Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33750 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33750 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
pacifico che:
-l’INPS nel giugno 2012 aveva fatto richiesta di avviamento alla Provincia di Genova di centralinista non vedente;
-il 15.11.2012 la Provincia aveva comunicato all’INPS l’avviamento della Unali;
-con raccomandata del 22.11.2012, l’INPS aveva richiesto alla Unali la documentazione necessaria per procedere all’assunzione, che era stata trasmessa dalla stessa nella prima settimana del successivo mese di dicembre;
-nel gennaio 2013 l’Unione RAGIONE_SOCIALE aveva inviato all’INPS un elenco di materiale che sarebbe servito presso la postazione del Centralino;
-nel maggio 2013 l’INPS aveva comunicato alla Provincia l’impossibilità di procedere all’assunzione, in ragione delle sopravvenute norme in tema di c.d. spending review , nonché per l’assorbimento da parte dell’ente del personale proveniente da INPDAP ed ENPALS;
-nonostante ulteriori solleciti per l’assunzione da parte dell’Unione Italiana Ciechi e della Provincia, l’INPS, nell’agosto 2014, aveva replicato adducendo l’esubero di centralinisti;
-nel gennaio 2015 la COGNOME era stata assunta dall’INAIL;
la Corte d’Appello riteneva che l’art. 6, co. 5, della legge n. 113 del 1985 (secondo cui qualora i datori di lavoro pubblici non avessero provveduto all’assunzione entro sei mesi dalla data di insorgenza dell’obbligo il servizio competente li avrebbe dovuti invitare a provvedere e poi, trascorso un mese, avrebbe dovuto procedere all’avviamento d’ufficio) non si attagliasse alla fattispecie in esame, in quanto riguardante le diverse ipotesi in cui l’ente che deve effettuare l’assunzione non si fosse ancora obbligato in tal senso; viceversa, precisava la Corte, l’INPS aveva assunto l’obbligo di assumere la Unali sin dal momento in cui aveva chiesto alla stessa la trasmissione dei documenti necessari all’assunzione, cui era stato pronto riscontro, sicché il successivo comportamento dilatorio era causa di responsabilità risarcitoria nei confronti della lavoratrice;
quanto poi alla riduzione degli organici per ragioni di spending review , essa era stata disposta, relativamente all’INPS, con il DPCM del 23.1.2013 e dunque in epoca successiva a quando l’assunzione della COGNOME avrebbe dovuto essere già perfezionata, così come era irrilevante che gli organici avessero iniziato a contrarsi fin dal luglio del 2012, in quanto nel successivo novembre l’ente si era impegnato all’assunzione;
analogamente, la Corte territoriale ha evidenziato come fossero ininfluenti le questioni sulla riorganizzazione del servizio di centralino addotte dall’INPS, in quanto non risultava che vi fossero state significative sopravvenienze modificative in tal senso nell’arco di tempo che andava tra la richiesta all’Unali dei documenti per l’assunzione e la loro trasmissione all’ente;
infine, per quanto qui ancora interessa, era ritenuta infondata la difesa dell’INPS in ordine al fatto che non si fosse tenuto conto del meccanismo della compensazione delle quote d’obbligo e ciò perché tali argomentazioni si fondavano su una norma -l’art. 6, co. 7, del d.l. n. 101 del 2013, – successiva rispetto al periodo che rilevava per la decisione;
la Corte d’Appello, su tali basi, rigettava quindi il gravame nei riguardi della condanna dell’INPS al risarcimento quale disposto dal Tribunale in misura di euro 57.419,76, per perdite retributive e di emolumenti, oltre ad euro 21.195,27 per danno previdenziale ed oltre accessori e spese;
3.
l’INPS ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti dalla Unali;
è in atti memoria della controricorrente;
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) dell’art. 6 della legge n. 113 del 1985 e con esso si sostiene che l’obbligo di assunzione sorgerebbe soltanto dopo l’esaurimento del termine semestrale, di cui alla citata norma, per lo svolgimento e conclusione della procedura di avviamento al lavoro;
pertanto, esso, avendo la Provincia indicato il nominativo solo il 22.11.2012, decorreva da quella data e quindi, al sopravvenire del DPCM del 23.1.2013, non era ancora spirato e correttamente si era ritenuto di non poter procedere all’assunzione, come da comunicazione del successivo mese di maggio;
il secondo motivo denuncia l’omesso esame di fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) e sottolinea come non fosse vero che l’ente avesse atteso fino all’agosto 2014 prima di dare risposta negativa, essendo
invece pacifico che fin dal 9 maggio 2013, ovverosia prima della scadenza del termine semestrale di cui all’art., 6 cit., era stata segnalata l’impossibilità di assumere la sig.ra COGNOME
2.
i due motivi vanno esaminati congiuntamente e non possono trovare accoglimento;
2.1
la ricostruzione giuridica cui al primo motivo non è corretta;
la legge n. 113 del 1985 individua l’obbligo per i datori di lavoro privati (art. 3, co. 3) e pubblici (art. 3, co. 2) di assumere i centralinisti iscritti negli elenchi di cui all’art. 6, co. 7, in ragione del solo fatto che esista presso di essi un centralino telefonico con le caratteristiche indicate nella legge stessa e vi sia vacanza del posto, previo esperimento delle procedure necessarie presso i servizi di collocamento;
è anche in tal modo (sugli ulteriori elementi rafforzativi del sistema, che qui però non rilevano, v. Cass. 26 gennaio 2015, n. 1325; Cass. 14 agosto 2004, n. 15913) che si assicura la piena tutela del lavoratore munito della speciale disabilità ivi considerata; la normativa va dunque intesa nel senso che, non appena ricorrono tali presupposti, sorge anche l’obbligo per il datore di dare corso a quanto necessario per assumere, in modo da evitare che si possa eludere la centrale rilevanza del sistema attraverso una diversa copertura di quel servizio, che è essenziale destinare a chi sia colpito da cecità, data l’evidente difficile collocabilità altrimenti;
in questa logica si spiegano i commi 1, 2 e 5 dell’art. 6 della legge, nei quali è testuale che l’obbligo di assumere deriva dalla vacanza del posto, per quanto esso comporti preliminarmente l’attivazione da parte del datore di quanto necessario, anche sul piano delle procedure, per la scelta del destinatario, cui l’assunzione resta ovviamente condizionata;
il datore di lavoro privato deve quindi fare richiesta nominativa entro 60 giorni dal verificarsi di quei presupposti (art. 6, co. 1), in mancanza della quale interviene una diffida a provvedere entro 30 giorni (co. 2, prima parte), cui consegue, in caso di mancata assunzione, l’avvio d’ufficio sulla base delle graduatorie (co. 2, seconda parte);
se invece è coinvolto un datore di lavoro pubblico e nei sei mesi dal verificarsi dei presupposti di legge non vi sia ancora stata assunzione, il servizio competente invita a provvedere entro trenta giorni e, in mancanza, avvia d’ufficio il lavoratore cui spetta l’assunzione (art. 6, co. 5);
i termini di cui sopra hanno lo scopo di regolare le modalità attraverso cui, in mancanza di richieste di avviamento o in mancanza di assunzione, si giunge infine all’avviamento d’ufficio, ma l’obbligo datoriale di dare corso a quanto necessario discende in sé dall’esistenza di un centralino secondo le caratteristiche indicate dalla legge privo di copertura con un lavoratore munito della specifica disabilità che qui rileva;
evidentemente, può poi essere che se vi siano inerzie dei servizi di collocamento, si realizzino ritardi che siano ad essi imputabili, ma una volta effettuato l’avviamento della persona titolata, il diritto all’assunzione è pieno e non soggetto a termini ulteriori (v. seppure rispetto a normativa previgente, Cass. 13 gennaio 2009 n. 488);
in questo quadro è dunque del tutto corretto il ragionamento della Corte territoriale che ha ravvisato la possibilità di concludere il contratto fin dal momento in cui la COGNOME, rispondendo ai primi di dicembre 2012 alla comunicazione INPS successiva al suo avvio al lavoro, aveva trasmesso i documenti richiesti per la conclusione del contratto;
2.2
va quindi da sé -rispondendosi così anche al secondo motivo l’irrilevanza delle misure di spending review e di revisione degli
organici, anche rispetto alla soppressione di INPDAP ed ENPALS ed al conseguente manifestarsi di esuberi nelle posizioni dei centralinisti, in quanto esse, come ha accertato la Corte d’Appello, si sono concretizzate nel gennaio 2013 e dunque in epoca successiva al momento in cui l’assunzione doveva avvenire;
i passaggi difensivi in cui si fa riferimento a contrazioni degli organici già dal luglio 2012 sono stati poi ritenuti generici e comunque ininfluenti dalla Corte d’Appello, la quale, nel valorizzare la circostanza che nel novembre 2012 l’INPS richiese alla Unali i documenti per procedere alla sua assunzione, ha evidentemente inteso che a quella data l’esigenza assunzionale comunque sussisteva;
in tal modo, la Corte territoriale ha in sostanza svolto un giudizio (anche) di fatto che non può evidentemente essere sovvertito in questa sede di legittimità, sulla base della parimenti generica reiterazione di difese in ordine al verificarsi di modifiche o evoluzioni nelle dotazioni già in epoca anteriore;
3.
è poi pacifico che l’inosservanza dell’obbligo, una volta realizzatisi tutti i presupposti per l’assunzione dell’interessata, giustifichi sia l’eventuale azione in forma specifica qualora i termini del contratto siano già tutti prestabiliti dalla normativa vigente (Cass. 15913/2004 cit.) -cui la ricorrente non aveva alcun interesse essendo stata infine assunta da altri -sia l’azione risarcitoria (Cass. 3 marzo 2014, n. 4915), ma del resto sul punto i motivi sostanzialmente non si attardano in ulteriori particolari e quindi nulla quaestio ;
4.
il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 3, co. 1, della legge n. 113 del 1985, dell’art. 5, co. 8ter della legge n. 68 del 1999 e dell’art. 5, co. 4 del d.p.r. n. 333 del 2000 e con esso si affronta il tema del sopraggiunto
esubero di centralinisti non vedenti, sul presupposto in fatto che non era stato più possibile procedere all’assunzione della COGNOME, perché nelle more dello svolgimento della procedura di avviamento al lavoro l’ente aveva già coperto la quota di riserva destinata ai centralinisti nella Regione Liguria, utilizzando il meccanismo della c.d. compensazione previsto dall’art. 5, co. 8 -ter della l. n. 68 del 1999;
in proposito, l’INPS rileva come fosse errato il richiamo della Corte territoriale al d.l. n. 101 del 2013, in quanto il sistema della c.d. compensazione delle quote d’obbligo risaliva alla normativa precedente citata nel motivo;
4.1
il motivo non può trovare accoglimento;
4.2
pur se è corretto il richiamo dell’INPS a normativa antecedente a quella menzionata dalla Corte d’Appello, la censura fa leva su deduzioni assolutamente generiche;
tale è infatti il richiamo, nella narrativa in fatto, ad « un’eccedenza del numero dei centralinisti non vedenti, rispetto alla dotazione di postazioni operatore a livello nazionale … fin dal luglio 2012» , cui poi nel motivo si aggiunge però una compensazione su base regionale;
non è poi noto quando e come si fossero realizzati i presupposti per la addotta compensazione, né la relazione tra la contrazione generale degli organici e la specifica vicenda di compensazione di cui si parla nel motivo;
così come non è parimenti noto perché nel novembre 2012 si fossero chiesti alla COGNOME i documenti per la sua assunzione, se i presupposti ostativi si erano -lo si dice in via di mera ipotesi – già realizzati, né come e quando la circostanza fosse stata manifestata all’interessata;
in definitiva, il motivo e la narrativa manifestano una tale genericità quanto a presupposti, che finisce per risultare del tutto astratta ed insondabile, sulla base delle stesse difese dell’ente, la possibilità stessa che il profilo di diritto sollecitato abbia un qualche rilievo nel contrastare quando deciso;
tutto ciò si traduce in sostanza in un difetto di specificità del motivo che, contrastando con i principi di cui all’art. 366 c.p.c., rende lo stesso inammissibile;
5.
il ricorso va quindi integralmente disatteso e le spese del giudizio di cassazione restano regolate secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro