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Buoni pasto: obbligo o facoltà per l’ente pubblico?

Due dipendenti pubblici hanno citato in giudizio il loro Comune per ottenere l’equivalente economico dei buoni pasto non corrisposti. Dopo una vittoria in primo grado e una sconfitta in appello, il caso è giunto in Cassazione. La Suprema Corte, riconoscendo l’importanza della questione per l’uniforme interpretazione del diritto, ha rinviato la decisione a un’udienza pubblica. L’obiettivo è chiarire se l’istituzione della mensa o la fornitura dei buoni pasto sia un obbligo o una mera facoltà per gli enti locali, in base all’interpretazione del CCNL di settore.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Buoni Pasto nel Pubblico Impiego: un Diritto o una Concessione?

La questione del diritto ai buoni pasto per i dipendenti degli enti locali torna al centro del dibattito giurisprudenziale. Un’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ha infatti rimesso la decisione a un’udienza pubblica, sottolineando la necessità di un chiarimento definitivo su un tema che tocca migliaia di lavoratori. La domanda è cruciale: l’ente pubblico ‘deve’ o ‘può’ fornire il servizio mensa o, in alternativa, i ticket restaurant?

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla richiesta di due dipendenti di un Comune meridionale, i quali avevano agito in giudizio per ottenere il pagamento dell’equivalente economico dei buoni pasto per il periodo lavorativo compreso tra il 2007 e il 2012. Il Tribunale di primo grado aveva accolto la loro domanda, condannando l’ente al pagamento delle somme richieste.

Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, non sussisteva un obbligo per il Comune di istituire un servizio mensa o di erogare i buoni, interpretando la normativa contrattuale come una mera facoltà condizionata dalla valutazione dell’assetto organizzativo e delle risorse economiche disponibili.

Contro questa sentenza, i lavoratori hanno proposto ricorso per Cassazione, sostenendo un’errata interpretazione degli articoli 45 e 46 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto Regioni e Autonomie Locali.

La Questione Giuridica sui Buoni Pasto

Il cuore del problema risiede nell’interpretazione del verbo utilizzato nell’art. 45 del CCNL: ‘possono’. Secondo la tesi dei lavoratori, una lettura sistematica degli articoli 45 e 46 del contratto collettivo porterebbe a riconoscere un vero e proprio diritto soggettivo al buono pasto ogni qualvolta l’ente non predisponga un servizio mensa e ricorrano determinate condizioni di orario di lavoro.

Di contro, la tesi sostenuta dall’ente locale e accolta dalla Corte d’Appello è che la norma conferisca all’amministrazione un potere discrezionale. La decisione di istituire la mensa o erogare i buoni pasto sarebbe subordinata a una valutazione ponderata delle proprie risorse organizzative e finanziarie. Senza la disponibilità di fondi (la cosiddetta ‘provvista’), non sorgerebbe alcun obbligo di erogazione.

I ricorrenti hanno inoltre contestato l’onere della prova, sostenendo che spettasse al Comune dimostrare l’impossibilità di fornire il servizio per mancanza di risorse, e non al lavoratore provare la disponibilità delle stesse.

Le Motivazioni dell’Ordinanza Interlocutoria

La Corte di Cassazione, con la sua ordinanza, non ha fornito una risposta definitiva, ma ha preparato il terreno per una decisione di fondamentale importanza. Gli Ermellini hanno riconosciuto che la questione ha una ‘rilevanza nomofilattica’, ovvero ha la capacità di influenzare l’interpretazione della legge in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

Data la delicatezza e la diffusione del contenzioso in materia, la Corte ha ritenuto necessario un esame approfondito in un’udienza pubblica. Questo ‘luogo privilegiato’ consentirà un’interlocuzione più ampia e diretta tra le parti e il Pubblico Ministero, portando a una decisione ponderata che prenderà la forma di una sentenza e non di un’ordinanza.

La Corte dovrà quindi stabilire in via definitiva se l’espressione ‘possono istituire’ contenuta nel CCNL debba essere interpretata come una mera facoltà discrezionale dell’ente o se, in presenza di determinate condizioni lavorative, si trasformi in un vero e proprio obbligo, creando un corrispondente diritto per il lavoratore.

Conclusioni

La causa è stata rinviata a nuovo ruolo per la fissazione dell’udienza pubblica. La futura sentenza della Corte di Cassazione è attesa con grande interesse, poiché fornirà il principio di diritto definitivo sulla natura del diritto ai buoni pasto nel pubblico impiego locale. La decisione avrà un impatto significativo non solo sul caso specifico, ma su tutti i rapporti di lavoro simili, chiarendo una volta per tutte i confini degli obblighi del datore di lavoro pubblico in materia di servizio mensa.

Qual è la questione centrale decisa dall’ordinanza?
L’ordinanza non decide nel merito, ma stabilisce che la questione sull’interpretazione degli artt. 45 e 46 del CCNL Regioni e Autonomie Locali richiede un esame in pubblica udienza. La questione è se l’ente pubblico ‘possa’ o ‘debba’ istituire un servizio mensa o, in alternativa, erogare i buoni pasto.

Perché la Corte di Cassazione non ha emesso una sentenza definitiva?
La Corte ha ritenuto che la questione avesse una ‘rilevanza nomofilattica’, cioè un’importanza tale da richiedere una decisione che funga da precedente per casi simili. Pertanto, ha rinviato il caso a un’udienza pubblica per un esame più approfondito e una discussione più ampia tra le parti, al fine di emettere una sentenza ponderata.

Cosa sostengono i lavoratori ricorrenti?
I lavoratori sostengono che la normativa contrattuale, se interpretata sistematicamente, riconosce loro un vero e proprio diritto soggettivo a ricevere i buoni pasto quando l’ente locale non ha predisposto un servizio mensa e sono soddisfatte le condizioni relative all’orario di lavoro previste dal contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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