Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 16938 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 16938 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17399/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME;
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 722/2019 pubblicata il 23 dicembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ha esposto al Tribunale di Messina che era dipendente turnista dell’Azienda Ospedaliera Papardo, con turni dalle 7 alle 13, dalle 13 alle 20 e dalle 20 alle 7, e che non godeva del servizio mensa istituito dalla detta Azienda per i suoi dipendenti.
La ricorrente ha chiesto al giudice, quindi, di dichiarare il suo diritto di accedere alla pausa mensa e/o alle garanzie ed esplicazioni delle modalità sostitutive del diritto di mensa ovvero l’erogazione di buoni pasto ovvero il pagamento di un contro valore in denaro, oltre alla condanna al risarcimento del danno.
Il Tribunale di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 722/2019, ha accolto il ricorso.
L’Azienda Ospedaliera COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 722/2019, ha rigettato.
L’Azienda Ospedaliera Papardo ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi e depositato memoria.
L’intimata non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 CCNL Sanità del 7 aprile 1999, come modificato e integrato il 20 settembre 2001 e il 31 luglio 2009 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 66 del 2003 . Prospetta che non esisterebbe un diritto del dipendente al servizio mensa o alle modalità sostitutive in assenza della relativa contrattazione integrativa e che, comunque, il giudice del merito non avrebbe considerato che l’eventuale diritto al detto servizio sarebbe subordinato, dalla contrattazione collettiva, alla ‘particolare articolazione dell’orario di lavoro’ . Per l’esattezza, il servizio in esame non sarebbe previsto per i lavoratori che non prestino la loro attività nelle fasce orarie normalmente destinate alla
consumazione del pasto, ben potendo essi provvedervi prima o dopo il turno.
Inoltre, evidenzia che il diritto alla mensa non potrebbe essere identificato con quello alla pausa. Chiede, altresì, che sia applicato in via analogica l’art. 45 del CCNL 14 settembre 2000 Comparto Regioni e Autonomie locali, per il quale il servizio mensa può essere goduto dai dipendenti che prestino la loro attività al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane. Evidenzia, poi, che i dipendenti turnisti non avrebbero diritto alla pausa.
La contestazione è infondata.
Come già affermato da questa S.C. in un caso che ha visto coinvolta la stessa parte ricorrente (Cass., n. 5547 del 1° marzo 2021), il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva, ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con quelle quotidiane del lavoratore (Cass., n. 31137 del 28 novembre 2019 e giurisprudenza ivi citata); proprio per la suindicata natura il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono (da ultimo, Cass., n. 22985 del 21 ottobre 2020).
Nella fattispecie di causa viene in rilievo, dunque, l ‘ art. 29 del CCNL 20 settembre 2001, integrativo del CCNL del 7 aprile 1999, a tenore del quale:
‘ 1. Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l ‘ esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive.
Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell ‘ orario.
Il pasto va consumato al di fuori dell ‘ orario di lavoro. Il tempo impiegato per il consumo del pasto è rilevato con i normali mezzi di controllo dell ‘ orario e non deve essere superiore a trenta minuti.
Il costo del pasto determinato in sostituzione del servizio mensa non può superare L. 10.000. Il dipendente è tenuto a contribuire in ogni caso nella misura fissa di L. 2000 per ogni pasto. Il pasto non è monetizzabile.
Sono disapplicati il D.P.R. n. 270 del 1987, art. 33 e D.P.R. n. 384 del 1990, art. 68, comma 2 ‘ .
Tale disposizione è stata poi modificata, nei commi 1 e 4, dall ‘ art. 4 del CCNL del 31 luglio 2009 (biennio economico 2008-2009), nei seguenti sensi:
‘ 1. Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l ‘ esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. In ogni caso l ‘ organizzazione e la gestione dei suddetti servizi, rientrano nell ‘ autonomia gestionale delle aziende, mentre resta ferma la competenza del CCNL nella definizione delle regole in merito alla fruibilità e all ‘ esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori.
(…)
Le Regioni, sulla base di rilevazioni relative al costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto socio-sanitario di riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla valorizzazione – nel quadro delle risorse disponibili – dei servizi di mensa nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista. Nel caso di erogazione dell ‘ esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive, queste ultime non possono comunque avere un valore economico inferiore a quello in atto ed il dipendente è tenuto a contribuire nella misura di un quinto del costo unitario del pasto. Il pasto non è monetizzabile ‘ .
Non è invece conferente al giudizio l ‘ art. 45 CCNL 14.9.2000, richiamato da parte ricorrente, in quanto relativo al diverso comparto Regioni ed Autonomie locali.
Così esposte le previsioni contrattuali, la questione di causa consiste nello stabilire quale sia la «particolare articolazione dell’orario» che, ai sensi del comma 2 del richiamato art. 29 CCNL Integrativo Sanità, attribuisce il diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio.
L ‘ art. 26 del CCNL Sanità 1998/2001, del 7.4.1999, sull ‘ orario di lavoro, non contiene utili indicazioni sul punto, in quanto si limita a stabilire un orario di lavoro settimanale di 36 ore ed a fissare i criteri generali per la sua distribuzione.
Un chiaro indice interpretativo si trae, comunque, dalla disposizione del comma 3 del medesimo art. 29 CCNL Integrativo 20.9.2001, in base al quale il pasto va consumato al di fuori dell ‘ orario di lavoro ed il tempo a tal fine impiegato è rilevato con i normali strumenti di controllo dell ‘ orario e non deve essere superiore a 30 minuti.
Da questa norma si ricava che la fruizione del pasto – ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto – è prevista nell ‘ ambito di un intervallo non lavorato; diversamente, non potrebbe esercitarsi alcun controllo sulla sua durata.
Si può convenire, dunque, sul fatto che la «particolare articolazione dell ‘ orario di lavoro» è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro.
Di qui il rilievo del d.lgs. n. 66 del 2003 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell ‘ organizzazione dell ‘ orario di lavoro), art. 8, a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l ‘ orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro ed, in difetto di disciplina collettiva, la durata non
è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
Anche nel testo legislativo, quindi, la consumazione del pasto è collegata alla pausa di lavoro e avviene nel corso della stessa.
La stessa difesa di parte ricorrente lega il diritto alla mensa ad una obbligatoria sosta lavorativa, ma assume che la norma contrattuale richiederebbe, altresì, che la relativa attività sia prestata «nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto».
Sul punto, si osserva che una eventuale volontà delle parti sociali in tal senso sarebbe stata, tuttavia, chiaramente espressa, con l ‘ indicazione di fasce orarie di lavoro che danno diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, state previste.
L ‘ interpretazione esposta, secondo cui il diritto alla mensa ex art. 29, comma 2, CCNL Integrativo Sanità 20.9.2001 è legato al diritto alla pausa, nei termini sopra esposti, è coerente, poi, con i principi già enunciati da questa Corte, con sentenza n. 31137 del 28 novembre 2019, in relazione alle previsioni dell ‘ art. 40 CCNL 28 maggio 2004 del Comparto Agenzie fiscali.
Non a caso, la giurisprudenza di legittimità prima citata (Cass., n. 5547 del 1° marzo 2021) è giunta, sulla base delle esposte premesse, alla conclusione che, ai fini del riconoscimento del buono pasto ad un dipendente con turni 13/20 e 20/7, occorre collegare le «’ particolari condizioni di lavoro ‘ di cui all ‘ art. 29 del c.c.n.i. del comparto Sanità del 20 settembre 2001, al diritto alla fruizione della pausa di lavoro, a prescindere che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o che il pasto potesse essere consumato prima dell ‘ inizio del turno».
Il giudice del merito ha, pertanto, correttamente interpretato la disposizione contrattuale, in maniera coerente con quanto già ritenuto da questa Suprema Corte.
Ne consegue il rigetto della censura.
2) Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 4, CCNL Sanità del 7 aprile 1999, come modificato e integrato il 20 settembre 2001 e il 31 luglio 2009, e degli artt. 1218 e 1223 c.c. e 115 c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato a confermare il capo della sentenza di primo grado contenente la condanna al risarcimento del danno.
Si duole del fatto che il giudice di appello abbia monetizzato i buoni pasto e che abbia riconosciuto il risarcimento in esame senza tenere conto dell’espressa contestazione dello stesso da parte sua e della mancata prova del pregiudizio patito.
La censura è inammissibile.
Innanzitutto, si osserva che non vi è stata una ‘monetizzazione’ dei buoni pasto, nel senso che essi non sono stati considerati un corrispettivo della prestazione lavorativa. Diversamente da quanto dedotto, il loro valore è stato utilizzato semplicemente come parametro al fine di stabilire l’entità del pregiudizio patito dalla lavoratrice per il fatto di avere dovuto provvedere ai propri pasti autonomamente, nonostante il suo diritto al servizio mensa.
Per quel che concerne la non contestazione, la Corte d’appello di Messina si è limitata a darle rilievo solo con riferimento ai presupposti del reclamato diritto che si assumeva leso, ossia alla durata dei turni e alle giornate nelle quali sarebbero stati svolti per un periodo eccedente le sei ore.
La relativa quantificazione, invece, è avvenuta in via equitativa e, quindi, come tale, non è in questa sede contestabile (Cass., n. 341 dell’8 gennaio 2025), essendosi fondata sulla considerazione delle spese normalmente necessarie a provvedere ai pasti.
3) Il ricorso è rigettato.
Nessuna statuizione deve esservi in ordine alle spese di lite, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad
opera della parte r icorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione