Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9586 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9586 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15387-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1732/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/11/2018 R.G.N. 919/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 28/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
AUTOMATICITA’
PRESTAZIONI PREVIDENZIALI
R.G.N. 15387/2019
Ud. 28/02/2025 CC
Rilevato che
NOME COGNOME conveniva in giudizio l’INPS innanzi al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, chiedendo condannarsi l’Istituto ad accreditare la contribuzione omessa per il periodo 07/05/2008 -13/05/2013 e riconoscersi il suo diritto ad ottenere l’eroga zione della pensione supplementare a decorrere dal primo giorno successivo a quello di presentazione della domanda. Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, accoglieva la domanda ritenendo che il principio di automaticità della prestazion e previdenziale sancito dall’art. 2116 cod. civ. fosse applicabile anche ad un rapporto di lavoro parasubordinato, come quello intrattenuto dal ricorrente.
L’INPS ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano. NOME COGNOME si è costituito chiedendo il rigetto del gravame. La Corte di Appello di Milano, sezione lavoro, con la sentenza n. 1732/2018 depositata in data 12/11/2018 ha respinto l’appello e ha condannato l’Istituto alla rifusione delle spese di lite.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’INPS affidando l’impugnazione ad un unico motivo. NOME COGNOME si è costituito con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La parte ricorrente e la parte controricorrente hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 28/02/2025.
Considerato che
Con l’unico motivo di ricorso la difesa della parte ricorrente deduce violazione dell’art. 2 della legge 08/08/1995, n. 335 e dell’art. 2116 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3 cod. proc. civ.. In particolare, l’Istituto si duole che la sentenza impugnata abbia riconosciuto l’applicabilità del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali anche per le pensioni a carico della gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge 335/1995.
Va premesso che, come incontestato tra le parti, l’odierno controricorrente ha svolto attività lavorativa dal 2008 al 2013 in forza di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa rinnovatosi di anno in anno nei confronti di una società che, pur essendovi tenuta, non ha provveduto a versare i contributi dovuti nei confronti dell’INPS. Il controricorrente, iscritto alla gestione separata dell’INPS, con la domanda originaria ha chiesto la condanna dell’INPS alla prestazione della pensione supplementare che avrebbe maturato in ragione dell’applicazione del principio di automatismo delle prestazioni sancito dall’art. 2116 cod. civ..
L’INPS contesta, appunto, che detto principio possa applicarsi nella fattispecie perché non estendibile alla collaborazione coordinata e continuativa trattandosi di tutela specifica propria del lavoro subordinato.
Questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sulla specifica questione ed ha definito principi di diritto che il Collegio ritiene applicabili alla fattispecie e ai quali intende dare continuità.
Si consideri, in proposito, che: «il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali di cui all’art. 2116, comma 1, c.c. non si applica ai collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata, atteso che, ai sensi dell’art. 2 della l. n. 335 del 1995, essi sono personalmente obbligati alla contribuzione, restando irrilevante che l’art. 1 del d.m. n. 281 del 1996, ponga anche a carico dei committenti, nella misura dei due terzi, l’obbligo di versamento dei
contributi, trattandosi soltanto di una forma di delegazione legale di pagamento, diretta a semplificare la riscossione, che tuttavia non immuta i soggetti passivi dell’obbligazione contributiva. Qualora il committente abbia omesso il pagamento dei contributi dovuti, il collaboratore ha la facoltà di dichiarare all’INPS di assumere in proprio il debito relativo alla parte del contributo accollata al suo committente, salvo rivalersi nei confronti di costui per i danni, o, in alternativa, di agire nei confronti del committente per il risarcimento dei danni ex art. 2116, comma 2, c.c. ovvero di esercitare l’azione di cui all’art. 13 della l. n. 1338 del 1962 (Cass. 30/04/2021, n. 11430)».
5.1. Ed ancora: ai fini del riconoscimento della indennità di disoccupazione mensile denominata RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 22 del 2015, il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, sancito dall’art. 2116, comma 1, c.c., non si applica ai collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 (Cass. 26/11/2024, n. 30474).
5.2. In particolare, mantengono validità le argomentazioni spese nelle richiamate sentenze che valgono a definire la giurisprudenza consolidata di questa Corte, «il principio generale dell’automatismo delle prestazioni previdenziali, in forza del quale queste ultime spettano al lavoratore anche quando i contributi dovuti non siano stati effettivamente versati, mentre costituisce regola generale di tutte le forme di previdenza ed assistenza obbligatorie per i lavoratori dipendenti a prescindere da qualsiasi richiamo esplicito della relativa disciplina, essendo semmai necessaria, giusta l’insegnamento di Corte cost. n. 374 del 1997, una disposizione esplicita per derogarvi, non trova invece applicazione, in
difetto di specifiche disposizioni di legge o di una legittima fonte secondaria in senso contrario, nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale, in cui invece il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce di regola la stessa costituzione del rapporto previdenziale e comunque la maturazione del diritto alle prestazioni» (Cass., sez. lav., 30 aprile 2021, n. 11430, in motivazione). Né tale esclusione presta il fianco a censure d’irragionevolezza, «dal momento che nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale l’obbligazione contributiva grava sullo stesso lavoratore al quale compete il diritto alle prestazioni, il quale, coerentemente, non può che subire le conseguenze pregiudizievoli del proprio inadempimento» (sentenza n. 11430 del 2021, cit., in motivazione, con il richiamo alle pertinenti pronunce di questa Corte). Il principio di automaticità non può essere esteso a beneficio dei collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla Gestione separata sol perché l’art . 1 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 2 maggio 1996, n. 281, pone anche a carico dei committenti, nella misura dei due terzi, l’obbligo di versamento dei contributi. Invero, la fonte regolamentare configura soltanto una forma di delegazione legale di pagamento, che si prefigge di semplificare la riscossione, senza modificare, tuttavia, i soggetti passivi dell’obbligazione contributiva. L’assetto così delineato per il titolare di collaborazioni coordinate e continuative «non può certo comportare, rispetto al rapporto contributivo, alcuna equiparazione della sua situazione a quella del lavoratore subordinato» (sentenza n. 11430 del 2021, cit., in motivazione), cui s’indirizza la protezione apprestata dall’art. 2116 cod. civ. Al collaboratore coordinato e continuativo è concessa la facoltà, entro un congruo termine, individuato in
quello di prescrizione dei contributi, «di dichiarare all’INPS di rinunciare all’effetto privativo dell’accollo ex lege disposto in suo favore dall’art. 2, comma 30, legge n. 335/1995, e di assumere in proprio il debito relativo alla parte del contributo accollata al suo committente, salvo ovviamente rivalersi nei confronti di costui per i danni» (sentenza n. 11430 del 2021, cit., in motivazione). Il collaboratore coordinato e continuativo può, in alternativa, rivendicare il risarcimento dei danni (art. 211 6, secondo comma, cod. civ.) o esperire l’azione di cui all’art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, «trattandosi di disposizione che -come più volte riconosciuto da questa Corte di legittimità, sulla scorta dell’indicazione di Corte cost. n. 18 del 1995 -possiede quei connotati di generalità e astrattezza tali da consentirne l’applicazione a tutte le categorie di lavoratori non abilitati al versamento diretto dei contributi, ma sottoposti a tal fine alle determinazioni di altri soggetti (sentenza n. 11430 del 2021, cit., in motivazione). La posizione del collaboratore autonomo e continuativo non resta, dunque, sguarnita di tutela. Tali principi sono stati ribaditi a più riprese da questa Corte (da ultimo, Cass., sez. lav., 15 dicembre 2023, n. 35162; nello stesso senso, già Cass., sez. lav., 12 agosto 2022, n. 24753, e 17 marzo 2022, n. 8789), che, nella complessiva ricognizione del dato normativo, ha vagliato tutti gli argomenti prospettati dai giudici d’appello, escludendone la portata dirimente ai fini della soluzione estensiva addotta a fondamento della decisione impugnata.
La sentenza impugnata si è discostata dai principi di diritto in questione e, pertanto, il ricorso è fondato. La sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia va decisa nel merito con il rigetto della domanda originaria.
Le spese dell’intero giudizio vanno compensate perché l’orientamento della giurisprudenza di legittimità si è definito con chiarezza dopo la proposizione del ricorso di NOME COGNOME
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda di COGNOME NOMECOGNOME
compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta