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Autotutela Covid e licenziamento: quando è legittimo

Un lavoratore è stato licenziato per assenza, giustificandola come un atto di autotutela Covid per la presunta mancanza di misure di sicurezza aziendali. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento, dichiarando il ricorso inammissibile. È stato accertato che il lavoratore non ha provato l’inadempimento dell’azienda, la quale, al contrario, aveva adottato le cautele necessarie. L’assenza non era stata preannunciata né motivata secondo buona fede.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Autotutela Covid e Licenziamento: La Cassazione Fissa i Limiti

L’emergenza pandemica ha introdotto nuove sfide nel mondo del lavoro, in particolare riguardo al bilanciamento tra l’obbligo di prestazione lavorativa e il diritto alla salute. Un tema centrale è stato quello dell’autotutela Covid, ovvero la possibilità per un lavoratore di assentarsi per tutelare la propria incolumità di fronte a presunte mancanze del datore di lavoro. Con la sentenza n. 27357/2024, la Corte di Cassazione torna su questo delicato argomento, chiarendo i rigidi presupposti che rendono legittima tale condotta e confermando il licenziamento di un dipendente che non li aveva rispettati.

I Fatti di Causa: Un’Assenza Contestata

Il caso riguarda un autista di una società di trasporti, licenziato per essersi assentato ingiustificatamente dal lavoro il 13 marzo 2020. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo che la sua assenza fosse una legittima forma di autotutela. A suo dire, l’azienda non aveva adottato le necessarie misure di sicurezza per prevenire il contagio da Covid-19, mettendo a rischio la sua salute. Chiedeva quindi l’annullamento del licenziamento e il pagamento delle retribuzioni perse fino alla scadenza naturale del suo contratto a termine.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello hanno respinto le richieste del lavoratore, confermando la legittimità del licenziamento. I giudici hanno stabilito che le accuse del dipendente erano generiche e indimostrate. Al contrario, dalle prove raccolte (testimonianze e documenti) era emerso che l’azienda aveva effettivamente adottato cautele, come l’acquisto di dispositivi di protezione individuale (DPI) e l’implementazione di procedure di sanificazione. Inoltre, è stato sottolineato un aspetto cruciale: l’astensione dal lavoro non era stata né preannunciata né collegata esplicitamente alle presunte mancanze datoriali, violando così il principio di buona fede che deve sempre regolare il rapporto di lavoro.

Il Principio di Autotutela Covid nel Diritto del Lavoro

Il diritto del lavoratore di astenersi dalla prestazione lavorativa per tutelare la propria salute e sicurezza non è assoluto. Sebbene trovi fondamento in norme cruciali come l’art. 2087 c.c. (obbligo di sicurezza del datore di lavoro) e l’art. 44 del D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza), il suo esercizio è subordinato a condizioni precise. L’autotutela Covid, come ogni forma di eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), deve essere proporzionata alla gravità dell’inadempimento del datore di lavoro e gestita secondo correttezza e buona fede.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile, ponendo fine alla vicenda. La decisione si basa su un punto fondamentale del processo civile: il ruolo della Cassazione non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la corretta applicazione delle leggi.

Nel caso specifico, il ricorrente cercava di proporre una ricostruzione dei fatti diversa da quella accertata nei due gradi di giudizio precedenti. Le corti di merito avevano stabilito, con una valutazione insindacabile in sede di legittimità, che:
1. Le accuse di inadempimento all’obbligo di sicurezza erano rimaste indimostrate.
2. L’azienda aveva, al contrario, provato di aver adottato le cautele necessarie.
3. L’assenza del lavoratore non era stata comunicata in modo da poter essere considerata una legittima reazione a un’inadempienza aziendale.

Poiché il ricorso si basava su una versione dei fatti smentita in giudizio, le critiche formulate erano un mero dissenso rispetto alla valutazione delle prove, e non una vera e propria denuncia di violazione di legge. La Corte ha ribadito che non è possibile, in Cassazione, rimettere in discussione l’accertamento fattuale, soprattutto in presenza di una “doppia conforme”, ovvero due sentenze di merito con lo stesso esito.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Lavoratori e Aziende

La sentenza offre un’importante lezione pratica. Un lavoratore che intende astenersi dal lavoro per motivi di sicurezza deve agire con estrema cautela. Non è sufficiente percepire un rischio, ma è necessario essere in grado di dimostrare concretamente e specificamente l’inadempimento del datore di lavoro. Inoltre, è fondamentale agire secondo buona fede, comunicando preventivamente all’azienda le ragioni della propria astensione, per consentirle eventualmente di intervenire. Un’assenza improvvisa e immotivata, come nel caso esaminato, rischia di essere qualificata come un grave inadempimento contrattuale e di giustificare un licenziamento disciplinare.

Un lavoratore può assentarsi se ritiene che l’azienda non adotti misure di sicurezza adeguate, invocando l’autotutela Covid?
Sì, ma solo a condizioni molto rigorose. Deve dimostrare l’effettivo e grave inadempimento del datore di lavoro, che il pericolo sia concreto e che la sua astensione sia proporzionata e comunicata secondo il principio di buona fede.

Cosa deve provare il lavoratore per giustificare un’assenza come forma di autotutela?
Secondo la sentenza, il lavoratore ha l’onere di fornire prove specifiche degli inadempimenti del datore di lavoro. Affermazioni generiche non sono sufficienti. Nel caso di specie, è stato accertato che l’azienda aveva, al contrario, adottato le cautele necessarie.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di contestare un errore nell’applicazione della legge, tentava di ottenere una nuova valutazione dei fatti già accertati dai giudici di primo e secondo grado. La Cassazione non può riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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