una pausa e di un pasto di un impiegato che lavora dalle 9 alle 17.

La Cassazione ha sottolineato che se le parti sociali avessero voluto limitare il diritto a determinate fasce orarie, lo avrebbero esplicitamente previsto nel contratto, cosa che non è avvenuta. Pertanto, il diritto alla mensa (o ai buoni pasto in sua vece) è intrinsecamente legato al superamento delle sei ore di lavoro e alla conseguente fruizione della pausa, indipendentemente dal fatto che questa avvenga a mezzogiorno, nel pomeriggio o di notte.

Inoltre, la Corte ha respinto la tesi dell’azienda secondo cui la condanna rappresentasse una “monetizzazione” dei buoni pasto. Al contrario, si è trattato di un risarcimento del danno, quantificato in via equitativa, per il pregiudizio subito dalla lavoratrice, costretta a provvedere autonomamente ai propri pasti nonostante ne avesse diritto.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale a tutela dei lavoratori turnisti. Il diritto ai buoni pasto o al servizio mensa non è un benefit legato a consuetudini orarie, ma un diritto connesso alla durata e alla gravosità della prestazione lavorativa. Per i datori di lavoro, in particolare nel settore sanitario, ciò significa che l’organizzazione del servizio mensa o l’erogazione di misure sostitutive deve tenere conto di tutti i dipendenti con turni superiori alle sei ore, garantendo parità di trattamento e il rispetto del diritto al recupero delle energie psicofisiche.

Un lavoratore turnista ha diritto ai buoni pasto anche se il suo turno non copre le fasce orarie tradizionali del pranzo o della cena?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto alla mensa o a forme sostitutive come i buoni pasto è legato al superamento delle sei ore di lavoro continuativo e al conseguente diritto alla pausa, non alle specifiche fasce orarie in cui si svolge il turno.

Qual è il fondamento normativo del diritto alla pausa e, di conseguenza, al pasto?
Il diritto alla pausa è sancito dall’art. 8 del d.lgs. n. 66 del 2003, che prevede un intervallo per i lavoratori il cui orario giornaliero superi le sei ore. Il CCNL Sanità, all’art. 29, collega a questa condizione il diritto al servizio mensa.

Se il datore di lavoro non fornisce il servizio mensa o i buoni pasto, il lavoratore ha diritto a un risarcimento in denaro?
Sì. La mancata erogazione del servizio costituisce un inadempimento che causa un pregiudizio al lavoratore, costretto a provvedere autonomamente ai pasti. Tale pregiudizio può essere risarcito e il suo ammontare può essere determinato dal giudice in via equitativa, basandosi, ad esempio, sul valore dei buoni pasto non corrisposti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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