Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26849 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 26849 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24896/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO presso il quale è domiciliato come da pec registri di giustizia
– ricorrente –
contro
REGIONE CALABRIA, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la Delegazione della Regione Calabria
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro, n. 1329/2023, depositata il 22.11.2023, NUMERO_DOCUMENTO;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2.7.2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO Ministero, in persona del AVV_NOTAIO la quale ha concluso per l’inammissibilità ed in subordine per il rigetto del ricorso;
uditi l’AVV_NOTAIO per il ricorrente e l’AVV_NOTAIO per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, incaricato nel tempo quale Vice Capo redattore e Vice Capo Ufficio Stampa della Giunta della Regione Calabria, con funzioni poi anche di Direttore Responsabile del Bollettino Ufficiale della Regione, cui poi era stata riconosciuta la qualifica di Capo Redattore e quindi di Capo Ufficio Stampa, ha agito nei confronti della predetta Regione ritenendo di essere stato discriminato, in favore di altro giornalista di grado inferiore e minore anzianità, al momento in cui fu scelto il Vicario dell’Ufficio Stampa nel 2017.
Egli in quel frangente, ritenendosi demansionato, si dimise per giusta causa ed ha poi agito per ottenere le indennità di mancato preavviso di cui all’art. 27, commi primo e terzo del CCNL.
La domanda è stata rigettata nel merito in primo grado e la Corte d’Appello, raggiunta da appello principale del NOME e da appello incidentale della Regione Calabria, ha accolto quest’ultimo, ritenendo la nullità del contratto di lavoro inter partes , perché costituito senza previo concorso.
La Corte d’Appello, su tale premessa, ha rigettato la domanda, precisando come l’indennità sostitutiva del preavviso, per sua natura, presupponesse la validità del rapporto.
La Corte territoriale aggiungeva altresì che neanche varrebbe -in tesi -sostenere che il rapporto instauratosi tra le parti non avesse natura di rapporto di lavoro subordinato e dovesse essere invece ricondotto nell’alveo del rapporto di lavoro autonomo, in quanto, se anche così fosse stato, l’incarico conferito al ricorrente senza limiti di durata si sarebbe posto in contrasto con il sopravvenuto art. 9 della L.R. Calabria n. 7 del 1996, sia perché la norma consente di destinare all’ufficio stampa solo personale regionale, ed il ricorrente non lo era, essendosi dimesso, sia perché la norma prescrive che
gli incarichi abbiano durata solo annuale e possano essere rinnovati senza però eccedere la durata della legislatura, condizioni, queste, che nella specie non sono state rispettate, sicché ne conseguirebbe « l’inefficacia successiva (Cass. 1689/2006) del contratto di lavoro da cui il ricorrente attinge il diritto di credito azionato ».
Comunque, veniva anche disatteso l’appello principale, confermandosi che non poteva trovare applicazione il CCNL privatistico evocato dal ricorrente, ma il contratto collettivo di comparto, di cui al d. lgs. n. 165 del 2001.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, cui ha opposto difese la Regione con controricorso.
Il AVV_NOTAIO Ministero ha depositato memoria con cui ha insistito per il rigetto del ricorso, come poi confermato, con aggiunta in via principale della pronuncia di inammissibilità, in sede di discussione. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 18 della L. Regionale n. 11 del 1987 e dell’art. 2 della L. Regionale n. 9 del 1975, nonché dell’art. 97 della Costituzione.
Il motivo premette che il ricorrente non intende contestare la qualificazione del rapporto dedotto in giudizio come di diritto pubblico privatizzato.
Tuttavia, il ricorrente richiama il disposto dell’art. 16 della L. Regione Calabria n. 11 del 1987 ed il rinvio di essa all’art. 2 della L. Regione Calabria n. 9 del 1975, per far rilevare come la Giunta fosse pienamente legittimata ad avvalersi di giornalisti esterni, sicché la corrispondente delibera di incarico del 28.2.1995 era del tutto legittima secondo la legislazione regionale vigente ratione temporis , che la Corte territoriale aveva viceversa disapplicato.
Non aveva del resto rilievo -precisa il ricorrente – perché successiva all’instaurazione del rapporto, la L.R. Calabria n. 7 del 1996, che prevedeva rapporti ‘a contratto’ di durata annuale, ma in senso non retroattivo e comunque, se anche la norma fosse stata da intendere come implicitamente abrogativa della normativa preesistente, inidonea a travolgere i rapporti anteriormente sorti ed ancora pendenti, senza contare che il rapporto del COGNOME era stato sempre riconfermato all’inizio di ogni legislatura, almeno a partire dall’anno 2004.
Ancor meno rilievo poteva avere la successiva abrogazione delle pregresse leggi regionali ad opera della L. R. Calabria n. 28 del 2011, in quanto ciò era avvenuto con salvezza dei rapporti sorti sotto la loro vigenza, secondo le regolazioni per essi previste.
Il motivo è infondato.
La legislazione regionale dell’epoca in cui il ricorrente fu assunto prevedeva che gli uffici stampa operassero con personale dei ruoli organici, amministrativo o di giornalista e che essi si potessero « avvalere della specifica competenza di non più di due giornalisti esterni per ciascuno dei servizi » (art. 16 L.R. Calabria n. 11 del 1987)
Ai giornalisti assegnati ai servizi era poi previsto che si applicasse il contratto nazionale di lavoro della categoria (art. 16 cit. attraverso il rinvio all’art. 2 L. R. Calabria n. 9 del 1975).
Da quest’ultimo passaggio si evince che comunque si trattava di lavoro subordinato, perché tale è quello dei giornalisti regolato dalla contrattazione collettiva. Poco importa poi il fatto che la Corte d’Appello abbia ritenuto che al rapporto dovesse applicarsi il CCNL di comparto, ai sensi del d. lgs. n. 29 del 1993 e poi del d. lgs. n. 165 del 2001, in quanto anche in tale ambito il rapporto è subordinato e del resto il trattarsi di lavoro dipendente non è neppure più in contestazione tra le parti ed in causa.
Ciò posto, si osserva che la norma non regola le modalità di reclutamento dei giornalisti ‘esterni’, non potendosi ritenere tale il fatto che, attraverso il rinvio all’art. 2, cit., valesse la circostanza che « l’affidamento degli incarichi » dovesse « avvenire con deliberazione del Consiglio Regionale », in quanto quest’ultima è giuridicamente subordinata alle regole inderogabili di scelta che governano il reclutamento del personale delle P.A.
Va ammesso che, sulla base della natura di quelle posizioni, si potesse anche eccezionalmente procedere all’assunzione sulla base di decisioni altamente fiduciarie, come tali necessariamente a tempo determinato e finalizzate all’integrazione interinale, di tempo in tempo, delle ‘competenze’ come si esprime la disposizione – di quegli uffici stampa.
In questa prospettiva di incarichi a tempo si inserisce in effetti la successiva L. R. Calabria n. 7 del 1996 -qui non rilevante ratione temporis -secondo la quale per gli uffici stampa si poteva procedere con personale estraneo alla pubblica amministrazione, in possesso dei titoli professionali, sulla base di contratti di durata annuale e rinnovabili annualmente « per la durata della legislatura ». Ma se, al contrario, la Regione intendeva, come è accaduto nel caso di specie, dotarsi di una posizione stabile a tempo indeterminato, attingendo pure a giornalisti esterni, inevitabilmente essa doveva procedere mediante concorso.
La norma qui rilevante, ovverosia l’art. 16 cit., va infatti interpretata in coerenza con i principi costituzionali (art. 97, co. 4, Cost.) sul pubblico concorso, il cui svolgimento va ritenuto indispensabile per le assunzioni a tempo determinato (per i principi sul pubblico concorso rispetto a rapporti di lavoro stabile, proprio in relazione alla Regione Calabria ed agli uffici stampa, per quanto in relazione a fattispecie diversa, v. Corte costituzionale n. 133 del 2020, cit.).
A ciò si aggiunga che all’epoca della L. R. Calabria n. 11 del 1987 già vigeva la L. 29 marzo 1983, n. 93, c.d. Legge quadro sul pubblico impiego, la quale prevedeva:
-all’art. 20, tra i « principi normativi di omogeneità », l’assunzione mediante pubblico concorso;
-all’art. 1 la natura di « principi fondamentali » delle disposizioni di quella legge « ai sensi dell’art. 117 Cost. » e quindi con vincolo alla legislazione delle regioni ordinarie di regolare le materia ad esse attribuite non in contrasto con essi;
-sempre all’art. 1, la necessità che le amministrazioni anche delle regioni a statuto ordinario si attenessero ad esse ciascuna secondo il proprio ordinamento.
La disciplina è stata poi ripresa -quanto alle necessarie selezioni concorsuali – dal d. lgs. n. 29 del 1993 e dal d. lgs. n. 165 del 2001, ma vigeva in tali termini già anteriormente alla privatizzazione del pubblico impiego e quando fu emanata la L.R. n. 11 del 1987.
D’altra parte, una lettura che imponesse anche nei casi di cui all’art. 16 cit. l’assunzione a tempo indeterminato, per i giornalisti ‘esterni’, solo previo concorso non è per nulla esclusa dal dato testuale della norma – in quanto nulla impedisce che la delibera del Consiglio intervenisse in attuazione dell’assunzione e specificazione degli incarichi, una volta tenuta la debita selezione -e dunque essa si impone in una doverosa e piana logica di interpretazione costituzionalmente orientata, in ragione del disposto dell’art. 97 Cost. oltre che dell’art. 117 Cost. quale ratione temporis vigente, in relazione ai principi di cui alla L. quadro cit.
4. Il rilievo della Corte territoriale per cui il contratto a tempo indeterminato di impiego pubblico – tale essendo qualsiasi rapporto di lavoro, comunque regolato, con un ente pubblico non economico (Cass, S.U., 29 luglio 1998 n. 7419; Cass. 7 dicembre 2015, n.
24805; Cass. 2 dicembre 2016, n. 24666; Cass. 26 maggio 2020 n. 9786; Cass. 24 aprile 2023, n. 10811) – doveva essere stipulato previo concorso è dunque corretto e conforme a tutti i principi dell’ordinamento.
D’altra parte, la centralità della norma ed il derivare di essa dai principi costituzionali (art. 97 Cost.) esclude qualsivoglia derogabilità ad opera dei contraenti, pubblici e privati, sicché ne deriva de plano la nullità (art. 1418 c.c.).
La nullità del contratto comporta che il rapporto di lavoro poteva essere fatto cessare dalla RAGIONE_SOCIALE in qualsiasi momento, così come si può accertare in qualunque momento che esso non poteva proseguire.
Pertanto, non potendo il ricorrente vantare alcun diritto alla prosecuzione di tale rapporto, anche le dimissioni per giusta causa non possono comportare il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso o ad analoghe indennità per l’interruzione unilaterale del rapporto, quali forme indennitarie per essersi indotto il lavoratore a lasciare il proprio posto o essere stato costretto a farlo, in quanto non può esservi né inadempimento, né danno, a fronte di un contratto che, essendo nullo, non produce se non gli effetti di cui all’art. 2126 c.c., ovverosia la remunerazione delle attività in concreto svolte.
Va quindi data continuità all’orientamento di questa S.C. espresso esattamente in questi termini (Cass. 29 settembre 2022, n. 28330; Cass. 27 marzo 2015, n. 6266), né ricorrono le particolari fattispecie (artt. 2118, comma 3, e 2122 c.c.) fatte salve da quei precedenti.
Tutto ciò comporta l’assorbimento del secondo motivo, perché, se anche a regolare le dimissioni potessero in astratto essere le norme del CCNL privatistico (art. 27), una volta che il contratto sia, per quanto appena detto, nullo, non vi è luogo a discorrere di recesso o risoluzione per giusta causa ad opera del lavoratore e
dunque ogni ragionamento sul contratto collettivo in teoria destinato a governare il rapporto è superflua, né il ricorrente ha evidenziato un interesse diverso che giustifichi la necessità di trattare ulteriormente quel tema in questa sede.
6. Il ricorso va dunque disatteso e le spese del grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro