Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20447 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20447 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
Oggetto: Personale ex COIME rapporto di lavoro disciplinati dal diritto privato Art. 9, comma 17, d.l. n. 78/2010
Dott.
NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott.
NOME
SARRACINO
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10701/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI PALERMO,
-intimato – avverso la sentenza n. 1008/2021 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 19/10/2021 R.G.N. 1027/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
La Corte d’appello di Palermo, nella contumacia del Comune di Palermo, ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME intesa ad ottenere la condanna del Comune di Palermo al pagamento delle differenze retributive maturate nel periodo 1° agosto 2015 / 30 aprile 2016.
A fondamento dell’azione l’originaria ricorrente aveva dedotto di essere dipendente del Comune di Palermo assegnata al servizio Coordinamento Interventi di Manutenzione Edile (COIME) e di essere stata assunta con contratto a tempo indeterminato di diritto privato e con applicazione del CCNL per i dipendenti delle imprese edili ed affini.
Aveva precisato che la contrattazione nazionale applicabile ai rapporti era stata rinnovata in date 19 aprile 2010 e 1° luglio 2014 ed inoltre era stato anche stipulato il 18 giugno 2012 il contratto integrativo per la Provincia di Palermo. Gli aumenti contrattuali erano stati riconosciuti dal Comune al personale COIME limitatamente all’anno 2010 e non per gli anni successivi, essendo intervenuto il d.l. n. 78 del 31 maggio 2010 che aveva previsto misure di contenimento del costo del personale.
Peraltro, con sentenza n. 178 del 2015 la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni con le quali era stata disposta la sospensione della contrattazione collettiva, sicché a partire dalla pubblicazione della pronuncia citata il Comune era tenuto, ad avviso della ricorrente, a corrispondere ai dipendenti assoggettati alla disciplina di diritto privato gli aumenti previsti dai contratti collettivi sopra citati.
La Corte d’appello (condividendo le argomentazioni del Tribunale) ha valorizzato la natura pubblica del datore di lavoro,
pacificamente ricompreso nel comparto della Pubblica Amministrazione, ed ha evidenziato che l’art. 9 del d.l. n. 78/2010 aveva escluso qualsiasi possibilità di recupero delle procedure negoziali sospese ed altrettanto aveva fatto la Corte Costituzionale, nel rimettere al legislatore, una volta dichiarata l’illegittimità del blocco della contrattazione, i modi e le forme attraverso le quali «dare nuovo impulso all’ordinaria dialettica contrattuale».
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.
Il Comune di Palermo non ha svolto difese.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 36, 39 e 97 Cost., in relazione alla disciplina di cui agli accordi per il rinnovo del CCNL per i dipendenti delle imprese edili e affini del 19.4.20101.7.2014, nonché del contratto integrativo per la Provincia di Palermo del 18.6.2012 in relazione all’art. 9 d.l. n. 78/2010 convertito dalla legge n. 122/2010 e dall’art. 16, comma 1, lett. b) del d.l. n. 98/201, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, dalla legge n. 111/2011, come specificato dall’art. 1, comma 1, lett. c), primo periodo, del d.p.r. n. 122/2013.
Addebita, in sintesi, alla Corte territoriale di avere travisato i principi espressi dalla Corte Costituzionale nella motivazione della sentenza n. 178/2015, che ha escluso la totale assimilazione del lavoro pubblico a quello privato e ha limitato la pronuncia alla sola contrattazione collettiva disciplinata dal d.lgs. n. 165/2001, alla quale non può essere assimilata la contrattazione di diritto privato, pacificamente applicabile al rapporto dedotto in giudizio.
Aggiunge che il Comune di Palermo nel bilancio di previsione del 2018, smentendo la diversa interpretazione sostenuta in sede
giudiziale, aveva previsto lo stanziamento di risorse per procedere al riallineamento dei livelli retributivi ai minimi previsti dal contratto nazionale per il settore dell’edilizia privata.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver apoditticamente aderito alla ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di prime cure senza tener conto del fatto che in data 15 marzo 2018, in occasione di un incontro tra le organizzazioni sindacali ed il Sindaco di Palermo, quest’ultimo aveva comunicato la volontà dell’ente di procedere al riallineamento dei livelli retributivi con il contratto nazionale di riferimento.
Aggiunge che tale intendimento era stato formalmente ratificato con nota del 30 marzo 2018, mai contestata dall’Amministrazione resistente, e che ai fini del suddetto riallineamento la delibera della Giunta Comunale n. 141 del 4 ottobre 2018 aveva espressamente indicato un’apposita voce di spesa nel documento unico di programmazione che in occasione di un incontro tra le rappresentanze sindacali e il Sindaco di Palermo, avvenuto in data 15/3/2018 si era anticipata la volontà del Comune di procedere al riallineamento dei livelli retributivi con il contratto nazionale di riferimento confermandosi l’intendimento dell’Amministrazione di reperire le risorse per il pagamento degli arretrati.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la nullità della sentenza ex art. 132 cod. proc. civ. e la violazione degli artt. 115, 116 e 118 cod. proc. civ.
Lamenta che la Corte territoriale non si sia pronunciata sulle questioni poste con l’atto di appello limitandosi ad aderire al provvedimento del Tribunale ed a riproporne il percorso argomentativo.
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
5. Come da questa Corte già evidenziato nelle decisioni nn. 1866, 1867, 1868 e 1869 del 2025, su vicende analoghe, al personale assegnato al Coordinamento Interventi di Manutenzione Edile (COIME) il Comune di Palermo ha applicato il CCNL per i dipendenti delle imprese edili ed affini perché originariamente si era avvalso dell’autorizzazione alla conclusione di contratti di diritto privato concessa dal d.l. 12 febbraio 1986 n. 24, convertito dalla legge 9 aprile 1986 n. 96, che, all’art. 1, nello stanziare un contributo straordinario in favore dell’ente territoriale da destinare « ad interventi indifferibili ed urgenti di manutenzione e salvaguardia del territorio, nonché del patrimonio artistico e monumentale della città », aveva previsto, al comma 2, che « all’esecuzione degli interventi di cui al comma precedente il comune provvede sotto la direzione dei propri uffici tecnici. Ove occorra, il comune può far ricorso a contratti di diritto privato a termine per l’utilizzazione, sino ad un massimo di mille unità, di lavoratori, avviati dall’ufficio di collocamento, residenti nel comune di Palermo ed iscritti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, nelle liste di collocamento con qualifiche del settore edilizio. I predetti contratti non possono avere durata superiore a sei mesi e sono rinnovabili, per comprovate esigenze, una sola volta per altri sei mesi ».
La natura privatistica dei rapporti (espressamente affermata dal legislatore) e la specialità della normativa dettata dal citato d.l. sono state rimarcate dalla giurisprudenza di questa Corte, sia pure con pronunce risalenti nel tempo (cfr. Cass. S.U. 24 febbraio 1996 n. 1470 e Cass. 9 luglio 2003 n. 10809), e devono essere necessariamente apprezzate ai fini della soluzione qui controversa, inerente all’applicabilità dell’art. 9, comma 17, del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010 n. 122, e delle disposizioni con le quali è stato poi esteso alle annualità successive il cosiddetto blocco della contrattazione, quanto alle disposizioni di carattere economico.
5.1. Il citato art. 9 prevede una serie di disposizioni di contenimento della spesa del personale delle amministrazioni pubbliche e, al comma 1, stabilisce che « Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d’anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo e quarto periodo, per le progressioni di carriera comunque denominate, maternità, malattia, missioni svolte all’estero, effettiva presenza in servizio, e dall’articolo 8, comma 14, fatto salvo quanto previsto dal comma 17, secondo periodo ».
