Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18853 Anno 2025
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Civile Ord. Sez. L Num. 18853 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17398-2020 proposto da:
AZIENDA NOME COGNOME in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
NOME ANNUNZIATA;
– intimata – avverso la sentenza n. 36/2020 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 22/01/2020 R.G.N. 257/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 22 gennaio 2020, la Corte d’Appello di Messina confermava la decisione resa dal Tribunale di Messina e
Oggetto
ALTRE IPOTESI PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 17398/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 03/06/2025
CC
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accoglieva la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Papardo, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto dell’istante, dipendente turnista, all’erogazione dei buoni pasto ovvero al pagamento di un controvalore in denaro nella misura di euro 5,16 per ogni turno eccedente le sei ore e la condanna dell’Azienda Ospedaliera datrice al pagamento di quanto dovuto per il mancato riconoscimento del diritto.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto doversi interpretare l’art. 29, comma 2, del CCNL per il comparto Sanità del 2001 in combinato disposto con l’art. 8 d.lgs. n. 66/2003, così da ritenere il diritto alla pausa ivi previsto coincidente con il diritto alla consumazione del pasto e conseguentemente con il diritto alla mensa, da qui derivando la spettanza del diritto alla mensa per tutti i dipendenti che effettuavano un orario di lavoro giornaliero eccedente le sei ore e co n riguardo alla posizione dell’istante, impegnata in turni ed in mansioni che non le consentivano la fruizione del servizio mensa, la spettanza del diritto ai buoni pasto.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’Azienda Ospedaliera Papardo, affidando l’impugnazione a due motivi, in relazione alla quale la COGNOME pur intimata non ha svolto alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, l’Azienda Ospedaliera ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, comma 2, CCNL comparto Sanità 7.4.1999 come modificato ed integrato in data 20.9.2001 ed in data 31.7.2009 e 8 d.lgs. n. 66/2003, lamenta a carico della Corte territoriale l’erronea interpretazione dell’invocata disciplina contrattuale, insuscettibile di essere letta in combinato disposto con la richiamata norma legale, non potendo ritenersi il diritto alla
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mensa coincidente con il diritto alla pausa ma dovendo, al contrario, quel diritto correlarsi esclusivamente alla circostanza, nella specie non verificatasi, per cui, in relazione all’orario di lavoro osservato, al dipendente non fosse consentito di pranzare fuori dall’ambiente di lavoro.
Con il secondo motivo, denunciando, in via meramente subordinata nell’ipotesi di mancato accoglimento del primo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, comma 2, CCNL comparto Sanità 7.4.1999 come modificato ed integrato in data 20.9.2001 ed in data 31.7.2009, 1218 e 1223 c.c. e 115 c.p.c., l’Azienda Ospedaliera ricorrente lamenta a carico della Corte terr itoriale l’erroneità della pronunzia di accoglimento della pretesa risarcitoria, sotto un primo profilo per tradursi questa in una monetizzazione del diritto vietata dalla disciplina contrattuale e, sotto un secondo profilo, per aver erroneamente fondato la prova del danno sulla mancata contestazione del quantum della domanda.
Il primo motivo risulta infondato alla stregua dell’orientamento accolto da questa Corte (cfr. Cass. n. 5547/2021 emessa nei confronti della medesima Azienda Ospedaliera ma già Cass. n. 31137/2019) per cui deve ritenersi correttamente interpretata la dispo sizione contrattuale di cui all’art. 29 del contratto integrativo del 20.9.2001 nel senso del collegamento del diritto alla mensa alla fruizione di un intervallo di lavoro, risultando tale collegamento operato anche in sede legislativa ove l’intervallo è previsto per la consumazione del pasto ed è collocato oltre il limite delle sei ore di lavoro;
Parimenti infondato si rivela il secondo motivo avendo la Corte territoriale riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in relazione all’inadempimento dell’obbligo contrattuale, implicante, per il principio della perpetuatio obligationis, il
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ristoro per equivalente della perdita subita, equivalente dato dal valore complessivo dei buoni pasto non percepiti, il cui valore dichiarato di euro 5,16 per ogni turno lavorato non è mai stato in discussione.
Il ricorso va, dunque, rigettato senza attribuzione delle spese, per non aver la Raco svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1- bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 3 giugno 2025.
La Presidente
(NOME COGNOME
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