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Assunzione società in house: vale la conciliazione?

Un lavoratore, assunto da una società in house a seguito di una conciliazione giudiziale, viene licenziato. La società contesta la validità stessa del rapporto di lavoro, sostenendo che l’assunzione avrebbe dovuto seguire procedure di selezione pubblica. La Corte di Cassazione, riconoscendo la rilevanza della questione, rinvia la decisione a una pubblica udienza per definire se una conciliazione possa legittimamente sostituire un concorso pubblico per un’assunzione in società in house.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Assunzione in Società Pubblica: La Conciliazione Giudiziale Sostituisce il Concorso?

L’assunzione in una società in house, ovvero una società controllata da un ente pubblico, solleva spesso interrogativi complessi, specialmente quando non avviene tramite concorso. Una recente ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ha acceso i riflettori su un caso emblematico: è valido un rapporto di lavoro nato da una conciliazione giudiziale, che di fatto aggira l’obbligo di selezione pubblica? La Suprema Corte ha ritenuto la questione così importante da meritare un approfondimento in una pubblica udienza, sospendendo il giudizio.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un dipendente di una società che gestisce servizi cimiteriali, interamente partecipata da un ente pubblico. Il lavoratore era stato assunto a tempo indeterminato a seguito di una conciliazione giudiziale che aveva risolto una precedente controversia di lavoro. Anni dopo, l’azienda lo licenzia per giusta causa, contestandogli un comportamento scorretto.

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici danno ragione al lavoratore, annullando il licenziamento perché il fatto contestato non era sufficientemente grave. La società, tuttavia, non si arrende e porta il caso in Cassazione, sollevando una questione preliminare di enorme portata: la nullità dell’intero rapporto di lavoro. Secondo l’azienda, l’assunzione, avvenuta tramite un accordo conciliativo, violava le norme imperative che impongono procedure di selezione pubblica per il personale delle società a controllo pubblico.

La questione dell’assunzione società in house tramite conciliazione

Il nodo centrale del ricorso presentato dall’azienda è l’articolo 18 del D.L. 112/2008, che impone alle società a partecipazione pubblica totale di adottare criteri e modalità di reclutamento del personale ispirati ai principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità, tipici dei concorsi pubblici. L’azienda sostiene che una conciliazione, essendo un accordo di natura privata, non può derogare a questa norma imperativa. Di conseguenza, il contratto di lavoro stipulato in esecuzione di tale accordo sarebbe nullo fin dall’origine.

La Corte d’Appello aveva respinto questa tesi, basandosi su una serie di motivazioni, tra cui il fatto che il rapporto di lavoro iniziale (in somministrazione) era iniziato prima dell’entrata in vigore di alcune norme vincolanti e che la società era diventata formalmente in house solo in un momento successivo.

La distinzione tra accordo transattivo e creazione di un nuovo rapporto

La Cassazione, nell’ordinanza interlocutoria, non fornisce una risposta definitiva ma delinea con precisione i contorni del problema. I giudici evidenziano una distinzione cruciale:
1. Una conciliazione che si limita a regolare diritti già maturati (es. differenze retributive passate) è generalmente considerata valida e produce effetti simili a una transazione, la cui validità è sancita dall’art. 2113 del Codice Civile.
2. Una conciliazione che, invece, costituisce un nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato per il futuro potrebbe essere considerata nulla se elude norme imperative, come quelle sul reclutamento pubblico.

Il verbale di conciliazione giudiziale, pur essendo un titolo esecutivo, non ha la stessa forza di una sentenza passata in giudicato. Resta un atto negoziale e, come tale, può essere dichiarato nullo se si pone in contrasto con principi fondamentali dell’ordinamento.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto la questione di “rilevanza nomofilattica”. Questo significa che la decisione che verrà presa avrà un impatto fondamentale sull’interpretazione della legge in tutti i casi simili futuri. La Corte deve bilanciare due principi:
* Da un lato, l’autonomia delle parti di risolvere una controversia tramite un accordo (la conciliazione).
* Dall’altro, l’interesse pubblico a garantire trasparenza e imparzialità nelle assunzioni presso società che gestiscono servizi pubblici con capitale pubblico.

Proprio per questa complessità e per le importanti conseguenze pratiche, la Corte ha deciso di non pronunciarsi in camera di consiglio, ma di rinviare la causa a una pubblica udienza. Sarà in quella sede che verrà stabilito un principio di diritto chiaro sul rapporto tra conciliazione giudiziale e obblighi di selezione pubblica per le società in house.

Conclusioni

L’ordinanza interlocutoria della Cassazione lascia aperta una questione cruciale per il diritto del lavoro pubblico. La futura sentenza chiarirà se e a quali condizioni una conciliazione giudiziale possa portare a una valida assunzione in una società in house. La decisione influenzerà non solo il caso specifico, ma anche le strategie processuali di migliaia di lavoratori e società pubbliche in tutta Italia, definendo i limiti dell’autonomia negoziale di fronte a norme imperative poste a tutela dell’interesse pubblico.

È possibile essere assunti in una società pubblica ‘in house’ tramite una conciliazione in tribunale?
La questione è controversa. La Corte di Cassazione ha ritenuto il tema così complesso e importante da rinviare la decisione a una pubblica udienza. La validità dell’assunzione è dubbia, soprattutto se la conciliazione crea un nuovo rapporto di lavoro futuro, aggirando le procedure di selezione pubblica obbligatorie.

Una conciliazione giudiziale ha lo stesso valore di una sentenza?
No. L’ordinanza chiarisce che il verbale di conciliazione giudiziale, pur essendo un titolo esecutivo, deriva da un accordo negoziale tra le parti. Non ha la stessa forza di una sentenza passata in giudicato e può essere soggetto a sanzioni di nullità se viola norme imperative di legge.

Perché la Corte di Cassazione ha rinviato la decisione a una pubblica udienza?
La Corte ha rinviato la decisione perché ha riconosciuto la ‘rilevanza nomofilattica’ della questione. Ciò significa che il caso solleva un punto di diritto di fondamentale importanza, la cui risoluzione è necessaria per assicurare l’interpretazione uniforme della legge e fornire un principio guida per tutti i futuri casi simili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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