Questa Corte ha già interpretato la disposizione in parola e, in fattispecie nelle quali venivano in rilievo rapporti non ricompresi nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 165/2001, ha rilevato che « il tenore letterale della norma non dà adito a dubbi quanto alla nozione di amministrazioni pubbliche accolta, perché il legislatore non ha richiamato il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, bensì la L. n. 196 del 2009, art. 1, che, al dichiarato fine di perseguire gli obiettivi di finanza pubblica enunciati al comma 1, include nelle amministrazioni pubbliche tutti “gli enti e gli altri soggetti individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari” ». Ne ha tratto la conseguenza che lì dove « il D.L. n. 78 del 2010 utilizza la locuzione, ampia e onnicomprensiva, “amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione” il riferimento nominalistico riguarda tutti “gli enti e i soggetti” inseriti negli elenchi redatti dall’ISTAT” » (Cass. n. 5673/2002 pronunciata in continuità con Cass. n. 6264 del 2019 e Cass. n. 33628 del 2021).
Sulla base dei richiamati principi, condivisi dal Collegio e qui ribaditi, il congelamento del trattamento retributivo previsto dal comma 1 dell’art. 9 d.l. n. 78/2010 si estende, quindi, anche ai rapporti di diritto privato facenti capo agli enti inseriti nel conto consolidato dello Stato, a prescindere dall’applicabilità o meno del d.lgs. n. 165/2001 che, non a caso, non è richiamato nella disposizione in commento, la quale individua la platea dei destinatari attraverso il rinvio alla legge n. 196 del 2009.
5.2. A diverse conclusioni, invece, si giunge quanto alle disposizioni limitative della contrattazione ed in particolare al comma 17 dell’art. 9, con il quale il legislatore ha previsto che « Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 20102012 del personale di cui all’articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni. Si dà luogo alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013, 2014 e 2015 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica. È fatta salva l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale nelle misure previste a decorrere dall’anno 2010 in applicazione dell’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203 ».
Con il successivo d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011 n. 111, il legislatore ha rimesso alla fonte secondaria regolamentare, per quel che qui rileva, « b) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei
trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime; c) la fissazione delle modalità di calcolo relative all’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017; » ed è stato, quindi, emanato il d.P.R. 4 settembre 2013 n. 122 che, all’art. 1, oltre a prorogare sino a tutto il 2014 la misura di contenimento prevista dal comma 1 del citato art. 9, ha anche previsto che « c) si dà luogo, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche così come individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica. Per il medesimo personale non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall’anno 2011; d) in deroga alle previsioni di cui all’articolo 47 -bis, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ed all’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 303, per gli anni 2013 e 2014 non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento di incrementi a titolo di indennità di vacanza contrattuale che continua ad essere corrisposta, nei predetti anni, nelle misure di cui all’articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto -legge 31 maggio 2010, n. 78. L’indennità di vacanza contrattuale relativa al triennio contrattuale 2015- 2017 è calcolata secondo le modalità ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti in materia e si aggiunge a quella corrisposta ai sensi del precedente periodo ».
La disposizione regolamentare è stata, poi, superata dalla legge 27 dicembre 2013 n. 147 che, all’art. 1, commi 452 e 453, ha previsto che: « 452. Per gli anni 20152018, l’indennità di vacanza contrattuale da computare quale anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all’atto del rinnovo contrattuale ai sensi dell’articolo 47 -bis,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è quella in godimento al 31 dicembre 2013 ai sensi dell’articolo 9, comma 17, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni. 453. All’articolo 9, comma 17, del decreto -legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «Si dà luogo alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013 e 2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica ».
Infine, con la legge n. 190 del 23 dicembre 2014, art. 1, comma 254, è stata estesa a tutto il 2015 la disciplina dettata dal più volte citato art. 9, comma 17, del d.l. n. 78 del 2010 (all’art. 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, le parole: « negli anni 2013 e 2014 » sono sostituite dalle seguenti: « negli anni 2013, 2014 e 2015 ).
5.3. Il tenore letterale della disposizione da ultimo citata e dei successivi interventi additivi e modificativi induce a ritenere che la stessa possa trovare applicazione unicamente alla contrattazione collettiva di diritto pubblico, ossia a quella disciplinata dal d.lgs. n. 165/2001, art. 47, ed in tal senso si esprime con chiarezza anche la motivazione della sentenza n. 178/2015 della Corte Costituzionale che, oltre a richiamare le differenze tuttora esistenti fra lavoro pubblico e lavoro privato (punto 9.2.), evidenzia le particolarità della contrattazione collettiva di diritto pubblico e sottolinea anche che il blocco di quest’ultima trovava giustificazione nell’intento di «governare una voce rilevante della spesa pubblica che aveva registrato una
crescita incontrollata sopravanzando l’incremento delle retribuzioni del settore privato» (punto 12).
D’altro canto la pronuncia della Corte, lì dove fa riferimento all’intervento del legislatore finalizzato a dare nuovo impulso, all’esito della dichiarazione di incostituzionalità alla dialettica contrattuale, non può che essere riferita ai contratti di diritto pubblico, non a quelli di diritto privato, interessanti solo marginalmente ed in ipotesi del tutto eccezionali, le amministrazioni pubbliche, amministrazioni che sulla stessa non possono incidere in quanto governata da soggetti privati, ai quali non si riferivano i limiti posti alla contrattazione ex d.lgs. n. 165/2001.
5.4. Conforta questa interpretazione anche il rilievo che il legislatore, nel disporre il blocco della contrattazione, ha anche dettato contestualmente una specifica disciplina in tema di indennità di vacanza contrattuale, della quale è stata prevista l’erogazione, a decorrere dall’anno 2010, nella misura prevista dall’art. 2, comma 35, della legge n. 203/2008.
Quest’ultima disposizione, a sua volta, si riferisce alle trattative per il rinnovo dei contratti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni condizionate dalle previsioni di spesa contenute nella legge finanziaria (recita, infatti, la disposizione alla quale il comma 17 dell’art. 9 rinvia: « Dalla data di presentazione del disegno di legge finanziaria decorrono trattative per il rinnovo dei contratti del personale di cui agli articoli 1, comma 2, e 3, commi 1, 1-bis e 1-ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per il periodo di riferimento previsto dalla normativa vigente. Dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria le somme previste possono essere erogate, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, salvo conguaglio all’ atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro . In ogni caso a decorrere dal mese di aprile è erogata l’indennità di vacanza contrattuale. Per i rinnovi contrattuali del biennio economico
2008-2009, in relazione alle risorse previste, la presente disposizione si applica con riferimento al solo anno 2009, ferma restando l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per l’anno 2008. Per il personale delle amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dalle amministrazioni statali, i relativi oneri sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell’articolo 48, comma 2, del predetto decreto legislativo n. 165 del 2001» ) il che rende evidente che si è in presenza di una normativa che, oltre a presupporre la scadenza del contratto collettivo ed il suo mancato rinnovo, coinvolge unicamente la contrattazione dei comparti delle amministrazioni pubbliche e non si può estendere a quella dei settori privati, non rimessa all’iniziativa delle amministrazioni pubbliche e non volta direttamente a disciplinare i rapporti da queste ultime instaurati.
5.5. Ha quindi errato la corte territoriale nel ritenere che, all’esito della pronuncia della Corte Costituzionale, il Comune di Palermo non fosse tenuto a riconoscere gli aumenti retributivi, nel frattempo intervenuti, stabiliti dalla contrattazione nazionale per il personale delle imprese edili e dal contratto integrativo provinciale, pacificamente applicata al rapporto di lavoro che qui viene in rilievo in forza del d.l. n. 96/1986, senza che nessuno ne prospetti in questa sede l’illegittimità. Il riallineamento, infatti, non era impedito né dall’art. 9, comma 17, del d.l. n. 78/2010 né dal comma 1 dello stesso articolo, che aveva limitato il divieto di incremento, questo sì applicabile anche ai rapporti di diritto privato, al solo periodo 2010/1013, poi prorogato a tutto il 2014.
In via conclusiva il ricorso merita accoglimento e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame tenendo conto di quanto sopra evidenziato e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione