Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1430 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1430 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26289/2018 R.G. proposto da: REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente della Giunta regionale, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso la delegazione romana della Regione Puglia rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME
-ricorrente-
Contro
NOMECOGNOME quale erede di COGNOME NOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE BARI n. 2304/2018 depositata il 25/05/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza oggi impugnata il Tribunale di Bari ha respinto l’appello proposto dalla Regione Puglia avverso la sentenza del giudice di pace di Bari, che ha dichiarato cessata la materia del contendere nel giudizio di opposizione a una ordinanza ingiunzione emessa dalla Regione, poichè in rettifica di un errore materiale di un’altra precedente ordinanza, già annullata con sentenza passata in giudicato del giudice di pace di Bari nel 2005.
La Regione Puglia aveva proposto appello sostenendo la possibilità di emettere la seconda ordinanza in virtù del principio di autotutela che governa l’attività amministrativa; il resistente ha invece evidenziato la violazione del principio giuridico del bis in idem poiché sullo stesso fatto è intervenuto il giudicato.
Il Tribunale ha respinto l’appello rilevando che la Regione non aveva più il potere di emettere il provvedimento sanzionatorio, avendo consumato il relativo potere con l’emissione della prima ordinanza ingiunzione. il Tribunale ha rilevato che la Regione non avesse neppure il potere di operare la rettifica e che non si trattava di esercizio dell’autotutela, poiché la prima ordinanza era stata annullata dall’autorità giudiziaria con sentenza passata in giudicato, il che ha determinato la conclusione del relativo procedimento sanzionatorio con consumazione del relativo potere da parte della Regione; il carattere di rettifica del secondo provvedimento sarebbe stato compatibile eventualmente con l’annullamento in autotutela della prima ordinanza, ma solo se questo fosse avvenuto prima del ricorso all’autorità giudiziaria.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Regione Puglia affiandosi a sette motivi. Si è costituito resistendo l’erede dell’originario ingiunto.
La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 4 ottobre 2023.
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione di norme di diritto, la falsa presupposizione e il travisamento.
La parte ricorrente deduce che il giudice d’appello ha erroneamente ritenuto che l’ordinanza ingiunzione oggetto del presente giudizio costituisse provvedimento di rettifica della precedente ordinanza del 2005; invece questa ordinanza costituirebbe provvedimento amministrativo nuovo e del tutto autonomo rispetto a quello adottato in precedenza e annullato dal giudice di pace nel 2005, come risulta con chiarezza dal contenuto testuale della motivazione, ove premesso e richiamato l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione, si riformula una nuova ordinanza ingiunzione per il recupero del credito che trattasi; con ciò la Regione si è adeguata alla sentenza del giudice di pace ponendo in essere un provvedimento del tutto nuovo e ontologicamente diverso rispetto a quello precedente, finalizzato a ottenere la restituzione di una somma indebitamente percepita; non ai tratterebbe quindi di provvedimento rettificato, bensì di nuovo e autonomo provvedimento.
2.Con il secondo motivo del ricorso si lamenta l’ omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. La ricorrente deduce che anche ammettendo che la nuova ordinanza sia una rettifica di quella precedente, deve rilevarsi che l’ente ha correttamente e
completamente enunciato nel nuovo provvedimento le ragioni dell’ordinanza ingiunzione, che detta ordinanza ingiunzione è stata poi ritualmente notificata al debitore e che, richiamato il titolo a supporto della richiesta di pagamento e l’attività di notificazione, la Regione Puglia null’altro avrebbe potuto fare che intimare l’adempimento al debitore; di conseguenza sono stati rispettati i principi in tema di provvedimento di rettifica enunciati dal Consiglio di Stato, (sentenza n. 2306/2007) diversamente da quanto ritenuto dal giudice del merito.
3.- Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, carenza di motivazione. La parte lamenta che il giudice d’appello non avrebbe indicato una qualsivoglia ragione a sostegno della affermazione per cui il provvedimento di rettifica non sarebbe corrispondente ai criteri dettati dalla giurisprudenza amministrativa, limitandosi ad affermare che la funzione di rettifica potrebbe articolarsi secondo gli schemi già adottati.
4.- Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in particolare dell’art. 21 nonies della legge 241/1990. La ricorrente deduce che è erronea l’affermazione che la Regione sarebbe dovuta intervenire in autotutela prima del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento della prima ordinanza ingiunzione; il potere di autotutela è infatti distinto dal potere di riesame degli atti amministrativi. Il potere di autotutela è qualificabile in linea generale come il potere dell’amministrazione di rimuovere unilateralmente e autonomamente gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dell’interesse pubblico, e attraverso di esso
l’amministrazione può risolvere controversie attuali o potenziali relative ai propri provvedimenti, prescindendo dal ricorso all’autorità giudiziaria; osserva che secondo la giurisprudenza italiana il decorso del tempo non è in ogni caso ritenuto idoneo a precludere l’esercizio del potere di autotutela, bensì solo ad imporre la ponderazione degli interessi coinvolti e l’apprezzamento in ordine alla ragionevolezza del termine, cui fa riferimento l’art. 21 nonies cit. ratione temporis applicabile, è rimesso al l’ apprezzamento della pubblica amministrazione
5.- Con il quanto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto , con riferimento all’art. 21 nonies della legge 241/1990. La parte deduce che è erronea l’affermazione che il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’ordinanza ha determinato la conclusione del relativo procedimento sanzionatorio, perché l’amministrazione conserva sempre il potere di agire in autotutela anche in pendenza di giudizio; osserva inoltre che l’annullamento non contiene, in assenza di una specifica domanda, alcun accertamento negativo sul merito del credito della amministrazione.
6.- Con il sesto motivo del ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto, della legge 689/181 e del R.D. 639/1910 e la carenza assoluta di motivazione. La ricorrente censura l’affermazione che la Regione non avrebbe potuto emettere una seconda ordinanza in relazione al medesimo procedimento senza rispettare specifiche regole procedurali, osservando che nella sentenza in questione le predette ‘regole procedurali’ non sono state esplicitate. Rileva che è comunque inconferente il riferimento alla legge 689/1981, perché il Tribunale non si è avveduto che
l’emissione dell’ordinanza impugnata è avvenuta in applicazione della disciplina contenuta nel R.D. 639/1910 (Riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato) e non già di quella prevista dalla legge n. 689; l’errore di identificazione nella normativa applicabile applicata alla fattispecie dedotta in giudizio appare invero determinante per la decisione di rigetto, poiché la legge n. 689 presuppone lo svolgimento di un iter e l’adozione di atti non previsti invece dal R.D. n. 639/1910.
7.- Con il settimo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 21 nonies della legge 241/1990. La parte deduce che è censurabile la motivazione nella parte in cui afferma che la seconda ordinanza è illegittima perché emessa a due anni di distanza dalla prima in quanto l’art. 21 ratione temporis vigente prevede esclusivamente un termine ragionevole, non già un numero predeterminato di mesi e anni per provvedere all’annullamento in autotutela.
8.I motivi possono esaminarsi congiuntamente poiché scontano analoghi profili di inammissibilità.
La sentenza di appello ha accertato, in punto di fatto, che la seconda ordinanza ingiunzione – della quale si discute – era stata « emessa in rettifica di un errore materiale di altra precedente ordinanza annullata con sentenza passata in giudicato. L’appellante sosteneva la possibilità di emettere la seconda ordinanza in virtù del principio di autotutela governante l’attività amministrativa ». Muovendo da questo accertamento, il Tribunale ha -correttamente- applicato il principio che la rettifica non possa farsi dopo il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento (Cass. 3735/2004) nonché il consolidato principio secondo il
quale il potere di autotutela incontra il limite dato dal giudicato di merito (Cass. 7751/2019; Cass. 6329/2013).
A questi argomenti la Regione oppone censure contraddittorie, e che solo parzialmente si confrontano con le ragioni decisorie. La ricorrente, per un verso afferma che la seconda ordinanza è di rettifica (alla pagina 3 del ricorso afferma di avere preso atto ‘ d ell’ evidente errore di scritturazione ‘ che aveva provocato l’annullamento giurisdizionale del primo provvedimento , ed alla pagina 4 parla di ‘errore materiale’) , e tuttavia non spiega perché questa ‘rettifica’ non incontrerebbe il limite dell’autotutela sostitutiva – della quale è espressione dato da l giudicato di annullamento dell’atto da rettificare (Cass. 7751/2019). Per altro verso, la Regione sostiene che si è trattato di un nuovo e autonomo provvedimento cioè di un nuovo esercizio della pretesa impositiva/ di riscossione (in quanto l’ingiunto avrebbe percepito indebitamente un contributo), e che ciò è consentito in quanto non vi è stato alcun accertamento negativo sul merito del credito della amministrazione. Tuttavia, per sostenere adeguatamente questa tesi, la parte avrebbe dovuto trascrivere in ricorso entrambe le ordinanze ingiunzioni e non soltanto una piccola parte della seconda, e soprattutto avrebbe dovuto trascrivere la prima sentenza del giudice di pace onde verificare qual è il suo effettivo contenuto e la portata del giudicato stesso; o quantomeno avrebbe dovuto riassumerne in maniera compiuta i contenuti e ‘ localizzare ‘ i relativi i atti, nei termini enunciati da Cass. sez. un. n. 8950/2022, secondo la quale il principio di autosufficienza non si traduce in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso,
ma solo laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito.
In difetto di queste puntuali indicazioni, tutti i motivi sono inammissibili per difetto di autosufficienza e di specificità, in quanto la Corte non è posta in condizioni di verificare se effettivamente si tratti di una rettifica o di un nuovo esercizio della potestà impositiva/di riscossione e di verificare se la prima ordinanza ingiunzione è stata annullata per ragioni di merito, ovvero formali, a fronte di un accertamento di segno opposto operato dal giudice di merito.
Inconferente è poi il riferimento all’art 21 nonies della legge 241/1990 sul termine ragionevole per l’annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo , poiché qui non si discute del limite temporale che si vuole abbia la attività di autotutela, per ragioni di certezza nei rapporti tra l’amministrazione e il cittadino e per il rispetto del principio posto dall’art 97 Cost. , ma della prevalenza della tutela giurisdizionale, per cui non è consentito alla amministrazione utilizzare il potere di autotutela per eludere il giudicato.
9.Il ricorso è pertanto da dichiarare inammissibile, con la conseguente condanna alla spese del giudizio di legittimità.
Il controricorrente è ammesso al patrocino a spese dello Stato e il suo difensore ha chiesto la distrazione delle spese.
E’ da escludere che la richiesta di distrazione costituisca una implicita rinuncia al beneficio del patrocinio spese dello Stato, dal momento che il difensore non può disporre del diritto del suo assistito (Cass. sez. un n. 8561 del 26/03/2021). Di conseguenza,
stante la (persistente) ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la parte soccombente viene condannata ai sensi dell’art 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 al pagamento delle spese, non già alla parte vittoriosa, bensì allo Stato, e manca la condizione di accoglimento della domanda di distrazione, vale a dire la condanna della controparte a rimborsare le spese processuali alla parte difesa dal procuratore antistatario.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dello Stato ai sensi dell’art 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.400,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili spese forfettarie nella misura del 15 per cento, e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 04/10/2023.