Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21718 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21718 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5895-2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1844/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/10/2020 R.G.N. 1676/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza impugnata, pronunciando sull’appello proposto da COGNOME NOME e COGNOME
Oggetto
R.G.N. 5895/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 05/06/2025
CC
NOME ha rigettato l’appello e condannato le appellanti al pagamento delle spese processuali, confermando la sentenza del tribunale di Roma che aveva rigettato le domande con cui le suddette lavoratrici avevano chiesto l’accertamento del loro diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE con condanna a corrispondere le retribuzioni maturate o in subordine al risarcimento del danno.
A sostegno della decisione, la Corte d’appello ha rilevato che come risultava anche dalla sentenza penale di condanna n. 18619/2016 del tribunale di Roma pronunciata nei confronti di COGNOME e COGNOME COGNOME rispettivamente amministratore delegato e direttore delle risorse umane della società RAGIONE_SOCIALE, poi confluita in Atac, per il reato di abuso di ufficio per aver provveduto all’assunzione delle due appellanti – le due lavoratrici erano state assunte per chiamata diretta, con lettere del 6.5.2009 e dell’1.7.2009, e senza il previo esperimento di procedura di selezione o di verifica dei titoli; la loro assunzione era avvenuta pertanto in violazione dell’articolo 18 d.l. n. 112 del 2008 convertito in legge n. 133/2008 il quale prescrive alle società in house a partecipazione pubblica aventi ad oggetto la gestione di un servizio pubblico locale l’espletamento, ai fini del reclutamento, di procedure concorsuali selettive, la cui omissione determina la nullità del contratto di lavoro ai sensi dell’art. 1418, comma 1 c.c.; tale nullità era ora espressamente prevista dall’articolo 19, comma 4 del d.lgs. n. 175 del 2016 di cui andava tuttavia esclusa la portata innovativa, avendo la citata disposizione reso esplicita una conseguenza desumibile dai principi in tema di nullità virtuali (Cass. n. 3621 del 2018). Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME con quattro motivi di ricorso ai quali ha resistito Atac S.p.A. con controricorso.
Le ricorrenti hanno depositato memoria difensiva prima dell’udienza. Dopo la decisione, il Collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni previsto dalla legge.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1418 c.c. e degli articoli 18, comma 1 e 23 bis, comma 10 del d.l. legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n.133 per avere la Corte erroneamente affermato che i regolamenti governativi previsti dal predetto art. 23 bis non condizionassero l’immediata operatività della norma del predetto articolo 18, comma 1.
2.- Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.1418 c.c. e dell’art. 18, comma 1, decreto legge n.112 del 2008 convertito in legge n. 133 del 2008 per avere erroneamente affermato che la violazione del predetto art. 18 comporti la nullità del contratto.
3.- Con il terzo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 18, comma 1, decreto legge n. 112/2008 convertito in legge n. 133/ 2008 e dell’articolo 19, comma 2 e 4, d.lgs. 175/2016 per avere erroneamente affermato che quest’ultima norma del 2016 non era innovativa ma solo confermativa della norma precedente del 2008.
4.- Con il quarto motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1338 c.c. per avere erroneamente affermato che le ricorrenti erano della nullità del contratto.
5.- I motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente per la loro connessione logica giuridica e devono essere disattesi alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità che si è venuta formando in materia di reclutamento del personale, a
seguito dell’entrata in vigore dell’art . 18 d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. in l. n. 133 del 2008, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla l. n. 102 del 2009 di conversione del d.l. n. 78 del 2009.
6.- La tesi espressa da questa Corte di cassazione è che, in virtù dell’art.18 cit. (qualificato come norma immediatamente precettiva v. Cass. 4571/2022), detto reclutamento deve avvenire secondo i criteri stabiliti dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001, che impongono l’esperimento di procedure concorsuali o selettive, sicché la violazione di tali disposizioni, aventi carattere imperativo, determina la nullità del contratto (tra le tante, Cass. 4358/2018 e Sez. U. 26724/2007, Cass. 21378/2018, Cass. n. 19925/2019, n. 35421/2022, Sez. U. n. 5542/2023).
7.Come ricorda da ultimo Cass. n. 14751/2024 l’art. 18, comma 1, che nel testo ratione temporis vigente ha imposto l’osservanza delle procedure selettive pubbliche per le assunzioni, è divenuto applicabile dal sessantesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del medesimo d.l., per consentire a tali società un congruo spatium temporis per adeguare i propri sistemi di assunzione alla nuova norma imperativa.
8.- In tali termini, citando altre precedenti pronunce, si è espressa chiaramente Cass. n. 4358/2018, la quale viene di seguito richiamata a fondamento della presente decisione anche ai sensi dell’art.118 disp . att. c.p.c.
9.Essa ha così statuito: ‘il principio affermato dalle richiamate pronunce, in continuità con precedenti arresti di questa Corte (Cass. n. 11163/2008; Cass. S.U. n. 4685/2015; Cass. n. 26347/2016), orienta anche ai fini della soluzione del caso che oggi viene in rilievo, perché il contratto della cui
legittimità si discute è stato stipulato nella vigenza dell’art. 18 del d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 che, nel testo applicabile ratione temporis risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di conversione del d.l. n. 78/2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle «altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo» di adottare «con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità».
Il comma 2 bis prevede, inoltre, che « le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale ne’ commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 5 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.».
Con la disposizione in commento il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro,
sottratti alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perché l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono ( C.d.S. – Sezione Consultiva per gli atti normativi n. 2415/2010).
La norma recepisce i principi affermati dalla Corte Costituzionale già a partire dalla sentenza n. 466/1993, con la quale il Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell’ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche «connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica». La giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale ( Corte Cost. nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017) e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’art. 97 Cost., del quale l’art. 18 del dl. n. 112/2008 costituisce attuazione, tanto da vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost. (Corte Cost. n. 68/2011).
2.2. In tema di società partecipate le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno in estrema sintesi evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto
che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017). Detta ricostruzione sistematica è stata fatta recentemente propria dal legislatore che all’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 165/2016 ( Testo Unico delle società a partecipazione pubblica) ha previsto che «Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato.». Quanto ai rapporti di lavoro l’art. 19 richiama al comma 1 «le disposizioni del capo I, t titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi» facendo, però, salve le diverse disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto che, per quel che qui rileva, al comma 2 dell’art. 19 impone alle società a controllo pubblico di stabilire «criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto 4 RG 21280/2016 dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.» ed al comma 4 prevede espressamente la nullità dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2. Il legislatore del Testo Unico, quindi, pur ribadendo la non assimilabilità delle società partecipate agli enti pubblici e l’inapplicabilità ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 165/2001, ha previsto significative deroghe alla disciplina generale, che trovano la loro giustificazione nella natura del socio unico o
maggioritario e negli interessi collettivi da quest’ultimo curati, sia pure attraverso il ricorso allo strumento societario.
2.3. Si è dato conto dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nonché dell’evoluzione del quadro normativo perché da entrambi non si può prescindere nel pronunciare sulle conseguenze che derivano dalla violazione dell’art. 18 del d.l. n. 112/2008 e sui riflessi della normativa speciale rispetto a quella generale dettata in tema di contratti di lavoro flessibile.
Quanto al primo aspetto, premesso che non può dubitarsi del carattere imperativo della disposizione in commento, ritiene il Collegio che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2 determini la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ. perché la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente. Le Sezioni Unite di questa Corte, nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali, hanno osservato che in linea generale occorre tener conto della «tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità …. ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità.». Hanno, però, precisato che le norme che incidono sulla validità del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che «in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o
indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo.» ( Cass. S.U. 19.12.2007 n. 26724).
L’applicazione alla fattispecie del principio di diritto richiamato induce ad escludere che l’omesso esperimento delle procedure concorsuali o selettive possa solo generare responsabilità contabile a carico dei dirigenti delle società partecipate, posto che l’individuazione del contraente con modalità difformi da quelle prescritte dal legislatore si risolve nella mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per l’assunzione. Mutatis mutandis valgono le considerazioni già espresse da questa Corte in merito al rapporto fra procedura concorsuale ex art. 35 del d.lgs n. 165/2001 e contratto di lavoro, in relazione al quale si è osservato che «sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poiché la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dall’art. 35 del d.lgs n. 165 del 2001,
attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4, della Carta fondamentale.» (Cass. n.13884/2016).
2.4. Va, quindi, esclusa la portata innovativa dell’art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 175/2016 che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità virtuali.
In merito è utile evidenziare che sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti dall’art. 18 del d.l. n. 112/2008 la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicché la nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina previgente (sulla possibilità che la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cass. S.U. n.18353/2014 e Cass. n. 20327/2016).
2.5. Una volta affermato che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio richiamato al punto 2 secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità. Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come già evidenziato, tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost. ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche 1 6 RG 21280/2016 a quelli che, utilizzando risorse
pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale.
2.6. Dette conclusioni non contrastano con quanto affermato da Cass. n. 23202/2013 richiamata dal ricorrente, perché in quel caso veniva in rilievo un contratto a termine stipulato in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.l. n. 112/2008 e, quindi, in un contesto normativo che non prevedeva ancora per le società partecipate limiti in tema di reclutamento del personale. Va, poi, evidenziato che le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 28330/2011 e 7759/2017, ribadita la inapplicabilità del d.lgs. n. 165/2001, hanno solo escluso la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle procedure concorsuali e selettive previste dall’art. 18, commi 1 e 2, del d.l. n. 112/2008, ma non hanno pronunciato sulle questioni che qui vengono in rilievo. ‘
10.- Alla stregua della giurisprudenza sopra richiamata va quindi concluso: che i regolamenti governativi previsti dal predetto art. 23 bis, comma 10 del d.l. legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n.133 non condizionano l’immediata operatività della norma del predetto articolo 18, comma 1.; che la mancata osservanza delle prescritte procedure selettive si risolve in un difetto di validità del contratto; che l’articolo 19, comma 2 e 4, d.lgs. 175/2016 nel prevedere espressamente la nullità del contratto non ha avuto portata innovativa ma solo confermativa della norma precedente del 2008, specificando una sanzione che era già contenuta nell’ordinamento; ed infine che il divieto di assunzione senza il rispetto delle procedure e la nullità del contratto derivano da previsioni inderogabili di legge la cui conoscenza è quindi presunta per tutti in quanto accessibile alla generalità dei cittadini.
11.- Il ricorso deve essere quindi rigettato e le ricorrenti vanno condannate al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come da dispositivo.
12.Sussistono altresì le condizioni per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali che si liquidano in € 6 .000,00 per compensi e € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli altri oneri di legge. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater d.p.r. numero 115 del 2000, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 5.6.2025
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME