Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19577 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19577 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5227-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Automatismo art. 2116 c.c. e rapporto di collaborazione continuativa e coordinata
R.G.N. 5227/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 28/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 76/2019 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 25/07/2019 R.G.N. 19/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Trento ha parzialmente riformato la pronuncia di primo grado di accoglimento della domanda di NOME NOME volta a conseguire l’accertamento del diritto a percepire la pensione di anzianità anticipata, in forza di totalizzazione, a d ecorrere dall’1/1/2017, includendo il periodo dal 2012 al 2016 durante il quale, nel corso di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, il datore di lavoro suo committente aveva omesso il versamento contributivo.
In particolare, l a Corte territoriale ha respinto l’appello dell’INPS ritenendo applicabile a tale tipo di rapporti la disciplina dell’art. 2116 c.c. prevista per il lavoro subordinato, reputando che si tratti non già di norma eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica, ma di norma speciale poiché prevede una disciplina diversa ma non contrastante con i principi che regolano la materia; l’automaticità delle prestazioni mira a non far ricadere sul lavoratore assicurato il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi e non vi sarebbe alcun ostacolo all’applicazione analogica dell’art. 2116 c.c. a fattispecie per le quali ricorra la medesima ratio. Peraltro, il collaboratore ha l’obbligo di iscrizione a lla gestione separata ex art. 2 comma 27 L.335/95 e la sua posizione differisce dal lavoratore autonomo al quale non si applica la citata disposizione codicistica atteso che in quest’ultimo caso il lavoratore che chiede la prestazione è lo stesso soggetto che
può sanare l’omissione contributiva a sé stesso addebitabile versando il dovuto pregresso e non prescritto.
Ritiene la Corte di merito che l’obbligazione del versamento contributivo per co.co.co. è strutturalmente e teleologicamente uguale al lavoro subordinato: le due categorie necessitano di eguale tutela ex art. 3 e 38 Cost. ed una diversa tesi porterebbe ad una irrazionale differenza di trattamento, come rilevato da Corte Cost. n. 18/1995. Nel confermare la pronuncia di primo grado, la Corte d’appello ha tutta via rilevato che, come segnalato da INPS, il richiedente dopo il rigetto della domanda amministrativa aveva intrapreso un nuovo lavoro al termine del quale aveva percepito l’indennità di disoccupazione, circostanza incompatibile con il trattamento pensionistico dall’1/1/2017, e ha sttuito per l’accertamento del diritto all’accreditamento della contribuzione per il periodo di iscrizione alla gestione separata, con maturazione del requisito contributivo e anagrafico per il trattamento della pensione di anzianità all’1/1/2017.
Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione INPS articolando un unico motivo, a cui il COGNOME resiste con controricorso.
Il ricorso è stato trattato e discusso nell’adunanza camerale del 28 gennaio 2025.
CONSIDERATO CHE
Nel suo unico motivo, il ricorrente istituto denuncia, in relazione all’art. 360, co.1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2 L.335/1995 e dell’art. 2116 cod. civ. per avere ritenuto i giudici d’appello applicabile il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali ai rapporti di collaborazione continuativa e coordinata, laddove la norma è
inserita nella disciplina del lavoro nell’impresa, ed è riferibile al solo lavoro subordinato; la normativa, di carattere generale riferibile al solo settore di lavoro dipendente, non opera, salve diverse disposizioni di legge, per i lavoratori autonomi; e la circostanza che anche il committente, come il datore di lavoro, versi (in percentuale) i contributi all’INPS non è sufficiente a fondare la generalità del principio, poiché il rapporto assicurativo per gli iscritti alla gestione separata è stato modellato dal legislatore secondo il paradigma della disciplina delle gestioni dei lavoratori autonomi, ed all’art. 29 co.2 L.335/95 è inoltre previsto che in caso di contribuzione annua inferiore all’importo calcolato sul minimale di reddito le mensilità da accreditare sono ridotte in proporzione alla somma versata, così correlandosi in modo rigoroso il periodo di copertura assicurativa all’importo della contribuzione effettivamente versata. Ed ancora, l’eventuale estensione della disciplina dell’automatismo del le prestazioni previdenziali può essere introdotta solo in forza di una specifica disposizione normativa in tal senso, come è accaduto ex art. 64-ter del d.lgs. 151/2001 con riferimento al riconoscimento ai lavoratori iscritti alla gestione separata del diritto alle prestazioni di indennità di maternità anche al caso di mancato versamento alla gestione dei contributi previdenziali da parte del committente: ciò dimostrerebbe che l’automaticità delle prestazioni non è regola di immediata e generale applicazione ma necessita di una specifica espressa disposizione. Richiama quindi un orientamento giurisprudenziale (Cass. 13934/2015) con il quale è stato negato che le prestazioni a carico della gestione speciale siano, di regola, assistite dalla garanzia della automaticità, dovendosi applicare ai rapporti di co.co.co. il regime giuridico previdenziale del lavoro autonomo.
Nel controricorso, rammentato che la domanda di pensione anticipata era stata respinta per mancanza di 2080 contributi settimanali dal settembre 2012 al 2016, il Graziola eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per cassazione notificato il 27/1/2020 a fronte della notifica della sentenza di appello compiuta il 20/8/2019, con conseguente decadenza dalla impugnazione per decorrenza del termine breve di 60 giorni; quindi, rileva l’infondatezza della denunciata violazione dell’art. 2 L.335/95 poiché secondo la pronuncia della Corte Cost. n. 374/1997, il principio dell’automaticità delle prestazioni troverebbe applicazione non già ‘solo in quanto il sistema delle leggi speciali vi si adegui’, ma , come si esprime l’art. 2116 c.c, ‘salvo diverse disposizioni delle leggi speciali’, il che consentirebbe di ritenere sussistente una deroga al principio solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso. Nel ritenere che i lavoratori a progetto versino nelle stesse condizioni dei lavoratori subordinati, per la comparabile condizione socio-economica di essere esposti al rischio di non poter coprire la contribuzione non versata dal datore di lavorocommittente, a dispetto della tutela universalistica della tutela previdenziale, conclude per il rigetto del ricorso e, in via subordinata, per la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2116 c.c. per violazione degli artt. 3 e 38 Cost. , nella parte in cui non prevede l ‘ applicabilità ai lavoratori a progetto del sistema di pagamento contributivo previsto per i lavoratori subordinati.
3. Il ricorso è fondato.
In primo luogo va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività dell’impugnazione: la sentenza della Corte d’appello, depositata e pubblicata il 25/7/2019, è stata
notificata alla sede INPS di Trento ‘in persona del legale rappresentante protempore’ dell’ente, non già al difensore domiciliatario di INPS costituitosi nel giudizio di merito, come riportato nell ‘intestazione dell’impugnata sentenza. Seguendo le disposizioni normative degli artt. 170 e 285 c.p.c. sulle modalità e luogo della notificazione della sentenza, è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c. la notificazione a l difensore costituito dell’ente; in caso di ente rappresentato in giudizio da un avvocato facente parte dell’organo di avvocatura interna, presso la cui sede sia anche stato eletto il domicilio, la notifica ivi compiuta senza indicazione del procuratore domiciliatario è inidonea a far decorrere il termine breve in quanto, trattandosi di organizzazioni complesse con assetti organizzativi diversi in ragione delle dimensioni dell’ente e delle prassi locali, la sola identità di domiciliazione non assicura che la sentenza giunga a conoscenza della parte tramite il suo rappresentante processuale (in tal senso, per la notifica ad INPS, si rammenti Cass. ord. n. 14054/2016). Le Sezioni Unite, intervenute sul medesimo tema con riferimento alla garanzia del diritto di difesa della parte destinataria della notifica in ragione della competenza tecnica del destinatario nella valutazione dell’opportunità della condotta processuale più conveniente da porre in essere ed in relazione agli effetti decadenziali derivanti dall’inosservanza del termine breve di impugnazione, ha precisato che la notifica della sentenza finalizzata alla decorrenza di quest’ultimo, ove la legge non ne fissi la decorrenza diversamente o solo dalla comunicazione a cura della cancelleria, deve essere in modo univoco rivolta a tale fine acceleratorio e percepibile come tale dal destinatario, sicché essa va eseguita nei confronti del procuratore della parte o della
parte presso il suo procuratore, nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata. Ne consegue che la notifica alla parte, senza espressa menzione -nella relata di notificazione- del suo procuratore quale destinatario presso il quale è eseguita, ‘ non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, neppure se eseguita in luogo che sia al contempo sede di una pubblica amministrazione, sede della sua avvocatura interna e domicilio eletto per il giudizio, non potendo surrogarsi l’omessa indicazione della direzione della notifica al difensore con la circostanza che il suo nominativo risulti dall’epigrafe della sentenza notificata, per il carattere neutro o non significativo di tale sola circostanza ‘ (Cass. sent. n. 20866/2020) .
Il ricorso per cassazione, avviato in notifica alla data del 24/1/2020, è dunque stato tempestivamente proposto entro il limite temporale di cui all’art. 327 c.p.c. , con riferimento alla data di pubblicazione della sentenza del 25/7/2019.
5. Sulla questione centrale della applicabilità del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali di cui all’art. 2116 c.c. ai collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata, questa Corte si è già espressa con orientamento interpretativo negativo, al quale in questa sede si intende dare continuità. Con sentenza n.11430/2021 è stato osservato che i lavoratori parasubordinati sono personalmente obbligati alla contribuzione, restando irrilevante che l’art. 1 del d.m. n. 281 del 1996, ponga anche a carico dei committenti, nella misura dei due terzi, l’obbligo di versamento dei contributi, trattandosi soltanto di una forma di delegazione legale di pagamento, diretta a semplificare la riscossione, che tuttavia non immuta i soggetti passivi dell’obbligazione contributiva. È stato ivi anche precisato che, qualora il committente abbia omesso di pagare i
contributi dovuti, il collaboratore ha la facoltà di dichiarare all’INPS di assumere in proprio il debito relativo alla parte del contributo accollata al suo committente, salvo rivalersi nei confronti di costui per il risarcimento dei danni ex art. 2116, comma 2, c.c. ovvero di esercitare l’azione di cui all’art. 13 della L. n. 1338 del 1962; non è dunque perduta la possibilità per il lavoratore impegnato in rapporto di co.co.co. di tutelare i propri diritti per il caso di omessa contribuzione.
5.1 – Con argomentazioni più ampie, e ciascuna pertinente alle medesime doglianze esposte in questa sede, si richiama anche la più recente pronuncia della Corte, ord. n. 30474/2024, ove si affronta sia il tema della comparazione con il rapporto di lavoro autonomo, sia la non estensione della disciplina ai collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata.
Riguardo al primo aspetto, richiamata la già citata sentenza del 2021, è stato osservato che « il principio generale dell’automatismo delle prestazioni previdenziali, in forza del quale queste ultime spettano al lavoratore anche quando i contributi dovuti non siano stati effettivamente versati, mentre costituisce regola generale di tutte le forme di previdenza ed assistenza obbligatorie per i lavoratori dipendenti a prescindere da qualsiasi richiamo esplicito della relativa disciplina, essendo semmai necessa ria, giusta l’insegnamento di Corte cost. n. 374 del 1997, una disposizione esplicita per derogarvi, non trova invece applicazione, in difetto di specifiche disposizioni di legge o di una legittima fonte secondaria in senso contrario, nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale, in cui invece il mancato versamento dei contributi obbligatori impedisce di regola la stessa costituzione del rapporto previdenziale e comunque la maturazione del diritto alle
prestazioni » con l’ulteriore osservazione che tale esclusione non presta il fianco a censure d’irragionevolezza, « dal momento che nel rapporto tra lavoratore autonomo ed ente previdenziale l’obbligazione contributiva grava sullo stesso lavoratore al quale compete il diritto alle prestazioni, il quale, coerentemente, non può che subire le conseguenze pregiudizievoli del proprio inadempimento ».
Sotto il secondo profilo, la Corte ha rilevato che il principio di automaticità non può essere esteso a beneficio dei collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla Gestione separata sol perché l’art. 1 del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 2/5/1996, n.281, pone anche a carico dei committenti, nella misura dei due terzi, l’obbligo di versamento dei contributi; « invero, la fonte regolamentare configura soltanto una forma di delegazione legale di pagamento, che si prefigge di semplificare la riscossione, senza modificare, tuttavia, i soggetti passivi dell’obbligazione contributiva. L’assetto così delineato per il ti tolare di collaborazioni coordinate e continuative «non può certo comportare, rispetto al rapporto contributivo, alcuna equiparazione della sua situazione a quella del lavoratore subordinato» (sentenza n. 11430 del 2021, cit., in motivazione), cui s’indirizza la protezione apprestata dall’art. 2116 cod. civ. Al collaboratore coordinato e continuativo è concessa la facoltà, entro un congruo termine, individuato in quello di prescrizione dei contributi, «di dichiarare all’INPS di rinunciare all’effetto privativo dell’accollo ex lege disposto in suo favore dall’art. 2, comma 30, legge n. 335/1995, e di assumere in proprio il debito relativo alla parte del contributo accollata al suo committente, salvo ovviamente rivalersi nei confronti di costui per i danni» (in motivazione della sent. n.11430/2021) ».
5.2 – Come già innanzi visto, il collaboratore coordinato e continuativo può, in alternativa, rivendicare il risarcimento dei danni (art. 2116, secondo comma, cod. civ.) o esperire l’azione di cui all’art. 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, « trattandosi di disposizione che -come più volte riconosciuto da questa Corte di legittimità, sulla scorta dell’indicazione di Corte cost. n.18 del 1995- possiede quei connotati di generalità e astrattezza tali da consentirne l’applicazione a tutte le categorie di lavoratori non abilitati al versamento diretto dei contributi, ma sottoposti a tal fine alle determinazioni di altri soggetti (sentenza n. 11430 del 2021, cit., in motivazione). La posizione del collaboratore autonomo e continuativo non resta, dunque, sguarnita di tutela. Tali principi sono stati ribaditi a più riprese da questa Corte (da ultimo, Cass., sez. lav., 15 dicembre 2023, n. 35162; nello stesso senso, già Cass., sez. lav., 12 agosto 2022, n. 24753, e 17 marzo 2022, n. 8789), che, nella complessiva ricognizione del dato normativo, ha vagliato tutti gli argomenti prospettati dai giudici d’appello, escludendone la portata dirimente ai fini della soluzione estensiva addotta a fondamento della decisione impugnata .»
5.3 – I raffronti compiuti negli enunciati precedenti alle soluzioni offerte anche dalla giurisprudenza costituzionale ostacolano una ipotetica rilevanza della questione suggerita in limine dal controricorrente, non ravvisandosi neppure ipoteticamente una irragionevole disparità di trattamento fra le due categorie di lavoratori, e non offrendo la parte privata una ricostruzione alternativa della disciplina come interpretata alla luce dei citati precedenti di questa Corte, sui quali benvero non si confronta neppure con eventuali memorie ex art. 378 c.p.c.
6 . All’accoglimento del ricorso di INPS consegue la cassazione dell’impugnata sentenza; ma non essendovi accertamenti sul fatto da demandare alla Corte di merito, la causa può essere decisa con rigetto della originaria domanda.
In ragione del la controvertibilità della questione all’epoca del ricorso e de ll’orientamento giurisprudenziale consolidatosi in pendenza di giudizio , va disposta, ai sensi dell’art. 92 secondo comma c.p.c., la compensazione delle spese processuali dell’intero giudizio.
Nulla è dovuto per il contributo unificato ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater d.P.R. n.115/02, stante la pronuncia di accoglimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso , cassa l’impugnata ordinanza e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda .
Compensa le spese dell’intero giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, 28 gennaio 2025.