Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26667 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 26667 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2025
SENTENZA
sul ricorso 21411-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1208/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/03/2024 R.G.N. 2066/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03/07/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Oggetto
RETRIBUZIONE RAPPORTO PRIVATO
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 03/07/2025
PU
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udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega avvocato NOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 26 marzo 2024, la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE confermava la decisione resa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE e accoglieva la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la condanna della Società datrice al pagamento delle differenze retributive maturate in suo favore a seguito degli aumenti contrattuali contemplati in sede di rinnovo del CCNL del settore Commercio/Terziario per il periodo 1.3.2015/31.1.2019, in cui la Società non aveva dato corso all’erogazio ne, assumendo di essere vincolata, quale società interamente partecipata da RAGIONE_SOCIALE, al blocco degli stipendi, per concorrere con la controllante al contenimento della spesa pubblica.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto di doversi conformare alla pronunzia n. 178/2015, con la quale la Corte costituzionale, in un’ottica di bilanciamento tra il principio di contenimento della spesa pubblica, costituzionalizzato con l’introduzione nell’art. 81, comma 1, Cost . dell’obbligo di pareggio di bilancio, e i principi dell’equa retribuzione e della libertà sindacale, ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’estensione al 2015 delle misure che inibiscono la contrattazione economica, già definite eccezionali per gli anni 2013-2014, ciò riflettendo una tendenza a rendere strutturale il regime del ‘blocco’ incompatibile con gli invocati parametri e di dovere, nella stessa prospettiva di coerenza dell’esigenza di contemperamento tra gli invocati principi
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costituzionali, interpretare il comma 6 dell’art. 19, d.lgs. n. 175/2016 nel senso che l’obbligo di garantire il concreto perseguimento degli obiettivi di contenimento dei costi di funzionamento, ove relativi agli oneri contrattuali, resta subordinato all’ adozione di provvedimenti da recepire in sede di contrattazione di secondo livello, di modo che, in assenza di contratti collettivi che abbiano dettato una tale disciplina derogatoria, deve dirsi sussistere il diritto dell’istante ai rivendicati aumenti contrattuali.
Per la cassazione di tale decisione ricorre RAGIONE_SOCIALE, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE.
Il Procuratore Generale ha depositato la sua requisitoria concludendo per l’accoglimento del ricorso.
Sono in atti memorie di entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la Società ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, commi 5 e 6, d.lgs. n. 175/2016, lamenta a carico della Corte territoriale l’erronea interpretazione della norma invocata, assumendo come la lettura datane contrasti, oltre che con il dettato normativo, con la stessa richiamata pronunzia della Corte costituzionale che ha ritenuto il regime del blocco della contrattazione in violazione del solo principio di libertà sindacale ma non del principio dell’e qua retribuzione.
Con il secondo motivo, articolato in più punti, la Società ricorrente, denuncia sotto altro profilo la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, commi 5 e 6, d.lgs. n. 175/2016.
Deduce che la riduzione degli oneri contrattuali non richiede necessariamente il recepimento della contrattazione di secondo livello e sostiene che l’inciso « ove possibile » contenuto -al
comma 5 ( rectius , comma 6) – nella norma di cui alla rubrica sarebbe da intendere nel senso che, anche qualora l’accordo con le organizzazioni sindacali non dovesse essere raggiunto, occorrerebbe dare prevalenza al necessario rispetto degli obiettivi posti dall’ente contr ollante. Secondo la ricorrente, la particolare condizione delle società partecipate con operatività in house imporrebbe l’invariabilità delle spese generali, tra cui quelle del personale, che costituiscono la voce più rilevante dei costi fi ssi, al fine di assicurare che gli oneri economici per l’ente controllante si mantengano al disotto del valore di libero mercato ed evitare uno sforamento destinato a tradursi in un sostanziale aggravio per i bilanci del socio pubblico. In secondo luogo, la Società ricorrente lamenta l’erronea interpretazione della norma invocata sotto il diverso profilo per cui la lettura accolta non tiene conto dell’essere la Società medesima soggetta al controllo analogo di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE quale socio unico, controllo che per esercitarsi sugli obiettivi gestionali, sulla struttura nei confronti degli organismi societari, sull’attività è tale da limitare l’autonomia della partecipata riflettendosi anche sul piano delle relazioni sindacali. Il motivo, dopo avere fatto riferimento anche alle norme regolamentari ed alle previsioni di legge sui piani degli obiettivi, evidenzia come questi ultimi sin dal 2016 non prevedessero alcuna voce destinata al riconoscimento di voci retributive aggiuntive e menziona gli indirizzi impartiti dalla P.A. committente con lettera del 24.10.2018, in termini di contenimento dei costi, secondo una linea previamente sollecitata, anche al fine di rispettare gli indirizzi della giurisprudenza contabile, già in una precedente comunicazione di RAGIONE_SOCIALE alla controllante RAGIONE_SOCIALE.
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Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, d.l. n. 78/2010, del d.P.R., n. 122/2013 come trasfuso nella legge di stabilità per il 2014 e dell’art. 1, comma 254, l. n. 190/2014, imputa alla Cort e territoriale l’erronea interpretazione dell’invocato complesso normativo, dato che la lettura del medesimo secondo la stessa impostazione accolta dalla Corte predetta ovvero alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 178/2015 imponeva il riconoscimento del diritto con decorrenza successiva dall’1.1.2016.
L’eccezione di inammissibilità contenuta nel controricorso e finalizzata a far constare che esso avrebbe avuto il fine di proporre un diverso accertamento nel merito è infondata, in quanto il ricorso pone questioni giuridiche, denunciando la violazione di specifiche norme interne e comunitarie.
I motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, data la loro stretta connessione e presupponendo essi la ricostruzione complessiva dell’assetto giuridico della fattispecie.
Questa RAGIONE_SOCIALE non ha mai dubitato che la disciplina dei rapporti di lavoro con le società partecipate da enti pubblici, ivi comprese le società destinate alla gestione c.d. in house di servizi pubblici, sia quella comune ai rapporti di lavoro quali regolati dal codice civile e dalle regole sul lavoro privato e che anche la contrattazione collettiva di riferimento sia quella privatistica, e non quella regolata dal d.lgs. n. 165 del 2001.
Ciò è ora sancito espressamente dal d. lgs. n. 175 del 2016, non solo con la previsione generale (art. 1, co. 3) secondo cui « per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato », ma anche, con riferimento ai
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rapporti di lavoro, con la specifica statuizione (art. 19, co. 1) per cui « salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi ».
Conclusioni analoghe sono state peraltro assunte anche per i periodi antecedenti a tali previsioni normative.
Come spiegato da Cass. 1 dicembre 2022, n. 35421, le « Sezioni Unite di questa Corte da tempo hanno affermato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società, la quale resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 29078/2019, Cass. S.U. n. 21299/2017, Cass. S.U. n. 7759/2017, Cass. S.U. n. 26591/2016) ».
Ivi poi aggiungendosi che « l’orientamento espresso, condiviso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stat. Ad. Plen. n. 10/2011), è stato fatto proprio dal legislatore che già con l’art. 4, comma 13, del d.l. n. 95 del 2012, nel testo risultante all’esito della conversione disposta dalla legge n. 135 del 2012, aveva previsto, con norma dichiarata espressamente di interpretazione autentica, che «le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente
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stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali ».
In tale quadro di fondo si innestano rigorosi allineamenti alla disciplina comune di diritto civile, con distanziamenti netti dal sistema del pubblico impiego, come è per la ritenuta piena applicabilità dell’art. 2103 c.c. in tema di mansioni superiori (Cass. 1 settembre 2023 n. 25590; Cass. 35421/2022, cit.), ma anche varianti rispetto agli schemi puramente privatistici, espressamente previste dalla normativa (in tema di reclutamento e di conferimento di incarichi dirigenziali, v. art. 18, co. 1, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con mod., in legge n. 133 del 2008 -su cui v. Cass. 14 settembre 2022, n. 27126 e poi, in tema di reclutamento, art. 19, co. 2 del d. lgs. n. 175 del 2016).
Lo schema di fondo è peraltro comunque quello privatistico e solo se previsto esplicitamente dalle norme può ammettersi che vi siano scostamenti, perdendo altrimenti di senso giuridico la gestione dell’attività, seppure di interesse pubblico, con strumenti societari.
Ricostruendo l’evolversi della disciplina si rileva quindi che l’art. 18, co. 2bis del d.l. n. 112 cit., nel testo introdotto con d.l. n. 78 del 2009, conv., con mod., in legge. n. 102 del 2009, ha previsto che le società partecipate non destinate ad attività di carattere industriale o commerciale ed in particolare le partecipate c.d. in house -ovverosia che « siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara » -« adeguano … le proprie politiche di personale alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze ».
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Ciò ha giustificato il fatto che, nel vigore di tale previsione, si sia ritenuta l’invalidità di una clausola negoziale di riconoscimento di un superminimo e quindi un trattamento non previsto dalla contrattazione collettiva (Cass. 27 novembre 2024, n. 30578), sul presupposto che la norma primaria realizzasse l’estensione ai rapporti di lavoro con tali società dei « principi che presiedono alla corresponsione della retribuzione nell’ambito del lavoro pubblico contrattualizzato, vietando il riconoscimento di trattamenti economici diversi da quelli stabiliti dalla contrattazione collettiva ».
Di seguito, la normativa ha conosciuto una evoluzione in senso diverso.
Per effetto delle modifiche apportate con l’art. 1, co. 557 della legge n. 147 del 2013, il co. 2bis , cit., è mutato, con riferimento ai trattamenti economici del personale, nel senso che alle società partecipate -oltre che ad altre entità che qui non interessano – « si applicano, altresì, le disposizioni che stabiliscono, a carico delle rispettive pubbliche amministrazioni locali, obblighi di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze, attraverso misure di estensione al personale dei soggetti medesimi della vigente normativa in materia di vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria. A tal fine, su atto di indirizzo dell’ente controllante, nella contrattazione di secondo livello è stabilita la concreta applicazione dei citati vincoli alla retribuzione individuale e alla retribuzione accessoria, fermo restando il contratto RAGIONE_SOCIALE di lavoro vigente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, comma 7, del presente decreto, le società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica sono escluse
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dall’applicazione diretta dei vincoli previsti dal presente articolo. Per queste società, l’ente locale controllante, nell’esercizio delle prerogative e dei poteri di controllo, stabilisce modalità e applicazione dei citati vincoli assunzionali e di contenimento delle politiche retributive, che verranno adottate con propri provvedimenti ».
Quindi, con le successive modifiche apportate dall’art. 4, co. 12 -bis del d.l. n. 66 del 2014, conv. con mod. in legge n. 89 del 2014, si è ribadito che le società partecipate « si attengono al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale », stabilendosi altresì che « A tal fine l’ente controllante, con proprio atto di indirizzo, tenuto anche conto delle disposizioni che stabiliscono, a suo carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, definisce, per ciascuno dei soggetti di cui al precedente periodo, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera. Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo adottano tali indirizzi con propri provvedimenti e, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, gli stessi vengono recepiti in sede di contrattazione di secondo livello fermo restando il contratto RAGIONE_SOCIALE in vigore al 1º gennaio 2014 ».
Il testo è stato quindi ulteriormente modificato con l’art. 3, co. 5-quinquies del d.l. n. 90 del 2014, conv. con mod in legge n. 114 del 2014, nel senso che « Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo si attengono al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale. A tal fine l’ente controllante, con
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proprio atto di indirizzo, tenuto anche conto delle disposizioni che stabiliscono, a suo carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, definisce, per ciascuno dei soggetti di cui al precedente periodo, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera. Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo adottano tali indirizzi con propri provvedimenti e, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, gli stessi vengono recepiti in sede di contrattazione di secondo livello ».
-bis, è stato poi modificato dal d. lgs. n. 175 del 2016, e la disciplina del tema, quanto alle società partecipate,
L’art. 18, co. 2 è confluita nell’art. 19, co. 5 e 6 dello stesso d.lgs.
A tale comma 5 è stato previsto – per quanto qui interessa – che « le amministrazioni pubbliche socie fissano, con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale ».
Al comma 6 si è invece stabilito che « le società a controllo pubblico garantiscono il concreto perseguimento degli obiettivi di cui al comma 5 tramite propri provvedimenti da recepire, ove possibile, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, in sede di contrattazione di secondo livello ».
Nell’interpretare la normativa sopra citata e già con riferimento al testo dell’art. 18, co.2 -bis quale vigente in esito alle modifiche apportate con il d.l. n. 66 del 2014 cit., ma con estensione del ragionamento al testo dell’art. 19, co. 5 e 6 citt., questa S.C. ha evidenziato alcuni tratti caratterizzanti del sistema.
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In particolare, secondo Cass. 27 settembre 2023, n. 27466, argomentata richiamando anche i principi di Cass. 35421/2022, cit., il « chiaro tenore letterale dell’art. 19, quinto comma, d.lgs. 175/2016, analogamente a quanto stabilito dal previgente art. 18, comma 2bis d.l. 118/2008 conv. con mod. in legge n. 133/2008 (come sostituito dall’art. 4, comma 12 bis d.l. 66/2014 conv. con mod. in legge n. 89/2014), il legislatore abbia fissato una regola di comportamento per gli amministratori delle partecipate, incidente sul rapporto che si instaura fra il socio pubblico e la società, potenziale fonte di responsabilità, eventualmente anche erariale; senza, tuttavia, che da quell’obbligo si possa inferire la nullità degli atti adottati dalla società in violazione delle direttive date dal socio pubblico, non avendo il legislatore previsto un meccanismo analogo a quello adottato per l’impiego pubblico contrattualizzato ».
Concludendosi quindi, in quella sede, per l’impossibilità di ritenere legittima la revoca unilaterale di un superminimo riconosciuto in sede negoziale.
Dal quadro normativo sopra delineato discendono evidenti conseguenze giuridiche, in piena continuità e sviluppo dei principi interpretativi già espressi da questa S.C., e sopra riepilogati.
L’impossibilità per la società o l’ente controllante di intervenire unilateralmente rispetto ad un superminimo attribuito in sede di contrattazione individuale, neanche sotto il profilo del rifiuto di dare esecuzione alla clausola, sta a significare non solo che non vi è nullità, ma anche che i diritti riconosciuti dalle fonti regolative del rapporto non sono derogabili dalla parte datoriale.
E così come non lo è il contratto individuale che riconosca certi benefici, anche la contrattazione collettiva non può essere
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superata, se non con le forme previste dalla normativa stessa, che richiama appunto -a partire dal testo dell’art. 18, co. 2 -bis conseguente all’art. 1, co. 557 della legge n. 147 del 2013 – la necessità che la revisione dei costi sia assecondata da contrattazione di secondo livello.
Il che, al di là di varianti nella formulazione che non appaiono tali da modificare il senso della normativa, è rimasto tratto caratterizzante anche nelle successive modifiche dell’art. 18, co. 2-bis, cit. e del successivo art. 19, co. 6, del d. lgs. n. 175 del 2016, cit.
È quindi solo la contrattazione di secondo livello a poter disporre in senso riduttivo di diritti economici precedentemente riconosciuti.
Del resto, il richiamo delle norme citate a tale contrattazione sarebbe sostanzialmente inutile, se a disporre in senso derogatorio bastassero atti unilaterali del datore di lavoro o dell’ente controllante.
Ed anzi, tenuto conto che la contrattazione in ambito di lavoro privato – a cui si assimila il lavoro alle dipendenze delle partecipate -è parametro di valutazione della adeguatezza e sufficienza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., non sarebbe facile avallare tout court l’esistenza di poteri unilaterali riduttivi in capo al datore di lavoro o di chi per esso.
Il sistema va invece inteso in una logica diversa, non sconosciuta alla pregressa giurisprudenza di legittimità proprio in tema di art. 36 Cost. (Cass. 31 gennaio 2012, n. 1415; Cass. 20 settembre 2007, n. 19467), da allineare all’opportunità che, in situa zioni eccezionali in cui si manifesti l’esigenza di riduzione dei costi, sia proprio la contrattazione di prossimità, in presenza di idonea rappresentatività, ad essere abilitata ad intervenire in proposito; d’altra parte, è evidente la possibile concretez za di
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un interesse dei lavoratori nel loro insieme ad una contrattazione che, riducendo i costi, possa servire a seriamente realizzare l’obiettivo di evitare interventi riduttivi del personale.
Nella logica quale sopra ricostruita assume poi un senso anche l’inciso, contenuto nell’art. 19, co. 6, in ordine al fatto che « ove possibile » i provvedimenti finalizzati a ridurre i costi siano da recepire nella contrattazione di secondo livello.
Infatti, ritenere che quest’ultima contrattazione sia soltanto eventuale priverebbe la norma di una portata giuridica propria, perché, se la riduzione fosse ammessa in via unilaterale, non vi sarebbe necessità di richiamare l’ipotesi del recepimento nella contrattazione.
L’inciso si spiega invece nella logica, di cui a Cass. 27466/2023 e Cass. 35421/20922, citt., secondo cui le norme impongono agli amministratori di tenere certi comportamenti finalizzati alla riduzione dei costi e dunque mirati a fare in modo che la contrattazione di secondo livello recepisca le misure in tal senso da essi adottate.
Ciò, però « ove possibile », nel senso che nessuna responsabilità, per il solo fatto che ciò non avvenga, potrebbe essere addebitata agli amministratori che si siano attivati in tal senso, pur senza ottenere il risultato, non coercibile, dell’accordo in sede sindacale e fermo resta ndo l’obbligo di perseguire altrimenti i risparmi da realizzare, così come, in ipotesi, ferma la responsabilità di chi abbia cagionato eccessi di spesa precedentemente posti in essere in violazione delle regole di buona amministrazione.
Quanto sopra porta ad escludere la fondatezza dei motivi di ricorso nella parte in cui essi intenderebbero attribuire rilievo ad indirizzi unilaterali dell’ente controllante o degli
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amministratori della partecipata, perché quanto conta è che non vi siano stati gli accordi di secondo livello, che soltanto avrebbero potuto comportare deroghe ai diritti economici spettanti ai lavoratori secondo le fonti regolative del rapporto fino ad allora in essere.
Quanto dibattuto in causa va tuttavia misurato anche rispetto alla normativa sul c.d. blocco retributivo e contrattuale.
L’art. 9, co. 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. con mod. in legge n. 122 del 2010, ha stabilito il blocco retributivo per gli anni 2011, 2012 e 2013, con riferimento alle « amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’RAGIONE_SOCIALE ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 ».
Il blocco è stato poi prorogato fino al 31.12.2014 dall’art. 1, co.1, lett. a) del d.p.r. n. 122 del 2013, emanato in attuazione di quanto previsto dall’articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
Contestualmente, l’art. 4, co. 11 del d.l. n. 95 del 2012, conv., in legge n. 135 del 2012, ha previsto, per le « società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato » (art. 4, co. 1, del citato d.l. n. 95) che « a decorrere dal 1° gennaio 2013 e fino al 31 dicembre 2014 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle società di cui al comma 1, ivi compreso quello accessorio, non può superare quello ordinariamente spettante per l’anno 2011 ».
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RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in sé non rientra nell’elenco RAGIONE_SOCIALE citato, né possono avere corso in sede di legittimità valutazioni su atti di bilancio al fine di avallare ricostruzioni in fatto destinate a comprovare la ricorrenza delle condizioni di ‘consolidamento’ c he potrebbero comportare l’estensione alla ricorrente di quegli effetti.
Analogamente, non può svolgersi in sede di legittimità una valutazione rispetto al rientrare di RAGIONE_SOCIALE nell’ambito dei requisiti di fatto di cui alle disposizioni dell’art. 4 del d.l. n. 95 del 2012 sopra citato.
Al di là di quanto appena detto, la questione giuridica va in realtà risolta sul piano della disciplina propria dei trattamenti economici del personale delle società partecipate, quale evolutasi a partire dalla legge n. 147 del 2013 e sopra ricostruita.
Richiamando quanto precedentemente argomentato, è chiaro che fino a quegli sviluppi normativi, per effetto del testo allora vigente dell’art. 18, co. 2 -bis del d.l. n. 112 del 2008 cit., le dinamiche retributive ed i vincoli rispetto ad esse imposte agli enti controllanti erano destinate ad operare anche per le società controllate, indipendentemente da richiami formali di altre disposizioni successive.
A partire dalla disciplina dell’art. 18, co. 2 -bis cit. quale introdotta della legge n. 147 del 2013 cit. -non a caso contestualmente abrogativa in modo espresso dell’art. 4 del d.l. n. 95 del 2012 -è l’intero sistema dell’adeguamento dei trattamenti economici dei dipendenti delle partecipate a mutare, secondo i tratti sopra ricostruiti e destinati a porre al centro la contrattazione collettiva di secondo livello come mezzo di adeguamento strutturale, ma rispettoso della natura
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puramente civilistica del rapporti e della contrattazione collettiva applicabile.
È quindi a questo sistema -in sé tale da superare quanto precedentemente previsto o regolato -che deve farsi riferimento da quel momento storico in poi.
Ne deriva, indipendentemente da altri dati formali, che proprio sul piano sostanziale la normativa di blocco non può dirsi riferibile, in relazione agli incrementi del CCNL di diritto privato maturati nel 2015 e che sono oggetto di causa, ai dipendenti delle società partecipate.
Rispetto ad essi varrebbero semmai accordi di secondo livello che però, come si è detto, non vi sono mai stati.
Da quanto appena detto deriva l’erroneità, per il periodo oggetto di causa, del richiamo a Corte Costituzionale n. 178 del 2015, che ha avuto riguardo al diverso tema del blocco contrattuale rispetto al lavoro presso gli enti pubblici non economici, ai qua li soli si riferisce il comma 17 dell’art. 9 d.l. n. 78/2010, chiaro nel limitare la sospensione della contrattazione al personale di cui agli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 165/2001, dipendente delle amministrazioni pubbliche indicate nell’art. 1 dello stesso decreto. In tal senso questa Corte si è già espressa evidenziando (in fattispecie nella quale venivano in rilievo rapporti di diritto privato instaurati, in forza di specifica previsione di legge, da amministrazione pubblica) che « si è in presenza di una normativa che, oltre a presupporre la scadenza del contratto collettivo ed il suo mancato rinnovo, coinvolge unicamente la contrattazione dei comparti delle amministrazioni pubbliche e non si può estendere a quella dei settori priva ti, non rimessa all’inizi ativa delle amministrazioni pubbliche e non volta direttamente a disciplinare i rapporti da queste ultime instaurati » (Cass. 27 gennaio 2025 n. 1866).
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I motivi di ricorso che argomentano su asserite erronee interpretazioni di quella pronuncia sono quindi parimenti da disattendere.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La novità e la complessità delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE nella pubblica udienza del 3 luglio 2025
Il AVV_NOTAIO relatore La Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME