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Buoni pasto: diritto per turni oltre 6 ore

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di una dipendente del settore sanitario a ricevere i buoni pasto, o il loro controvalore economico, per ogni turno di lavoro superiore alle sei ore. L’ordinanza stabilisce che il diritto alla pausa, previsto dalla legge per turni lunghi, è strettamente collegato al diritto alla consumazione del pasto. Di conseguenza, se l’azienda non fornisce il servizio mensa, deve corrispondere un’indennità sostitutiva. La Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda ospedaliera, la quale sosteneva che il diritto spettasse solo in caso di impossibilità di lasciare il luogo di lavoro, consolidando un importante principio a tutela dei lavoratori turnisti.

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Pubblicato il 24 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Buoni Pasto: La Cassazione Conferma il Diritto per Turni Oltre le Sei Ore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per i lavoratori del settore sanitario e, per estensione, per tutti i dipendenti con orari di lavoro prolungati. La Suprema Corte ha stabilito che il diritto alla pausa, quando il turno supera le sei ore, implica il diritto alla mensa o, in alternativa, ai buoni pasto. Se l’azienda non garantisce nessuno dei due, è tenuta a risarcire il lavoratore. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dalla domanda di una dipendente di un’azienda ospedaliera, impiegata come turnista. La lavoratrice chiedeva il riconoscimento del suo diritto a ricevere i buoni pasto o, in subordine, il pagamento di un controvalore in denaro di 5,16 euro per ogni turno di lavoro eccedente le sei ore. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla dipendente, condannando l’azienda ospedaliera.

La decisione dei giudici di merito si basava sull’interpretazione combinata del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto Sanità e della normativa generale sull’orario di lavoro (D.Lgs. 66/2003). Secondo i giudici, il diritto alla pausa previsto dalla legge per i turni superiori a sei ore coincide con il diritto alla consumazione del pasto e, di conseguenza, al servizio mensa. Poiché la lavoratrice, a causa della sua turnazione e delle sue mansioni, non poteva usufruire del servizio mensa, le spettava il diritto ai buoni pasto.

L’azienda ospedaliera, non accettando la condanna, ha presentato ricorso in Cassazione.

Il Ricorso dell’Azienda e i motivi sui buoni pasto

L’azienda ha basato il suo ricorso su due motivi principali:

1. Errata interpretazione delle norme: Secondo l’azienda, il diritto alla mensa non è automaticamente collegato alla pausa, ma sorge solo quando il lavoratore non ha la possibilità di pranzare fuori dall’ambiente di lavoro, circostanza che, a suo dire, non era stata provata.
2. Monetizzazione vietata: In subordine, l’azienda lamentava che la condanna al pagamento di un controvalore economico si traduceva in una monetizzazione del diritto, vietata dalla disciplina contrattuale, e che la prova del danno era stata erroneamente fondata sulla semplice mancata contestazione dell’importo.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi del ricorso, confermando le sentenze precedenti. I giudici supremi hanno chiarito che l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello è corretta e in linea con l’orientamento consolidato della stessa Cassazione.

Il primo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha ribadito che la disposizione contrattuale (art. 29 del contratto integrativo del 20.9.2001) collega inequivocabilmente il diritto alla mensa alla fruizione di un intervallo di lavoro. Questo collegamento è rafforzato dalla legge stessa, che prevede un intervallo proprio per la consumazione del pasto quando l’orario di lavoro supera il limite delle sei ore. Non è quindi necessario dimostrare l’impossibilità di allontanarsi dal luogo di lavoro; il superamento delle sei ore di turno è condizione sufficiente per far sorgere il diritto.

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha spiegato che la richiesta della lavoratrice non era una semplice monetizzazione, ma una richiesta di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale. L’azienda, non fornendo né il servizio mensa né i buoni pasto, è venuta meno a un suo obbligo. In base al principio della perpetuatio obligationis, l’obbligazione non adempiuta si converte nell’obbligo di risarcire il danno. Tale danno è stato correttamente quantificato nel valore dei buoni pasto non percepiti, un importo che l’azienda stessa non aveva mai contestato nel corso del giudizio.

Conclusioni

La decisione della Cassazione è di grande importanza pratica. Essa consolida il diritto dei lavoratori a una pausa retribuita che includa la possibilità di consumare un pasto a carico del datore di lavoro quando l’impegno giornaliero supera le sei ore. L’ordinanza chiarisce che non si tratta di un beneficio accessorio, ma di un diritto contrattuale e legislativo legato al benessere psico-fisico del lavoratore. Qualora il datore di lavoro sia inadempiente, non fornendo né la mensa né i ticket sostitutivi, è tenuto a risarcire il dipendente con una somma equivalente al valore del pasto, senza che il lavoratore debba fornire prove ulteriori se non quella del mancato adempimento.

Un dipendente ha diritto ai buoni pasto se il suo turno di lavoro supera le sei ore?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il diritto alla pausa lavorativa per turni superiori alle sei ore, previsto dalla legge, è strettamente collegato al diritto alla consumazione del pasto. Questo fa sorgere il diritto al servizio mensa o, in sua assenza, a misure sostitutive come i buoni pasto.

Cosa succede se il datore di lavoro non offre il servizio mensa o i buoni pasto a cui il dipendente ha diritto?
Se il datore di lavoro non adempie all’obbligo di fornire il servizio mensa o i buoni pasto, commette un inadempimento contrattuale. Di conseguenza, è tenuto a risarcire il danno al lavoratore. Il risarcimento è solitamente pari al controvalore economico dei buoni pasto non corrisposti.

Il diritto al pasto dipende dalla possibilità o meno di allontanarsi dal luogo di lavoro durante la pausa?
No. La Corte ha chiarito che il diritto non è subordinato alla dimostrazione dell’impossibilità per il dipendente di pranzare fuori dall’ambiente di lavoro. Il diritto sorge per il solo fatto di aver effettuato un turno lavorativo eccedente le sei ore, che per legge e per contratto dà diritto a una pausa finalizzata anche alla consumazione del pasto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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