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Benefici amianto: quando spetta la maggiorazione?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32189/2024, ha chiarito le condizioni per ottenere la maggiorazione dei benefici amianto. Il beneficio con coefficiente 1,5 spetta solo se cessa completamente l’attività lavorativa aziendale che espone al rischio amianto, non essendo sufficiente la chiusura di una singola unità produttiva. La Corte ha cassato la decisione d’appello che aveva concesso la maggiorazione a un lavoratore il cui stabilimento era stato chiuso, mentre l’azienda continuava l’attività in altre sedi. Per ottenere il beneficio, è necessario che tutti i lavoratori esposti all’amianto nell’intera impresa siano collocati in mobilità a seguito della cessazione totale di tale specifica attività.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Benefici Amianto: La Cassazione Chiarisce Quando Spetta la Maggiorazione

La questione dei benefici amianto per i lavoratori esposti a questo materiale nocivo torna al centro di una recente pronuncia della Corte di Cassazione. Con la sentenza n. 32189 del 2024, i giudici supremi hanno fornito un’interpretazione restrittiva della norma che concede una rivalutazione contributiva maggiorata, specificando che la chiusura di un singolo stabilimento non è sufficiente per accedere a tale diritto. Analizziamo insieme la vicenda e i principi stabiliti dalla Corte.

I Fatti di Causa

Un lavoratore, dopo anni di esposizione all’amianto in un’unità produttiva successivamente chiusa, aveva richiesto all’Ente Previdenziale la rivalutazione della propria anzianità contributiva. In particolare, chiedeva l’applicazione del coefficiente maggiorato di 1,5, previsto da una specifica normativa (L. n. 190/2014), in luogo di quello ordinario di 1,25 già riconosciuto. La richiesta si basava sul fatto che lo stabilimento presso cui operava aveva cessato l’attività e tutti i dipendenti erano stati collocati in mobilità.

La Decisione della Corte d’Appello

In seconda istanza, la Corte d’Appello aveva dato ragione al lavoratore. Secondo i giudici di merito, la chiusura dell’unità produttiva di riferimento e la conseguente messa in mobilità di tutti i suoi dipendenti erano elementi sufficienti per integrare i requisiti di legge. Era stata considerata irrilevante la circostanza che l’impresa avesse mantenuto attivi altri stabilimenti in diverse città. Contro questa decisione, l’Ente Previdenziale ha presentato ricorso in Cassazione.

L’Interpretazione dei benefici amianto secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Ente, ribaltando la decisione d’appello. Il punto cruciale della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 1, comma 115, della legge n. 190/2014. Questa norma riconosce la maggiorazione con coefficiente 1,5 ai lavoratori esposti all’amianto per oltre dieci anni, ma solo a condizione che vi sia una “cessazione dell’attività” e la collocazione in mobilità di tutti i lavoratori.

Secondo la Cassazione, il concetto di “cessazione dell’attività” non può essere limitato alla singola unità produttiva o a un singolo stabilimento. Al contrario, deve essere inteso come la cessazione completa dell’intera attività lavorativa svolta dall’impresa che comporta esposizione all’amianto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha fondato la sua decisione su un’interpretazione sistematica della normativa, collegando la legge sui benefici amianto a quella sui licenziamenti collettivi (L. n. 223/1991). I giudici hanno spiegato che la chiusura di un singolo stabilimento, con la prosecuzione dell’attività in altre sedi, si configura come una “riduzione o trasformazione dell’attività”, non come una “cessazione totale”.

Per avere diritto alla maggiorazione, è necessario che ricorrano due condizioni cumulative:
1. La cessazione completa e definitiva dell’attività produttiva aziendale che esponeva i lavoratori all’amianto.
2. La conseguente collocazione in mobilità di tutti i lavoratori addetti a tale attività, anche se dislocati in più siti produttivi dell’impresa.

Di conseguenza, la Corte d’Appello ha errato nel limitare la propria indagine al solo stabilimento in cui operava il lavoratore. Avrebbe dovuto, invece, accertare se l’attività fonte di esposizione all’amianto fosse cessata completamente a livello aziendale e se tutti i lavoratori esposti, in tutti gli stabilimenti, fossero stati collocati in mobilità.

Le Conclusioni

La sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio di diritto. In pratica, per i lavoratori che richiedono la maggiorazione dei benefici amianto, non sarà più sufficiente dimostrare la chiusura del proprio impianto. Sarà necessario provare che l’intera filiera produttiva aziendale legata al rischio amianto è stata dismessa. Questa decisione impone un onere probatorio più gravoso per il lavoratore e stabilisce un criterio più rigoroso per l’accesso a un beneficio previdenziale di notevole importanza.

A quali condizioni spetta la maggiorazione dei benefici amianto con coefficiente 1,5?
La maggiorazione spetta solo se cessa completamente l’attività lavorativa dell’intera impresa che comporta esposizione ad amianto e se tutti i lavoratori addetti a tale attività vengono collocati in mobilità.

La chiusura di un singolo stabilimento è sufficiente per ottenere la maggiorazione?
No, la sentenza chiarisce che la chiusura di una singola unità produttiva non è sufficiente se l’azienda continua a svolgere la medesima attività, che espone ad amianto, in altri stabilimenti.

Cosa deve accertare il giudice per concedere questo beneficio?
Il giudice deve verificare se l’attività lavorativa fonte di esposizione all’amianto sia cessata completamente a livello aziendale (e non solo in un sito) e se, di conseguenza, tutti i lavoratori esposti al rischio in tutti gli stabilimenti dell’impresa siano stati collocati in mobilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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