Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22053 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 22053 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 312-2023 proposto da:
COGNOME nella qualità di erede di COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 318/2022 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 23/06/2022 R.G.N. 798/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
R.G.N. 312/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 09/04/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Reggio Calabria, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’odierna ricorrente volta a contrastare la sospensione, a decorrere da marzo 2015, dei benefici ottenuti in forza di sentenza definitiva, per la morte del figlio, vittima della criminalità organizzata.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale premetteva che il provvedimento contestato era conseguente a verifiche successive alla pronuncia dichiarativa del diritto alle provvidenze e, pertanto, non vi era questione alcuna di giudicato e/o di situazioni intangibili.
Per la Corte di appello, era decisiva la considerazione che un altro figlio della COGNOME aveva procedimenti penali, anche per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, e pertanto ricorreva una condizione ostativa assoluta al mantenimento delle prestazioni, vale a dire la sussistenza di procedimenti penali a carico di parenti ed affini entro il quarto grado.
Avverso la decisione, ha proposto ricorso NOME COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME con tre motivi. Ha resistito, con controricorso, il Ministero. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
La causa, già fissata in adunanza camerale e, poi, all’udienza pubblica del 9 aprile 2024, è stata nuovamente rinviata, all’odierna udienza, in attesa della pronuncia della
Corte costituzionale sulla questione di legittimità dell’art. 2 quinquies D.L. nr. 151 del 2008.
Il PG ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è dedotta -ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c.- la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nonché degli artt. 1, 2, 9 bis della legge nr. 302 del 1990 nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 c.p.c.- nullità della sentenza.
Parte ricorrente assume la violazione del giudicato formatosi per effetto della sentenza nr. 212/2013 della Corte di appello di Reggio Calabria. In particolare, deduce che la estraneità della Proietto agli ambienti malavitosi era già stata accertata con pronuncia definitiva, intervenuta nella vigenza della nuova normativa; pertanto, alcun diverso accertamento al riguardo sarebbe stato possibile effettuare.
Con il secondo motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1,2,4, 7, 9 bis della legge nr. 302 del 1990, dell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, dell’art. 34, comma 1, della legge nr. 222 del 2007 e dell’art. 2, comma 105, della legge nr. 244 del 2007, per avere la sentenza impugnata, successivamente alla domanda di concessione dei benefici, valutato i mutamenti normativi intervenuti per il conseguimento degli stessi; in tal modo contravvenendo ai principi della Corte, costituenti diritto vivente, che qualificano la speciale elargizione in termini di diritto soggettivo, intangibile dopo il suo riconoscimento.
Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c.di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 quater della legge nr. 186 del 2008 e dell’art. 2 quinquies
del DL nr. 151 del 2008 ( convertito con legge nr. 186 del 2008), come modificato dall’art. 2, comma 21, della legge nr. 94 del 2009 nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 4 c.p.c.- nullità della sentenza, per avere la Corte di appello erroneamente applicato la normativa sopravvenuta alla fattispecie di causa.
Le censure si prestano ad una trattazione congiunta perché, nel loro complesso, investono la pronuncia della Corte di appello per aver ritenuto applicabile la disposizione di cui all’art. 2quinquies della legge nr. 186 del 2008, come modificata dall’art. 2, comma 21, della legge nr. 94 del 2009, alla fattispecie di causa in cui i benefici sono stati riconosciuti in forza di pronuncia definitiva intervenuta nel 2013.
Opportuno muovere dal nucleo motivazionale centrale che sostiene la decisione qui censurata.
La Corte di appello di Reggio Calabria ha premesso come «l’oggetto del contendere (riguardasse) la permanenza del diritto (a beneficiare dell’elargizione ai superstiti di cui all’art. 4 della legge nr. 302 del 1990) a partire dal provvedimento del 17 marzo 2015». Il Ministero dell’Interno aveva, infatti, sospeso, da tale data, l’erogazione della prestazione in favore di NOME Rosa a seguito della trasmissione di una nota del 27 ottobre 2014 della Prefettura di Reggio Calabria «da cui emergevano precedenti giudiziari a carico di parenti ed affini entro il quarto grado tra cui il figlio della COGNOME, COGNOME gravato d(a) vicende giudiziarie anche per associazioni di stampo mafioso (e) destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale ed avviso orale con obbligo di soggiorno e ritenuto gravitare nell’ambito della cosca NOME COGNOME»; ciò che delineava, successivamente alla pronuncia passata in cosa giudicata, una situazione ostativa all’erogazione del beneficio.
In altre parole, per i giudici territoriali, era decisivo, ai fini dell’esclusione del diritto al mantenimento dell’elargizione, la
verifica di sussistenza di un rapporto di parentela con persona nei cui confronti ricorrevano le condizioni di cui all’art. 2 quinquies , comma 1, lett. a) del D.L. nr. 151 del 2008 convertito in legge n. 281 del 2008, a prescindere da ogni altro accertamento che, in concreto, denotasse la sopraggiunta intraneità della beneficiaria ad ambienti e rapporti delinquenziali.
10. Così motivata la pronuncia impugnata, le censure di cui ai motivi di ricorso sono sicuramente da accogliere alla luce dello ius superveniens rappresentato dalla sentenza della Corte Costituzionale nr. 122 del 2024.
È noto che l’art. 2quinquies del d.l. n.151/2008 e succ. mod. ha stabilito determinati limiti alla concessione dei benefici di legge ai superstiti della vittima della criminalità organizzata.
La norma, nel testo vigente fino all’emanazione della sentenza della Corte Costituzionale n.122 del 2024, così stabiliva: « 1. Ferme le condizioni stabilite dall’articolo 4 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, e successive modificazioni, i benefici previsti per i superstiti sono concessi a condizione che: a) il beneficiario non risulti coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3bis , del codice di procedura penale; b) il beneficiario risulti essere del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali, ovvero risulti, al tempo dell’evento, già dissociato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava. 2. Il sopravvenuto mutamento delle condizioni previste dagli articoli 1 e 4 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, e successive modificazioni,
comporta l’interruzione delle erogazioni disposte e la ripetizione integrale delle somme già corrisposte».
La Corte Costituzionale, con la sentenza n.122 del 2024, innanzi indicata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, limitatamente alle parole «parente o affine entro il quarto grado», dell’art. 2quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina), inserito dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificato dall’art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
Pertanto, all’attualità, il beneficio dell’elargizione ex art.4 della legge nr. 302 del 1990 non è più automaticamente escluso per i superstiti della vittima che risultino «parente o affine entro il quarto grado» di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3bis, del codice di procedura penale (di recente, Cass. nr. 6962 del 2025) mentre resta impregiudicato il giudizio di non meritevolezza, da esprimersi alla stregua delle ulteriori condizioni fissate dal medesimo art. 2quinquies cit.
Per quanto qui più rileva e in estrema sintesi, il Giudice delle Leggi, ricostruita la finalità del beneficio in oggetto e riconosciuta la discrezionalità del legislatore nell’individuare presunzioni assolute di indegnità, ha osservato, come le presunzioni devono essere sempre corroborate da massima di esperienza plausibili che rispecchiano l’id quod plerimque accidit.
Ha ritenuto, di contro, che la norma censurata non rispettasse i criteri indicati, perché la legittima finalità di scongiurare che i beneficiari non siano persone meritevoli era perseguita con mezzi sproporzionati. Il sistema, infatti, già prevede, in modo efficace, la necessità che il beneficiario sia radicalmente estraneo ad un contesto criminale, come richiesto, ai sensi della lettera b), della medesima disposizione.
Irragionevole e contraddittoria, per la Corte Costituzionale, risultava, dunque, l’originaria presunzione (estesa ai parenti e affini fino al quarto grado), dovendosi considerare, da un lato, che la vasta categoria di persone presa in considerazione dalla norma è caratterizzata da una diversa – e talvolta tenue – intensità del vincolo familiare e, dall’altro, che la condizione ostativa finisce per pregiudicare proprio coloro che si dissociano dal contesto familiare e che, per tale scelta di vita, sperimentano una condizione esistenziale connotata da maggiore difficoltà.
Inoltre, la presunzione di legge finiva per violare il diritto di agire e difendersi in giudizio, non consentendo la dimostrazione della meritevolezza dei benefici.
Permane, in ogni caso, come già detto, il giudizio di meritevolezza quale elemento costituivo del diritto al riconoscimento -e al mantenimento- della elargizione e nell’apprezzamento in concreto dell’estraneità alle logiche e alle gerarchie proprie del mondo criminale, come non manca di indicare la stessa Corte Costituzionale, i vincoli di parentela o di affinità richiedono un vaglio ancor più incisivo e penetrante.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Catanzaro si è arrestata ad un giudizio di esclusione del beneficio per la sussistenza di un rapporto di parentela che ha ritenuto, ex se, ostativo al beneficio. Ha dunque fatto applicazione di
quell’automatismo che lo ius superveniens ha invece caducato.
15. Sotto tale profilo -e in virtù del criterio della ragione più liquida- le censure di cui ai motivi di ricorso devono accogliersi; restano impregiudicate le ulteriori questioni controverse.
La causa va, pertanto, rinviata alla Corte di appello di Catanzaro che, in diversa composizione e nel rispetto dei principi indicati, dovrà procedere ad un nuovo accertamento delle condizioni di sussistenza del diritto al mantenimento dei benefici di legge. Il Giudice di rinvio regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa, per l’effetto, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 aprile 2025.
La Consigliera est. La Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME