Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6525 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6525 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12136/2018 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso l’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso il AVV_NOTAIO NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Lecce, n. 2366/2017, pubblicata il 4 ottobre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, con ricorso 2-4 novembre 2010, premesso di essere dipendente del RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE con contratto a tempo pieno e indeterminato e di essere inquadrato nella categoria D, con mansioni di Responsabile del Settore economico -finanziario, ha adito il Tribunale di Brindisi per ottenere l’annullamento della determinazione con cui gli era stata irrogata la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni cinque ed era stato disposto il recupero della somma di € 24.050,00, d a versare nel conto dell’entrata di bilancio 2009, per avere svolto attività extramoenia in violazione dell’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001 .
Egli ha esposto che, negli anni dal 2006 al 2009, aveva svolto delle attività extra rispetto ai compiti d’ufficio, ma sempre in presenza di autorizzazione rilasciata dal Sindaco nel corso di tale attività e previo accertamento dell’insussistenza di profili di conflitti d’interesse con il RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale di Brindisi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1825/2013, ha accolto il ricorso in parte, annullando la sanzione disciplinare, ma confermando il recupero dei compensi percepiti in data precedente alle autorizzazioni.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Lecce, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2366/2007, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
Il RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE si è difeso con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con un unico motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, 414 c.p.c. e 2697 c.c. in quanto il giudice di appello avrebbe errato nel sostenere che la misura in questione dovesse essere applicata nella misura predeterminata e prevista dal citato art. 53, comma 7, senza dare rilievo a l rilascio dell’autorizzazione in un momento successivo, unito al l’accertamento che nessun conflitto di interessi o nocumento per la P.A. vi fossero stati. Inoltre, diversamente da quanto affermato dalla corte territoriale, la misura in esame non avrebbe avuto natura restitutoria, ma sanzionatoria, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere graduata. La Corte d’appello di Lecce non si sarebbe neppure accorta che le somme in questione erano già state tassate. In ogni caso, evidenzia l’illegittimità costituzionale del menzionato art. 53, comma 7, per contrasto con gli artt. 3, 4, 24, 35, 76, 101, 111 e 113 Cost. con riguardo alla pretesa automaticità e insindacabilità del recupero e per eccesso di delega rispetto a quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 421 del 1992 e dall’art. 1 del la legge n. 340 del 2000.
La doglianza è infondata.
La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che, in tutti i casi di conferimento di incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici, la P.A. è tenuta a verificare necessariamente ex ante le situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi, al fine di assicurare il più efficace rispetto dell’obbligo di esclusività, funzionale al buon andamento, all ‘ imparzialità e alla trasparenza dell ‘ azione amministrativa. Ne consegue che il privato conferente l ‘ incarico e il dipendente pubblico, anche se in part-time, hanno entrambi, comunque, l ‘ obbligo di comunicare al datore il conferimento dell ‘ incarico, onde consentire all ‘ ente di concedere la relativa autorizzazione, previa valutazione dell ‘ assenza di una possibile situazione di conflitto di interessi del medesimo incarico con
l ‘ attività lavorativa (Cass., Sez. 2, n. 9552 del 7 aprile 2023; Cass., Sez. 2, n. 11811 del 18 giugno 2020).
Non è contestabile, quindi, che l’autorizzazione in esame dove sse essere concessa in via preventiva.
Inoltre, si sottolinea che , come già affermato dalla S.C., l’azione proposta dalla P.A. per la ripetizione delle somme indebitamente percepite dal dipendente pubblico per lo svolgimento di attività extraistituzionale non autorizzata dall ‘ amministrazione di appartenenza, ai sensi dell ‘ art. 53, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, rientra nell ‘ alveo della responsabilità contrattuale da inadempimento agli obblighi di fedeltà e ha una funzione riparatoria ed integralmente compensativa del danno; ne consegue che il recupero, pur assumendo tratti sanzionatori, atteso che regola gli effetti della duplice violazione dell ‘ avere accettato un incarico senza autorizzazione e di averne introitato le remunerazioni, non costituisce sanzione amministrativa e non è, pertanto, assoggettato alle regole di cui alla legge n. 689 del 1981 (Cass., Sez. L, n. 24377 del 5 agosto 2022).
Ne deriva che, venendo in rilievo un’attività svolta dal dipendente pubblico nonostante il suo obbligo di fornire la sua prestazione lavorativa esclusivamente nei confronti dell’ente datore di lavoro, quest’ultimo ha il diritto di riscuotere quanto percepito dal lavoratore, rappresentando, alla fine, tale importo la misura del valore delle energie lavorative che il menzionato dipendente, indebitamente, non ha utilizzato per adempiere agli obblighi su di lui gravanti in forza del contratto di lavoro.
D’altronde, anche a volere affermare, come sostiene , infondatamente, il ricorrente, la natura solo sanzionatoria della misura in questione, è principio generale che la P.A. non possa disporre delle sanzioni previste dalla legge per le infrazioni commesse dai suoi dipendenti.
In aggiunta a ciò, si evidenzia, in ordine alla necessità di graduare la misura, che la corte territoriale ha accertato che solo le somme riscosse prima delle autorizzazioni successive erano state incamerate dalla P.A., venendo così tutelata nel massimo grado la posizione del ricorrente.
Peraltro, nella specie, la misura della somma da recuperare è predeterminata dalla legge, il che rende ancora meno condivisibili le considerazioni del ricorrente.
Per ciò che concerne, invece, la contestazione relativa al pagamento delle imposte, la Corte d’appello di Lecce l’ha considerata inammissibile perché proposta solo in secondo grado e il ricorrente non ha riportato, in questa sede, il contenuto degli atti d ai quali sarebbe dovuta risultare l’allegazione della questione già davanti al Tribunale di Brindisi.
Infine, per quel che interessa la questione di legittimità costituzionale che il ricorrente ha chiesto di sollevare, se ne evidenzia la manifesta infondatezza.
Innanzitutto, si osserva che il recupero del denaro de quo non è oggetto di una sanzione, ma ha valenza essenzialmente recuperatoria, in conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo di operare fedelmente e in via esclusiva in nome e per conto del datore di lavoro, nella specie una P.A.
Ne deriva che si tratta di una misura che rafforza l’azione amministrativa e, quindi, è coerente con gli artt. 97 e 98 Cost.
Nessuna violazione del principio di uguaglianza o di ragionevolezza ex art. 3 Cost. è prospettabile, atteso che il ricorrente ha dovuto restituire quanto ottenuto per effetto del mancato rispetto del contratto di lavoro.
In ordine agli artt. 4 e 45, non è leso alcun diritto del lavoratore, ma, al contrario, è ristorato il pregiudizio patito dal datore di lavoro che sia Pubblica amministrazione in ragione dell’inadempimento, da parte del dipendente, dei doveri correlati al rapporto di impiego.
Gli artt. 24, 101, 111 e 113 Cost. non vengono in rilievo, considerata la natura non sanzionatoria della misura. Peraltro, la tutela giurisdizionale del ricorrente è stata pienamente garantita in sede giudiziaria.
Infine, non vi è un problema di eccesso di delega rilevante ai sensi dell’art. 76 Cost. A prescindere dalla genericità delle deduzioni del ricorrente, si sottolinea che il recupero in questione è del tutto coerente con gli ordinari principi civilistici e che l’art. 2, comma 1, lett. c), n. 7, della legge n. 421 del 1992 prevede che la successiva legislazione delegata in tema di pubblico impiego avrebbe dovuto regolare ‹‹ la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l ‘ impiego
pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici ›› .
2) Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere le spese a controparte, che liquida in complessivi € 3.000,00 , oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 22