Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24449 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24449 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 207-2024 proposto da
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura conferita in calce al ricorso per cassazione, dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio eletto presso l’indirizzo PEC del difensore
-ricorrente –
contro
ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, in virtù di procura conferita in calce al controricorso, dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, in ROMA, INDIRIZZO
–
contro
ricorrente
–
per la cassazione della sentenza n. 1056 del 2023 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata il 5 luglio 2023 (R.G.N. 1022/2022). Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 28
maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
R.G.N. 207/2024
COGNOME
Rep.
C.C. 28/5/2025
giurisdizione Contributi alla Gestione commercianti. Computo dei redditi d’impresa.
1. -Con sentenza n. 1056 del 2023, depositata il 5 luglio 2023, la Corte d’appello di Bari ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della pronuncia del Tribunale di Foggia, ha respinto il ricorso proposto dall’ingegnere NOME COGNOME allo scopo di escludere la quota di partecipazione agli utili dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE dalla base imponibile della contribuzione dovuta alla Gestione commercianti.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha evidenziato che la contribuzione fissa e quella a percentuale, dovute dal lavoratore autonomo, sono commisurate alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF per l’anno al quale i contri buti stessi si riferiscono.
Nel caso di specie, pertanto, occorre tener conto della «contemporanea compartecipazione del COGNOME ad un’impresa commerciale in qualità di legale rappresentante, da cui è scaturita la c.d. contribuzione fissa, e ad un’impresa individuale avente carattere commerciale in qualità di titolare, da cui è scaturita la c.d. contribuzione a percentuale, a nulla rilevando la natura dell’attività svolta in seno all’impresa individuale (nella specie, industriale)» (pagina 6 della sentenza d’appello).
Difatti, il dato letterale della disciplina vigente, anche alla luce dell’interpretazione delineata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 354 del 2001, non consente di operare alcuna distinzione in base alla «natura dell’attività dalla quale è scaturito un reddito di impresa, sia essa commerciale ovvero industriale» (pagina 7 della pronuncia impugnata).
In definitiva, si dimostra fondata la pretesa dell’Istituto, in quanto l’ingegnere COGNOME ha assunto sia la veste di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, società di capitali di natura commerciale, sia quella di «titolare di ditta individuale, equiparabile a quella di socio di società di persone, avente natura commerciale -la RAGIONE_SOCIALE dell’Ing. COGNOME Michele -con percezione di utili derivanti da entrambe e
conseguente obbligo di assoggettamento a contribuzione sulla totalità dei redditi» (pagina 8 della pronuncia d’appello).
-L’ingegnere NOME COGNOME ricorre per cassazione contro la sentenza d’appello , formulando due motivi di censura.
-L’INPS replica con controricorso.
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo, il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e, in particolare, sull’appartenenza dell’impresa RAGIONE_SOCIALE al settore industria e non al settore commercio.
-Con la seconda critica, il ricorrente deduce la violazione e l’errata applicazione dell’art. 3 -bis del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, e lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente applicato tale disciplina, riferita soltanto ai soci di società di persone aventi natura commerciale, anche all’ipotesi di esercizio di «attività imprenditoriale edile con una ditta individuale (RAGIONE_SOCIALE dell’Ing. COGNOME Michele» (pag ina 6 del ricorso per cassazione).
-Le censure, tra loro connesse, possono essere scrutinate congiuntamente e si dimostrano, nel loro complesso, infondate.
-Come si può desumere anche dagli stralci della sentenza impugnata riprodotti nei ‘Fatti di causa’, i giudici d’appello hanno tenuto conto dell’attività svolta dall’impresa RAGIONE_SOCIALE senza trascurare le deduzioni difensive dell’odierno ricorrente, e hanno affermato la sussistenza dell’obbligo di corrispondere la contribuzione, in coerenza con i princìpi oramai consolidati nella giurisprudenza di
questa Corte, che hanno puntualmente richiamato e ricostruito nei loro presupposti applicativi (pagina 9 della sentenza impugnata).
A tale riguardo assume importanza dirimente il rilievo che il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale, in quanto dedito a un ‘ attività lavorativa caratterizzata da tutti i requisiti indispensabili per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, debba includere nella base imponibile, sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d ‘ impresa, così come definiti dalla disciplina fiscale.
Si devono considerare, dunque, tutti i redditi che derivano dall ‘ esercizio di attività imprenditoriale (art. 55 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917), in base a un’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 3 -bis del d.l. n. 384 del 1992 (Cass., sez. lav., 12 dicembre 2017, n. 29779; di recente, Cass., sez. lav., 4 luglio 2023, n. 18892), avvalorata anche dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 354 del 2001).
5. -Il legislatore ha scelto d’includere nella base imponibile anche redditi che non trovano causa nell’attività di lavoro e ha configurato una base imponibile incentrata sulla totalità dei redditi d’impresa e così corrispondente a quella operativa n ell’àmbito tributario.
In tal modo, si attua «la convergenza, pur nella rispettiva autonomia di regimi, tra disciplina fiscale e disciplina previdenziale, quanto alla definizione proprio della base imponibile, a testimonianza di una esigenza di tendenziale armonizzazione in materia» (sentenza n. 354 del 2001, cit., punto 6 del Considerato in diritto ).
Nel vagliare la legittimità costituzionale del citato d.l. n. 384 del 1992, il giudice delle leggi ha rilevato che la contribuzione previdenziale è ancorata «alla totalità dei redditi d ‘ impresa denunciati ai fini IRPEF, e non più soltanto al reddito annuo derivante dall ‘ attività d ‘ impresa che dà titolo all ‘ iscrizione (art. 1 della legge n. 233 del 1990)» (ancora il punto 6 del Considerato in diritto ).
Su questo rilievo s’incardina la ratio decidendi della pronuncia impugnata (pagina 6), che ha rimarcato come l’amp io riferimento alla totalità dei redditi d’impresa , senza distinzioni di sorta, non si presti a essere inteso nel senso riduttivo che anche l’odierno ricorso propugna, trascurando di confutare in modo convincente la pertinenza dei princìpi di diritto enunciati in termini generali da questa Corte.
-Dalla base imponibile sono esclusi, per contro, i redditi di capitale (art. 44, comma 1, lettera e , del d.P.R. n. 917 del 1986), come quelli derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa (Cass., sez. lav., 20 agosto 2019, n. 21540).
Tale trattamento differenziato non è lesivo del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in considerazione delle differenze che intercorrono tra redditi di capitale e redditi d’impresa (sentenza n. 354 del 2001, cit., punto 4 del Considerato in diritto ).
-Nell’includere nella base imponibile, ai fini del computo della contribuzione dovuta, la totalità dei redditi d’impresa, la Corte di merito si è uniformata ai princìpi in esame, senza incorrere negli errores in iudicando denunciati nel ricorso.
-Dalle considerazioni illustrate deriva il rigetto del ricorso.
-Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, alla stregua del valore della controversia e dell’attività processuale svolta.
-Il rigetto del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro
2.500,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione